Vocazione rivoluzionaria è il titolo della prima autobiografia non autorizzata di Luca O’Zulù Persico. Il libro uscirà domani, mercoledì 30 ottobre per Il Castello marchio Chinaski Edizioni. Essere il frontman dei 99 Posse è solo la punta dell’iceberg di un personaggio complesso e sfaccettato come Luca Persico. Amato e odiato per la sua musica, come per le sue posizioni politiche e sociali, superati i 50, O’Zulù si racconta senza veli. Persico si apre a tutti le pagine della sua vita privata e della sua carriera artistica.
Dagli Anni ’70 ai ’90 passa in rassegna la sua storia più personale. L’artista va alla ricerca delle radici di quel carattere che lo porteranno a diventare il cantante che tutti conosciamo. L’infanzia, la scuola, l’emarginazione e il bullismo per un “occhialuto bambino sovrappeso”, cresciuto tra l’amore della famiglia e un’educazione cattolica che gli stava stretta.
Dagli studi al liceo classico alle prime militanze politiche con la sinistra antagonista. I primi ascolti musicali sullo sfondo di una Napoli popolare e ricca di fermento culturale. I centri sociali, l’università occupata dove organizzò una radio clandestina, oggetto di un servizio TV di Piero Chiambretti su Rai 3. Nel 1991 nacque il centro sociale Officina 99, e in quel periodo si intensificarono le attività politiche. Dall’invasione di una base NATO in Sardegna ai frequenti scontri con le forze dell’ordine.
Se nel ‘92 nacquero i 99 Posse, alla firma del loro primo contratto discografico “Non avevamo la più pallida idea di cosa stavamo per diventare”. Tra aneddoti divertenti, riflessioni personali e analisi della realtà socio-politica di quegli anni, Zulù si racconta a pieno. Il libro passa in rassegna le tappe fondamentali che hanno accompagnato l’interscambio profondo tra Luca e Zulù. E di una band nata quasi per gioco ma destinata a diventare un fenomeno di massa. Gabriele Salvatores preso in giro al telefono, le canne sul set di “Sud” davanti a centinaia di poliziotti. Ma anche il primo incontro con Meg all’università, e decine di altre tessere tra impegno sociale, amicizia e discografia. Tutto ciò che ha contribuito a comporre il mosaico dei 99 Posse.
Qui un episodio dei primi anni ’90, subito dopo la pubblicazione di Rafaniello, il primo album in studio del gruppo napoletano.
Un estratto dell’autobiografia di Luca Persico “O’Zulù”
In quei mesi il telefono squillava continuamente, anche perché avevamo messo il numero “per contatti” sulla copertina di “Rafaniello”, per cui già da un po’, sia per esasperazione che per selezionare un poco le chiamate, avevamo preso a rispondere cose tipo: “salumeria Prisco, buonasseeeeraaaaa”, oppure tipo: “Loggia P2, segreteria generale, qualifica e numero di tessera prego”. Ne avevamo una decina di risposte del genere, ma un pomeriggio le usammo tutte e dieci, o quasi, perché incappammo nella telefonata di qualcuno che, o era timido ma assai assai, o era visibilmente imbarazzato, oppure si stava “divertendo” a sentirsele tutte perché riattaccava sempre, ma subito dopo richiamava. Alla tipo settima volta risposi seriamente, e finalmente parlò. Disse: “Ciao, sono Gabriele Salvatores”.
Naturalmente non gli credetti. Andammo avanti almeno un quarto d’ora ma alla fine capii che era proprio lui e ci stava chiedendo un pezzo per “Sud”, il suo nuovo film. Lo raggiungemmo in Sicilia, a Marzameni dove lo stava girando, per farci spiegare bene, e per fargli sentire “Curre curre guagliù”, di cui nel frattempo avevamo finito la preproduzione, e forse pure la registrazione, non ricordo. Appena arrivati, dopo dieci ore di viaggio, stavano girando una scena in piazza con Carpentieri che parlava con Petrocelli, in alta uniforme dell’arma, entrambi circondati da un centinaio di poliziotti e carabinieri.
Noi, per non disturbare, ci mettemmo in un angolo a fumare un paio di cilum e qualche canna e dopo pochi minuti ci raggiunse Salvatores, tutto trafelato, per informarci che gli agenti erano tutti veri e in servizio, e che qualcuno di loro iniziava a guardarci male. Il giorno dopo era il compleanno di Silvio Orlando e gli organizzarono una festa a sorpresa in una discoteca privata e, sorpresa nella sorpresa, avremmo suonato per lui, da bravi conterranei.
Solo che vennero pure i circa duecento poliziotti che lavoravano al film e così finì per essere il più imbarazzante e complesso concerto della mia vita, con il cast e lo staff, disposti nelle prime tre file, che si divertivano come pazzi, e il resto del locale che ci guardava male e, via via, pure peggio. Ne uscimmo vivi e tornammo a casa dove finalmente ci concentrammo un poco sul disco.