Barry Michael Cooper, l’uomo dietro la “Trilogia di Harlem”
Il giornalista, scomparso mercoledì 22 gennaio, ha creato un ponte tra il mondo della strada e quello del cinema, trasformando l’Hip Hop in un linguaggio universale
Harlem, crogiolo di culture e contrasti, ha plasmato l’immaginario di molti artisti. Ma pochi hanno saputo catturarne l’anima grezza e la vibrante energia come Barry Michael Cooper. Giornalista, sceneggiatore e produttore, Cooper trasformò le strade di Harlem in un palcoscenico cinematografico, dando voce a una generazione e definendo un genere. Attraverso la sua Trilogia di Harlem, ha creato un ponte tra il mondo della strada e quello del cinema. Trasformando l’Hip Hop in un linguaggio universale.
Nato ad Harlem e cresciuto tra Little Washington Heights e gli Esplanade Gardens, Barry Michael Cooper considerava il suo quartiere una musa. In più occasioni raccontò come la vibrante cultura letteraria, musicale, sportiva di Harlem avesse plasmato la sua visione artistica. Ma dietro le luci e i suoni del quartiere, Cooper non ignorò mai l’ombra devastante del crack.
Harlem è divisa in due epoche: BC e AC, Before Crack e After Crack. Ci fu un cambiamento profondo quando quella droga ha colpito Harlem, aveva spiegato in un’intervista del 2007 alla rivista Stop Smiling. Quelle parole catturano perfettamente la frattura storica di un quartiere che, pur devastato, non ha mai smesso di reinventarsi, portandosi addosso cicatrici che raccontano storie di sopravvivenza e resilienza.
Dopo un anno alla North Carolina Central University, dove si avvicinò al movimento del New Journalism negli anni ’80. Scrisse per The Village Voice, all’apice della sua influenza culturale, lavorando sotto la direzione del critico musicale Robert Christgau.
In un’intervista a Rolling Stone di marzo, Cooper raccontò di aver anticipato a Christgau l’ascesa di un nuovo tipo di musica che proveniva da Uptown. “A gennaio del 1980 gli dissi: ‘C’è una musica che arriva dal Bronx chiamata rap. Cambierà tutto.’ Lui non ci credeva. Gli parlai dei Funky 4 + 1 e del pezzo That’s the Joint. Due giorni dopo mi chiamò al Voice: ‘Avevi ragione. È qualcosa di grande”.
Nel 1987, Cooper scrisse per The Village Voice un articolo su Teddy Riley, giovane produttore e cantante R&B di Harlem in ascesa, dal titolo Teddy Riley’s New Jack Swing: Harlem Gangsters Raise a Genius. Fu in quell’articolo che coniò il termine New Jack Swing, etichettando il genere musicale che Riley e i suoi collaboratori avrebbero portato alla ribalta.
Cooper non si distinse solo come cronista musicale, ma anche come giornalista investigativo. Nel 1986, pubblicò su Spin Magazine il pezzo Crack, a Tiffany Drug at Woolworth Prices, uno dei primi reportage nazionali sugli effetti devastanti dell’epidemia di crack. Nel 1987, un nuovo articolo New Jack City Eats Its Young pubblicato su The Village Voice, attirò l’attenzione di Quincy Jones, che lo ingaggiò per riscrivere una sceneggiatura su Nicky Barnes, storico boss della droga nell’Harlem degli anni ’70, spostando il focus dall’eroina al crack. Così nacque New Jack City, il film che inaugurò la cosiddetta Harlem Trilogy, proseguita nel 1994 con Sugar Hill e Above the Rim.
I film di Cooper e le colonne sonore riflettevano un momento in cui l’Hip Hop emergeva come una forza globale. Attraverso collaborazioni con artisti, produttori e musicisti iconici, Cooper Cooper concepì un utilizzo del genere che andò oltre i confini della musica. Portandolo a un pubblico cinematografico più ampio e consolidandone il ruolo come elemento fondamentale della cultura popolare.
Non era solo un produttore cinematografico. Era un visionario che capì l’importanza di integrare l’hip hop nel racconto cinematografico, non come un elemento marginale, ma come una parte essenziale della narrazione. Nella sua visione l’hip hop non era solo una scelta musicale, ma un linguaggio che poteva amplificare il messaggio dei suoi film. Trasformandoli in veri e propri manifesti della loro epoca. Se il cinema può immortalare un momento, le colonne sonore curate per i suoi film hanno scolpito nel tempo l’energia e la poetica di una cultura in evoluzione. Proiettando l’hip hop dalla strada allo schermo con una forza mai vista prima.
New Jack City, diretto da Mario Van Peebles, narrava l’ascesa e la caduta di Nino Brown, un carismatico e spietato signore della droga interpretato da Wesley Snipes. La trama ruotava attorno alla costruzione di un impero del crack nel cuore di New York City. Era un’istantanea cruda e realistica della crisi del crack che devastava le comunità afroamericane negli anni ‘80 e ‘90. La colonna sonora rifletteva quella stessa intensità, diventando parte integrante dell’esperienza visiva e narrativa. Ice-T, con New Jack Hustler (Nino’s Theme), creò un inno gangsta rap che celebrava lo stile di vita criminale ma fu il new jack swing di Teddy Riley a dare al film una dimensione sonora unica. Brani come I Wanna Sex You Up dei Color Me Badd divennero subito iconici, caratterizzando non solo il film, ma l’intero panorama musicale degli anni ‘90.
Se New Jack City rappresentò la corsa al potere, Sugar Hill esplorò il prezzo di quella corsa. Diretto da Leon Ichaso, il film raccontava la storia di due fratelli intrappolati in un mondo di droga e violenza a Harlem. La colonna sonora, più riflessiva e soulful, accompagnava perfettamente questo viaggio introspettivo. La scelta di privilegiare il soul rispetto al rap dava al film una sensibilità particolare, sottolineando la vulnerabilità dei personaggi e il peso delle loro scelte.
Con Above the Rim, Barry Michael Cooper abbracciò completamente l’energia grezza e senza filtri del rap west coast degli anni ’90. Diretto da Jeff Pollack, il film è ambientato nel mondo del basket di strada, seguendo un promettente giocatore che si trova a dover prendere decisioni difficili che potrebbero compromettere il suo futuro. In parallelo, le storie di Birdie (Tupac Shakur), un gangster carismatico, e Shep (Leon), un ex giocatore dal passato tormentato, si intrecciano in un racconto di lotta e sopravvivenza. La colonna sonora, pubblicata dalla Death Row Records, è considerata una delle migliori raccolte mai realizzate. La presenza di 2Pac, sia come attore che con la traccia Pain (non inclusa nella colonna sonora del ‘94), aggiunse potenza narrativa al film. Ma fu Regulate di Warren G e Nate Dogg a segnarne l’apice, introducendo il G-funk a un pubblico globale.
Dopo il successo di quei primi film passarono alcuni anni prima che Cooper riuscisse a mettere mano al suo successivo progetto cinematografico. Trasferitosi a Baltimora, nel 2005 fece il suo debutto da regista con l’indie Blood On The Wall$. L’ultimo lavoro di Cooper risale al 2017, quando firmò la sceneggiatura dell’adattamento alla serie TV di Netflix tratta dal cult She’s Gotta Have It di Spike Lee.
Barry Michael Cooper è stato un narratore unico, capace di catturare la complessità della vita urbana e il fermento della cultura nera americana, di intrecciare musica e narrazione portando la cultura hip hop sul grande schermo in modo autentico e innovativo, contribuendo a legittimare il rap e l’R&B come veicoli di storie profonde e significative.
Articolo di u.net