Dargen D’Amico: «A Sanremo canto la libertà di movimento. Si facciano subito test scientifici sui live»
Il rapper-produttore-autore milanese porta in gara al Festival il brano Dove Si Balla, energico pezzo dance che celebra la corporeità della danza ma anche di chi affronta il Mediterraneo per cercare una vita migliore in Europa
Il nome di Dargen D’Amico rientra probabilmente fra quelli meno noti al pubblico generalista in questa edizione del Festival di Sanremo. Eppure il rapper-produttore-autore non è certo un esordiente: classe 1980, muove i primi passi nella scena milanese di fine anni ’90, per esempio con il progetto Sacre Scuole che lo vede al fianco di Gué e Jake La Furia.
Da lì Dargen D’Amico ha sviluppato poi un percorso originalissimo fatto di rap “alternativo” (per certi aspetti precursore di un progetto come quello dei Coma_Cose, per esempio) passando anche per progetti sperimentali (come l’ultimo album Bir Tawil) e attività come autore anche per grandi nomi del mainstream italiano (su tutti, Fedez e Annalisa).
Un interessante e poliedrico profilo, dunque, quello che vedremo sul palco dell’Ariston. Lì Dargen porta la sua Dove Si Balla: pezzo dance che celebra a 360 gradi la libertà di movimento – da quello in discoteca a quello di chi affronta il Mediterraneo per cercare una vita migliore in Europa. L’abbiamo intervistato alla vigilia del “fischio d’inizio” di Sanremo 2022.
Com’è stato il primo impatto con l’Ariston?
È stato abbastanza dolce, forse anomalo perché non è facile prendere le misure in una situazione in cui – data la situazione – l’orchestra non è sempre al completo: a una prova mancano i fiati, all’altra mancano degli archi… Quindi è un Sanremo “d’emergenza”, come il momento che stiamo vivendo. Io devo solo andare a cantare una canzone, quindi non è così complesso.
C’è qualcosa che ti intimidisce nel confronto con le mille declinazioni dell’apparato sanremese?
In questo momento mi piacerebbe che sotto il profilo tecnico funzionasse tutto, perché è l’incognita più grossa. Per il resto, è un teatro ed è una trasmissione televisiva, sicuramente quella che dura da più tempo in Italia, oltre che la più vista.
Dove Si Balla si apre con una dichiarazione molto chiara: “Mi piace la musica dance / Che pure un alieno la impara”. Quando nasce questo tuo amore per la cassa dritta?
Da ragazzo degli anni ’90, sono cresciuto in un momento in cui quel sound era il pop in Italia, come adesso può esserlo la musica urban. In radio, e non solo, era quella la musica che si sentiva. Quindi è probabile che ce l’abbia nel mio bagaglio culturale.
Negli anni ho cercato delle declinazioni che potessero essere la mia versione di quel sound e mi sono sempre trovato abbastanza a mio agio a fare canzoni sulla cassa dritta. L’ho abbandonato per un periodo di qualche anno, però in questo momento mi sono ritrovato a riabbracciarlo come “rito”, come invito a tornare a muoversi, a riscoprire il corpo. Perché siamo rimasti chiusi, anche psicologicamente, per molto tempo.
Il tuo è uno dei pochi brani con riferimenti alla stretta attualità, quando dici: “Balla per restare a galla negli incubi mediterranei”.
Mi stupisce che non sia un argomento di attualità per tutti e che tutti i giorni non si cerchino soluzioni. Il mondo è già lì, noi dobbiamo creare l’Italia del futuro, che è già qui e che fingiamo di non vedere. Io faccio fatica a non vedere. Il brano è stato scritto soprattutto perché stimolato da avvenimenti contemporanei: naturalmente vi si sono riversate le condizioni umane che cercano di vivere in questo paese a tutte le latitudini.
Con “Italia del futuro” ti riferisci ai nuovi italiani, alle seconde e terze generazioni dei migranti?
Agli italiani in generale. A chi vive e agisce in questo paese. Io tenderei a non sottovalutare chi ha intenzione di agire. In Italia l’azione è particolarmente sottovalutata: si perde tempo a fare polemiche, a chiacchierare, a sfottersi, ma si fa pochissimo. Quindi ben venga chi ha voglia di fare qualcosa, di costruire.
Dargen, il tuo è un brano che – seppure in maniera indiretta – racconta anche i problemi del settore musicale negli ultimi due anni di blocchi forzati e grande incertezza. Se tu potessi fare alla politica delle piccole proposte per migliorare la situazione, quali sarebbero?
Cominciare subito a fare dei test scientifici sull’attività dal vivo e partire con live gestiti e monitorati dai ministeri competenti. Subito perché quella che viene vista come attività economico-culturale è anche terapia di gruppo per il paese.
Peraltro anche se fosse subito parliamo comunque di un ritardo di due anni: il Primavera Sound per esempio fece i primi test di questo tipo già all’indomani del primo lockdown.
Se fossimo solamente in ritardo di due anni ci sarebbe da gioire…
Come cover tu porterai La Bambola di Patty Pravo. Hai detto che la tua sarà una rilettura aggiornata al 2022: la tua versione per esempio parlerà di abusi sulle donne in modo più esplicito?
Parlerà di abusi perché il tema del brano originale è un rapporto abusivo. Io ho cercato semplicemente di dare la lettura che si darebbe oggi, chiaramente con le mie capacità e il mio punto di vista, che sono molto lontani da Migliacci (Franco, uno degli autori del brano originario, ndr). Ho cercato di fare meno danni possibili al brano: più che portarlo io, è il brano che porta me.
Dargen, so che non è la prima volta che cerchi di andare a Sanremo. Pensi che magari sia meglio così, visto che da qualche anno il Festival dà spazio a proposte musicali molto più variegate che in passato?
Non so, forse semplicemente è il momento giusto. Prima era prematuro per me e magari anche per il Festival. Evidentemente ci siamo incontrati.
L’anno scorso per te che soddisfazione è stata vedere sul podio un brano che hai contribuito a scrivere, cioè Chiamami per Nome?
Quando scrivi una canzone come autore, per quello che mi riguarda, la soddisfazione è quella di chiudere il brano e di dare un apporto effettivo ad esso. I brani hanno una vita separata da quelli che possono essere i pensieri dell’autore. Partono come esperimenti e poi diventano esseri viventi che prendono la propria strada. Sono felice se chi canta i brani a cui partecipo è soddisfatto, ma poi diventa essenzialmente promozione.
Cioè?
Io trovo affascinante il momento in cui scrivi la canzone. Ma il mio apporto si limita a quello: il resto sono scelte che non pertengono all’autore. Sono contento se lo portano a Sanremo, se entra in un disco… Da quel punto di vista, la collocazione è indifferente. Una volta che il brano è scritto e registrato, per me il percorso è concluso.
E al di là di Sanremo, ci sono delle belle soddisfazioni che ti sei preso nella tua carriera come autore?
La soddisfazione è fare bene quello che fai, andando incontro alle necessità di chi deve cantare. Quello è il mio obiettivo. Poi alcuni brani ti possono piacere di più, altri di meno… Ma a me piace scrivere per altri, perché la tua responsabilità è solo quella creativa. Tutto il resto viene delegato ad altri.
Un’ultima domanda: fra gli artisti “senior” di Sanremo 2022 (Zanicchi, Morandi, Ranieri) quale stimi in particolare?
Sono artisti che hanno dimostrato di non aver bisogno della mia stima… Mi piace molto Ranieri. Poi sono anche molto affezionato alla voce di Gianni, e come dimenticarsi di Iva!