Warner Chappell Music Italiana e la tutela del diritto d’autore
La tutela del diritto d’autore: un mondo non sempre raccontato (e ancor meno capito) ma oggi più che mai fondamentale per dare valore alla musica. Ce ne parla Roberto Razzini, managing director di Warner Chappell Music Italiana
L’industria discografica la frequenta ormai da trent’anni e da allora parecchio è cambiato. Roberto Razzini, Managing Director di Warner Chappell Music Italiana, è sulle barricate dal 1990 e ha avuto la fortuna di guardare da un osservatorio privilegiato un mondo in perenne fermento. Oggi ha le idee chiare su cosa bisogna fare per produrre buona musica: “Vivere al fianco degli autori”.
Che azienda è Warner Chappell?
È una multinazionale presente in 48 paesi del mondo. Siamo una società di edizioni musicali: la nostra è un’attività primaria nel processo produttivo discografico. Lavoriamo a stretto contatto con autori e compositori, tuteliamo le opere e ne gestiamo i diritti patrimoniali, anche in nome e per conto degli autori.
Mestiere complicato: la tutela del diritto d’autore è sotto pressione.
Il diritto d’autore viene percepito, soprattutto nel nostro paese, come una tassa quando invece è l’unica fonte di remunerazione per autori ed editori. Quando si organizza un qualsiasi tipo di evento si paga, tramite Siae, il diritto d’autore dovuto. Questo serve a remunerare chi realizza la musica.
Perché non viene sempre riconosciuta la sua importanza?
Non c’è piena consapevolezza di che cosa effettivamente rappresenti e per questo il diritto d’autore viene colpito da un meccanismo elusivo, se non addirittura evasivo.
Un meccanismo elusivo dovuto a cosa?
Non pagare il diritto d’autore può rappresentare un’importante marginalità per una società o un operatore. Equivale a non pagare un fornitore: per una grande società, non pagare il diritto d’autore vuol dire risparmiare decine e decine di milioni di euro, vuol dire tagliare importanti valori di costo in un bilancio. Da qui nasce il Value Gap: il divario di valore generato dai giganti della tecnologia (come YouTube, Spotify o Deezer) rispetto a quello corrisposto a favore dell’industria musicale.
Ma come si fa diffondere musica al massimo e tutelare l’industria?
Noi dobbiamo essere dei facilitatori e dare tutte le agevolazioni per acquisire le licenze: la gestione del diritto non può essere vessatoria e ostativa nei confronti degli utilizzatori di musica. Sarebbe assurdo. Bisogna comprendere tutte le necessità di un mercato che cambia con velocità e che ha la necessità di essere normato. L’errore da non ripetere è quello che già fece negli anni ’90 l’industria musicale: per paura di perdere il controllo a vantaggio delle nuove tecnologie che cominciavano ad affacciarsi come opportunità, il mondo discografico si è barricato, chiuso in se stesso. Ha perso almeno un decennio di proventi e business.
E allora qual è la ricetta?
Bisogna trovare le norme giuste. La musica deve essere profittevole per gli aventi diritto e facilmente utilizzabile per il pubblico: gli strumenti tecnologici dovrebbero essere strutturati in maniera tale da garantire a chi possiede i diritti la possibilità di marginalizzare e di avere una corretta retribuzione. Tecnicamente, oggi siamo in grado di avere un monitoraggio costante, da Roma a Sidney, della musica trasmessa dalle varie piattaforme, ma chi fornisce servizi con contenuti musicali ha più interesse a sottrarsi al controllo che a condividerlo.
Tanti anni in una sola azienda: qual è la musica di Warner Chappell?
Noi abbiamo una storia molto lunga, un catalogo editoriale che conta più di 1.2 milioni di brani, dai Red Hot Chilli Peppers a Mascheroni, dai GreenDay a Ligabue e Brunori Sas, da Laura Pausini a Ermal Meta. Siamo anche editori di colonne sonore di film, dagli anni ’70 ai giorni nostri. Non guardiamo a un solo genere musicale: il nostro lavoro è sviluppare e acquisire repertorio nel mondo della musica. Cerchiamo di intercettare tutti i generi musicali e lo facciamo sia con gli artisti che cantano loro stessi sia con gli autori che scrivono per altri, come Diego Calvetti, Emiliano Cecere, Federica Camba, Daniele Coro, Gianni Pollex, Giulia Anania e molti altri.
Per un artista qual è il vantaggio di collaborare con una multinazionale?
Non credo che la differenza tra multinazionale e società indipendente sia solo riconducibile a una definizione societaria. Le aziende sono fatte dagli uomini: ci sono sia società indipendenti sia multinazionali che operano con sensibilità, intercettando il fermento e le diverse correnti creative.
Come interpreta il suo lavoro?
Vivo a fianco degli autori. Sento la necessità di lavorare per collaborare con loro, anche quando sono molto giovani per poterli aiutare a scrivere gli evergreen di domani. Noi cerchiamo di dare a tutti un’opportunità per costruirsi uno spazio. La chiave è farli lavorare con chi è già affermato e permettergli di collaborare con artisti di un certo livello per confrontarsi con un mercato di alta classifica. Facciamo in modo che gli autori più affermati possano aiutare i più giovani a crescere, seguendo un percorso che abbia sempre una sua efficacia.
Di volta in volta aumentate il valore della scuderia.
Inseriamo un paio di autori nuovi all’anno, cerchiamo di mantenere il vivaio sempre attivo e lo nutriamo con nuova linfa: ogni periodo storico ha avuto autori di grandissimo profilo e anche oggi ne dobbiamo trovare di nuovi. Bisogna mantenere il livello di ricerca molto alto ed è importante consolidarsi su certi standard qualitativi. E poi, il giovane autore fa bene a tutti: è fonte di idee e linguaggi nuovi anche per i suoi colleghi più affermati.
Alcuni di questi nuovi nomi?
Mirkoeilcane e Ultimo interpretano un genere cantautorale con un linguaggio molto attuale, di grande efficacia. Brunori Sas è ormai un artista consolidato, maturo; come Ermal Meta, che ha uno stile molto personale e riesce a coniugare mainstream e cantautorato con grandi risultati.
Insomma, uno scenario confortante per tutta la musica italiana.
In generale credo che ci sia tanto valore in giro; bisogna andarlo a cercare, saperlo riconoscere per potergli dare la giusta opportunità. Dal punto di vista creativo in Italia viviamo un buon periodo: se la musica rispecchia la società in cui si sviluppa, allora mi sento di dire che la musica nel nostro paese sta performando meglio del resto che ci circonda.
Quali sono i progetti in cantiere per Warner Chappell?
Abbiamo una ricerca sugli autori sempre molto attiva. Lo scorso ottobre abbiamo fatto il nostro decimo camp di scrittura con i nostri autori. Credo molto nel lavoro fatto sul campo. Nei nostri nuovi uffici abbiamo predisposto uno studio di registrazione totalmente nuovo: per una società di edizioni musicale credo che questa sia una condizione abbastanza inedita. Oggi avere uno studio di registrazione all’interno dei propri uffici equivale al pianoforte e alla chitarra che negli anni ’60 e ’70 popolavano le sedi delle società editrici. Voglio che i giovani arrivino qui e ci facciano vedere quello che sanno fare, in tempo reale: la tecnologia ci aiuta e dobbiamo approfittarne.
È un invito a farsi avanti?
Chiunque può preparare una demo ben fatta e ha la possibilità di lavorare in autonomia e serenità: il nostro lavoro è artistico e creativo. Ma soprattutto è un lavoro artigianale.