Lucio Corsi va a Sanremo ricordandoci che «questo mondo ci vuole solidi come le pietre, ma bisogna accettare di essere vulnerabili»
Sarà uno degli outsider del Festival con la sua canzone “Volevo essere un duro” che promette di rimanere nel tempo. Lo abbiamo incontrato in un’antica trattoria a Milano, a Niguarda, lontano dalle mille luci del centro. E ci ha illuminato con le sue parole
Lo abbiamo incontrato in una grande sala di una trattoria milanese, incastonata tra le viscere del quartiere popolare Niguarda, che sa ancora di paesino, ma è in odore di gentrificazione. E lo capisci si da subito che è qui si respira ancora qualcosa di autentico. Mentre ti muovi tra i suoi incroci pieni di negozi e attività che alternano ecumenicamente insegne in italiano, arabo e cinese. Lui, Lucio è lì, nel mezzo di una tavolata a ferro di cavallo, mentre nell’altra saletta domina a mezz’aria una TV sintonizzata sul calciomercato e le portate di pasta abbondante scivolano sui tavolini: «Questa è una sorta di altra casa per me – mia nonna aprì nel 1959 una trattoria – e il ristorante come luogo di passaggio e d’incontro per me è importante, io pranzo qui da sei anni con il mio amico Mario Millelire».
Così si presenta a noi Lucio Corsi che parteciperà alla 75esima edizione del Festival di Sanremo, in gara per la prima volta, con il brano Volevo essere un duro. Che sorpresa vederlo tra poco su quel palco: «Anche se io lo già calcato al premio Tenco ed è bellissimo. Penserò a cantare e performare come se fossi in concerto, senza dar troppa attenzione all’occhio delle telecamere che portano con sé i milioni di occhi degli italiani. E poi… per me non esiste una competizione, le uniche gare che amo sono quelle di velocità, quelle dei motociclisti. Se ci pensate la loro è una lotta contro il tempo e anche le canzoni lottano contro il tempo».
Lucio Corsi, Sanremo e poi l’album
Lucio Corsi è un bel performer, sa rendere leggero e mai revivalista certo rock di metà anni ’70, quello dell’epoca glam, grazie a una voce limpida e che sa narrare storie come faceva un tempo Ivan Graziani. E quando Lucio parla, con quel tono da toscano d’origine, e comincia a farti viaggiare con le sue immagini e i suoi paragoni talvolta grotteschi ma sempre divertenti e intelligenti, pare anche un po’ un giovane Benigni. Saranno anche quelle deliziose orecchie a sventola, il suo viso asciutto che ricorda certi contadini del Novecento e gli occhi sempre vispi, accesi e che ti guardano dritto.
Il suo ultimo singolo Tu sei il mattino è una bella canzone d’amore. Intrisa di malinconia, ma mai triste. Il videoclip, diretto da Tommaso Ottomano, ha come protagonista anche Carlo Verdone che ha già incontrato sul set della terza stagione di Vita da Carlo. Ma tutti i giornalisti sono venuti qui per parlare di Sanremo, of course: «Tanti artisti che amo non ci sono mai andati a Sanremo, come Paolo Conte e Battiato. Ma anche tanti che ammiro invece sono andati in gara come Ivan Graziani, Lucio Dalla, Rino Gaetano… e così ho passato anni con la lotta interiore dicendomi “ci vado o no?”. Il fatto di essere stato in un Sanremo immaginario grazie alla serie di Carlo Verdone, sembrava l’indizio perfetto per far nascere questa grande prima occasione».
Poi, dopo che Lucio comparirà al festival, arriverà il nuovo album a marzo con annesso inizio nuovo tour. «Il mio sogno è stare in tour tutta la vita, con le persone che io conosco. Così mi sento anche a casa, nonostante sia sempre in movimento». Ma come è nata Volevo essere un duro? «Non ho scritto una canzone per il Festival, l’ho scelta tra le canzoni che avevo. L’ho scritta un anno fa. Se dovessi scrivere una canzone per un contenitore specifico, so già che “si ribellerebbe”. Quindi ho lasciato stare questo intento» spiega il cantautore. «Questa canzone parla del fatto che spesso non si riesce a diventare quello che si sperava e si sognava di essere. Poi del fatto che questo mondo ci vuole solidi come le pietre e invece bisogna accettare di essere vulnerabili».
Il sogno e la
Il sogno di Lucio quando era piccolo era di diventare un paleontologo e poi un ricercatore di insetti e di coleotteri e infine un disegnatore di auto ma quando è arrivata la musica e il liceo scientifico: «Non ho imparato nulla dai professori, ma tutto dai miei compagni di classe. Ho imparato a convivere con le mie passioni, nonostante intorno a me non potessi condividere questa mia voglia di suonare, con questi capelli lunghi». Questo è Lucio Corsi, prendere o lasciare: «A proposito di musica, all’epoca m’innamorai perdutamente del film Blues Brothers. Erano dei supereroi alla fine. Gli sparano con il bazooka e rimangono loro due, intatti. Io da bambino ero totalmente e veramente innamorato e me lo ricordo ancora oggi per la cicatrice sotto il mento, perché lo sbattei mentre ballavo davanti alla TV».
Al Festival, si sa ci saranno anche i duetti. Ovviamente Lucio non può dire molto se non che canterà in coppia con un italiano. Il suo sogno sarebbe stato cantare al fianco del grande songwriter USA, Randy Newman che una volta scrisse una canzone di successo che gli rese non poche grane, Short People. «Lui è un grande autore» ci ricorda Corsi. «Randy Newman ha sempre dato voce a persone anche con persone “sbagliate” ed è una cosa difficilissima in musica, mentre al cinema ci si può innamorare di un assassino».
Qualcuno gli chiede anche come si vestirà per il festival e gli ricorda la sua collaborazione con Alessandro Michele ai tempi di Gucci. «Mi vestirò io, farò tutto io e come molti di voi sanno la mia immaginazione viaggia verso il mondo del glam rock. Non pensate che le paillettes dei cantanti di quel periodo degli anni ’70, significhino lusso o qualcosa di simile, anzi. Loro erano talenti che arrivavano dalla working class, e facevano diventare gli “stracci” qualcosa di poetico e magnifico, grazie all’immaginazione. Non c’era nulla di “sofisticato”» spiega.
E una volta finite le mille luci di Sanremo? Prima di partire nuovamente per cento città in tour? «La mia idea è quella di tornare in Maremma in pianta stabile. Il disco che stiamo sistemando lo avrei voluto realizzare giù ma alla fine per ragioni di tempo siamo rimasti a Milano».