Perché Marianne Faithfull sarà per sempre un esempio di resilienza e di femminismo sui generis
Facciamo un ragionamento sulla figura della grande chanteuse britannica a poche ore dalla sua scomparsa. Perché lei non è stata solo una figura importante nella storia del rock, con la sua musica e le sue importanti collaborazioni ma molto altro a partire dalla sua emancipazione dalla figura di musa per giovani rockstar
La comparsa sulla scena musicale di Marianne Faithfull fu come il compimento di una favola moderna. Lei appena diciottenne, bionda, con quegli occhi da cerbiatta venne “notata” dal manager dei Rolling Stones, Andrew Loog Oldham e nel 1964 incise il suo primo singolo, As Tears Go By, scritto proprio dalla invincibile coppia Jagger/Richards e dallo stesso Oldham, diventando subito un enorme successo. La Faithfull era diversa dalle altre giovani cantanti che le label proponevano dalla stessa Decca alla Pye, Philips/ Fontana / Mercury, fino alla famiglia di etichette della EMI (Parlophone, Columbia e HMV) dove le artiste incidevano nel quartiere chic della major, a Marylebone (da qui il nome “Marylebone Beat Girls”).
Marianne non era iper sorridente come Dusty Springfield, Cilla Black o la tostissima Leslie Gore, piuttosto a lei si avvicinava nel mood da fata malinconica, alla francese François Hardy. Il suo canto possedeva questa delicatissima caratteristica di essere vellutata e leggera. Era in grado di stemperare la drammaticità di alcune composizioni a lei affidate in quegli anni come la notevole e impegnativa Counting di Bob Lind, o riusciva a rendere ancor più struggenti capolavori come Yesterday o Scarborough Fair.
Dal protagonismo all’abisso
L’epoca della Swinging London era però dominata da figure maschili se parliamo di musica popolare. Il rock era in mano a band dove non c’era nessuna donna presente. Solo nella moda e nell’arte si potevano notare figure femminili, come la giovane artista della pop art, Pauline Boty (morta nel ‘66 a soli 28 anni), la modella Twiggy, la stilista Mary Quant. Ma Marianne Faithfull era quasi sola e dopo che i Rolling Stones l’ebbero sedotta, l’abbandonarono nel limbo e nella droga, dimenticandosi addirittura di citarla tra gli autori della bellissima canzone Sister Morphine che la band incise per l’album del 1968, Sticky Fingers.
La caduta verso gli inferi fu dolorosa. Tossicodipendente e senza soldi, Marianne Faithfull non perse ogni speranza (nomen omen). Dopo qualche anno di silenzio, incise un album mediocre come Dreaming My Dreams (1976), praticamente di country music (riedito poi come Faithless nel 1978)
Broken English, il capolavoro simbolo della resilienza femminile
Arrivò anche il momento della redenzione. Come una rabbiosa araba fenice, Marianne Faithfull risorse dal buio accompagnata dalla sua “nuova” voce piena di ghiaia, disperazione e rabbia, grazie a uno stupendo album, Broken English (Island, 1979). Non era più la dolce bellezza vittoriana ed aristocratica (le sue origini di sangue blu portano fino alla stirpe von Sacher-Masoch, da dove deriva il termine “masochista”), ma una chanteuse decadente da cabaret espressionista con echi di Marlene Dietrich e di quelle nuove protagoniste della scena punk che stavano emergendo a Londra. Anche Derek Jarman, che era molto vicino al fenomeno, omaggiò la Faithfull.
Memorabile è Why’d Ya Do It, con il testo del poeta Heathcote Williams. Questo brano dalle chitarre aspre e spigolose e lungo sei minuti e mezzo, è una sorta di All Along The Watchtower per la cantante britannica. Quel disco fu osannato dalla critica e amato dalle cantanti donne (da Patti Smith a PJ Harvey). Viene considerato un simbolo della resilienza femminile, della lotta contro tutte le apparenze, le discriminazioni di genere che un’artista donna può subire lungo la carriera. Gli fecero seguito un mediocre Dangerous Acquaintances (Island, 1981) e A Child’s Adventure (Island, 1983).
La sua carriera però non finì lì, anzi, grazie anche al fatto di essere diventata negli ultimi decenni una anni un’icona genderless. E Marianne Faithfull ha saputo flirtare con grandi artisti, per i suoi ultimi album. Da ricordare soprattutto il piacevolissimo Kissin Time (2002), dove collabora con Beck, Billy Corgan degli Smashing Pumpkins, i Blur, Jarvis Cocker dei Pulp e l’ex-Eurythmics Dave Stewart. E nel 2005 arrivò Before The Poison (2005), dove ospita Polly Jean Harvey (The Mystery of Love) e Nick Cave (Desperanto). Nel 2018 fu il turno di Negative Capability che comprende nuove canzoni di Nick Cave, Mark Lanegan e diverse con Ed Harcourt.
L’abbiamo amata e rispettata Marianne Faithfull. Speriamo che lo faranno anche nuove generazioni di artiste prendendo spunto e ispirazione dal suo tortuoso ma coraggiosissimo percorso personale e artistico.