News

Gli Who a Milano per il loro tour di addio nel ricordo di Ozzy e degli anni ’70

La band di Roger Daltrey e Pete Townshend passa dal Parco della Musica di Milano per il Song is Over Tour, per una serata dal volume altissimo ed emozioni forti

  • Il23 Luglio 2025
Gli Who a Milano per il loro tour di addio nel ricordo di Ozzy e degli anni ’70

The Who, martedì 22 luglio. Credits: Parco della musica di Milano_Vista Digitale

Nessuno ha mai saputo cosa si nascondesse dietro lo sguardo puro di Pete Townsend. In fondo, nessuno sa come ci si sente a essere un cattivo ragazzo con gli occhi azzurri. Se quel messaggio criptico fosse riferito al compagno di avventure Roger Daltrey o a se stesso non ci è dato saperlo. Gli occhi blu in ogni caso sono il simbolo della purezza, un’innocenza evidentemente persa nella vita veloce del rock n’ roll. Behind Blue Eyes è il pezzo che mi ha fatto scoprire la band pioniera del rock britannico degli anni ’60. Gli Who, ieri sera al Parco della Musica di Milano, l’hanno suonata per l’ultima volta di fronte a circa 10 mila fan, tra nostalgici over 60 e qualche ragazzo qua e là.

Durante il tragitto sulla M4 verso la fermata capolinea di Linate arriva una notizia inattesa. Il viaggio di andata è sempre una sintesi di aspettative e ripasso delle canzoni preferite. Questa volta aveva un sapore diverso. Ozzy Osbourne è morto all’età di 76 anni e sulla blu la notizia si diffonde rapidamente. Gli amici Pete e Roger lo ricordano dedicandogli l’intro del concerto. Si parte con Can’t Explain e si va rapidi verso la prima vera hit della serata. Who Are You è una canzone manifesto della discografia di Townsend, Daltrey, Entwistle e Moon. Perché in tre parole rappresenta la varietà della loro musica. Gli Who non hanno definizione. Non appartengono a una categoria o a un genere. Sono sempre stati iper-solidi e sono riusciti a fare di quella solidità un pretesto per continuare a decostruirsi.

Non ci sono punti di riferimento. L’unico è la chitarra di Pete Townsend e il suo modo di stare sul palco. Eclettico e allo stesso tempo cinico. Molto del suono degli Who è dovuto alle sue invenzioni. Il pickup della sua Stratocaster è sempre tirato giù al ponte. Nella posizione che garantisce il suono più ruvido, secco. Pochi bassi e molto tecnica twang. Complice l’acustica perfetta di Segrate, si percepisce ogni pennata nei soli e nelle ritmiche.

Pete fa il paio con il fratello minore, Simon Townshend, che ormai lo accompagna in tour alla chitarra acustica e ai cori dai primi anni 2000. Il grande assente della serata milanese è Zak Starkley. Il nepobaby batterista più famoso in circolazione, figlio di Ringo Starr, si presume avesse rinunciato al tour con gli Oasis, con cui ha suonato dal 2004 al 2008, per far parte del Song is over tour degli Who. È stato invece scaricato un paio di settimane da Pete Townshend, per motivazioni quantomeno controverse.

Si dice che avesse mancato due quarti durante un concerto di febbraio. Pete è storicamente un perfezionista e non glielo ha perdonato. Insomma, al momento Starkley si ritrova rimpiazzato da un magistrale Joey Waronker, in tour con i Gallagher, e da Scott Devours che è la bella scoperta della serata. È una spada ed è potentissimo. Si vede che suona con l’entusiasmo di chi ha solo assaporato l’irriverenza e l’estro folle di Roger, di cui era stato turnista per un tour solista, e Pete.

Il Song Is Over Tour degli Who passa da Milano

Nonostante il suono arrivi dritto e pulito, non è tutto rosa e fiori al parco Forlanini. Tanto che anche Townshend e soci si accorgono del clima stagnante di Segrate. È così che il chitarrista introduce The Seeker, una delle più partecipate della serata. “Questa canzone l’ho scritta in uno stagno in Florida, c’erano circa 40 gradi. Questa mi sembra la situazione perfetta per ripresentarla.”

Dopo 5:15 l’attenzione cala leggermente fino alla prova magistrale di Daltrey in Love Reign O’er Me. Sette minuti di emozione pura. Dietro queste grida disperate, Roger si porta anni di esperienza e vita vera vissuta. Poi si passa a Eminence Front, l’apice di Townshend, forse tra le sue canzoni più belle. Il mio momento preferito. È il biglietto da visita di un’artista totale, un chitarrista diversissimo da tutti i suoi altri colleghi dell’epoca. Non prova mai l’assolo che compiace il pubblico, tutto ciò che esce da quelle mani è frutto del suo gusto musicale, della sua visione.

Le hit che mancano alla lista a questo punto sono My Generation e Baba O’Riley. Arrivano puntuali e non serve neanche che Roger ci metta troppa voce. Fanno quasi tutto i diecimila di Segrate. Sono due inni generazionali, non serve neanche girarci troppo intorno. Si chiude con The Song is Over il perfetto epilogo di una serata ad altissimo volume e intensità. I ragazzi di Londra stanno ancora molto bene sul palco e forse avranno pensato che sia meglio lasciare così, con il vento in poppa.

Share: