In “A Complete Unknown” Timothée Chalamet è indiscreto e famelico come il Bob Dylan degli esordi
Giovedì esce anche in Italia l’attesissimo film con cui James Mangold riesce nell’impresa di replicare l’ottimo lavoro che fece con “Walk the Line”, e la star si conferma il mattatore della Gen Z
Il newyorkese James Mangold ha da sempre un’attrazione fortissima per la musica e i suoi protagonisti. Lo si capiva sin dal suo film d’esordio Heavy del 1995. Nonostante il titolo, questo suo primo lungometraggio fu un delicato spaccato della provincia americana tra misfits e il racconto di una certa mediocrità della vita quotidiana, dove recitavano Debbie Harry, Evan Dando dei Lemonheads e una quasi debuttante e bellissima Liv Tyler. Ma al di là del ricordo di Heavy, Mangold esattamente vent’anni fa fece uscire il notevole Ring of Fire, il film che si focalizzava sull’ascesa del grande Johnny Cash e dell’amore per June Carter.
Seguendo quel tipo di biopic, che non vuole tentare di raccontare tutta la vita di una star della musica, come spesso sta accadendo nel cinema oggi e che in sala funzionano (vedi Bohemian Rhapsody sulla vita di Freddie Mercury, Rocketman su quella di Elton John, Elvis per Elvis Presley o Respect su quella di Aretha Franklin), James Mangold si concentra con A Complete Unknown sul primo magnifico lustro della carriera di Bob Dylan. Ovvero, dal momento in cui Robert Allen Zimmerman da una zona anonima Midwest arriva già con il suo nuovo nome Bob Dylan, nel cuore della scena folk al Greenwich Village di NYC, fino ad arrivare al fatidico concerto al festival di Newport del 26 Luglio 1965, quando Dylan “osò” presentarsi con un complesso rock, capitanato da Paul Butterfield.
“A Complete Unknown” coglie l’unicità di Bob Dylan
Timothée Chalamet è stato magistrale nell’avvicinarsi al tocco sulla chitarra acustica e al canto di Bob Dylan (complice anche il lungo periodo di preparazione che era avvenuto durantE la pandemia) ed è riuscito ad essere sul set, indiscreto e famelico, proprio come lo era Bob da giovane. Il titolo del film A Complete Unknown oltre ad essere una dei celeberrimi passaggi di una delle canzoni simbolo di Dylan è quanto mai perfetto per questo film, perché Mangold tramite la maestria attoriale (degna degli antichi allievi del metodo Strasberg) ci fa capire che è impossibile “raccontare” completamente colui che è stato nella vita reale, protagonista assoluto ma anche abilissimo a sfuggire al protagonismo (tanto da disertare la premiazione al Nobel per la letteratura).
Il film coglie l’unicità di Dylan che non è la “solita” icona del rock ma anche un poeta, attingendo “dalla miniera del senso comune e dal pozzo del suo io”, come ha saputo affermare Patti Smith. E Dylan è anche un visionario, capace di cantare gli anni raccontati nel film come nessun altro. Con le sue lucide visioni apocalittiche e i suoi anatemi contro le forze del male di allora e che sono tremendamente ancora di attualità oggi. James Mangold con A Complete Unknown, non ci offre il “solito biopic”, perché questo film è anche un bell’insegnamento per chi oggi non vuole fare musica solo per sperare di essere conosciutissimo e al vertice della piramide degli streaming realizzati.
Qualche curiosità tra la realtà e la finzione
Ovviamente questo è un film e non un documentario, quindi ci sono delle aderenze alla vita di Dylan in quello stratosferico periodo, ma anche delle inesattezze o forse solo delle piccole “distorsioni” che però sono funzionali alla narrazione filmica. E ringrazio il collega Paolo Vites per alcune di queste osservazioni. Una delle inesattezze più risapute è il nome di Suzie Rotolo, ribattezzata nel film Sylvie Russo (su spinta dello stesso Dylan, per proteggerne la memoria). A proposito di Suzie Rotolo, nel film viene ampiamente sviluppato un triangolo amoroso tra lei, Joan Baez e Bob, cosa ampiamente smentita dalla la moglie del grande cantautore Dave Van Ronk, che è stata la prima manager di Dylan, prima di Albert Grossman e che in A Complete Unknown non viene putroppo mai citata. Joan Baez e Bob Dylan poi non hanno mai cantato assieme al Newport Folk Festival The Girl From Another Country.
Il momento clou di “A Complete Unknown”
E per finire, venendo al momento clou del film, la celeberrima e brevissima performance (tre pezzi) elettrica di Dylan al Newport festival del 26 Luglio del 1965 – che per molti critici musicali è il giorno in cui sono davvero iniziati gli anni ’60 nel rock – non è del tutto vero che la gente fischiava per disapprovare il passaggio dal folk al rock (cosa che successe soprattutto a Londra durante il tour per colpa di alcuni gruppetti di estremisti e fanatici del folk aizzati dal partito comunista in UK), anzi il pubblico fischiava perché voleva più Dylan e anche perché si sentiva davvero male il concerto. Dylan voleva una amplificazione migliore più potente, per dar maggior risalto alla sua band e ai colori della sua musica.
Anche in questo Dylan fu un anticipatore, un visionario, perché fino ad allora si suonava con una amplificazione quasi ridicola, tanto il suono dei Beatles o dei Rolling Stone erano coperti dalle urla delle fan. Infine è vero, deliziosamente vero che Albert Grossman e Alan Lomax si azzuffarono durante quella concitata perfomance al festival di Newport.