La classifica dei 20 migliori album internazionali del 2024
Da Charli Xcx a Kendrick Lamar, passando per Fontaines D.C., Billie Eilish e Last Dinner Party: ecco i venti dischi stranieri più belli usciti quest’anno
Fine dell’anno vuol dire bilancio dei dodici mesi appena trascorsi. In termini di musica è stato l’anno della rinascita del pop sbarazzino e colorato, degli album a sorpresa (soprattutto nel rap) e della conferma che il rock, in particolare quello irlandese e inglese, è in buonissima salute. Ecco i 20 album internazionali, usciti nel 2024, scelti dalla redazione di Billboard Italia.
20. RM – Right Place, Wrong Person
Ve ne avevamo già parlato qui, ma ad anno conlcuso, la convinzione che il secondo album solista di Nam-joon sia uno dei dischi più interessanti usciti quest’anno. Sì, va bene, è il leader dei BTS, ma qua non si parla di K-pop, o meglio, non in senso stretto. Right Place, Wrong Person è innanzitutto un progetto a 360°, raccontato anche in un documentario, che offre una gamma multiforme di sfumature. Urban, componente funky e persino alternative jazz. RM si destreggia rappando e cantando tra chitarre elettriche, bassi suadenti e il suo inseparabile sassofono. Anche le collaborazioni non sono da meno: ci sono Little Simz e Moses Sumney. (Samuele Valori)
19. Clairo – Charm
Ci sono artiste iconiche, altre che cercano di diventarlo, altre che fanno finta di esserlo. La riservata Clairo non è nessuna di queste, eppure il suo nome brilla come una stella. Con una produzione ormai piuttosto corposa (siamo al terzo album), l’artista non è certo una rookie, e infatti può permettersi di giocare da protagonista nel non banale campionato dell’indie pop. Questo disco aggiunge al suo piglio dreamy tocchi di pop music anni ’70 un po’ naif che lo rendono gustosissimo. (Federico Durante)
18. The Smile – Wall of Eyes
Il 2024 è stato molto proficuo per gli Smile che hanno pubblicato ben due album: uno all’inizio dell’anno, l’altro a seconda metà inoltrata. Tra Wall of Eyes e Cutouts, proprendiamo per il primo per organicità e momenti memorabili. Tra brani di “radioheadiana” memoria, come la titletrack, spunti orchestrali (I Quit) e una componente alt jazz ancora più pronunciata, grazie a un Tom Skinner che sale in cattedra, WOE è il miglior disco del trio composto anche da Thom Yorke e Jonny Greenwood. I due piccoli capolavori dell’album sono Teleharmonic – presente nella colonna sonora dell’ultima stagione di Peaky Blinders prima che se ne conoscesse il titolo – e la “suite rock” Bending Hectic. Otto minuti in cui ogni cosa è al posto giusto, al momento giusto, come in un film di Paul Thomas Anderson. (SV)
17. KNEECAP – FINE ART
«Ogni parola di irlandese pronunciata è un proiettile sparato per la libertà» dice il personaggio interpretato da Michael Fassbender nel film semiautobiografico, semi-ironico e semi-serio Kneecap, che racconta il contesto della nascita di questo primo disco del trio di Belfast. Siamo nel Nord dell’Irlanda e non nell’Irlanda del Nord. Mo Chara, Móglaí Bap e DJ Próvaí hanno fondato la band nel 2017, il giorno prima della marcia per la legge sulla lingua irlandese, riconosciuta solo due anni fa dal Regno Unito. Utilizzare il gaelico ha un significato profondo ed è un modo per rivendicare le proprie radici. Farlo rappando, su basi “zarre” mescolate alla musica folk irlandese, è hip hop allo stato puro. (SV)
16. English Teacher – This Could Be Texas
Una delle nuove band britanniche pronte a ridisegnare i confini del rock attuale e l’ennesimo debutto che lascia perplessi per qualità, atmosfere e suono. Ci sono le chitarre, ovviamente, il pianoforte, il violino e nella post-punk psichedelica The Best Tears of Your Life persino un pizzico di autotune. Lily Fontaine scrive e canta quello che vuole. Passa da brani che rimandano ai Black Country, New Road, a tracce che si barcamenano tra spoken R&B. Nearly Daffodils, Mastermind Specialism, Broken Biscuit, ma soprattutto Albert Road sono imperdibili e molto diverse tra loro. This Could Be Texas è un album che parla a chiunque pur essendo molto personale nelle liriche, un viaggio surrealista dalla campagna britannica fino alla città. Ha vinto meritatamente il Mercury Prize. Ah, e dietro c’è la produzione di Marta Salogni che si conferma un* dei produttor* migliori al mondo. (SV)
15. St. Vincent – All Born Screaming
Il nuovo disco di Annie Clark ha fatto meno clamore rispetto ai suoi precedenti lavori ma non è inferiore in qualità. Trattasi del primo album interamente prodotto da lei stessa e si avverte infatti una piena libertà di percorrere sentieri laterali di un territorio che sarebbe ormai riduttivo definire solo “electro-pop” (anche perché c’è tanto rock: ascoltare per credere). Il tutto dominato da una dimensione oscura, ansiogena, che dà forma alla maggior parte dell’album e che lo rende una delle opere più conturbanti di quest’anno. (FD)
14. Royel Otis – PRATTS & PAIN
Il duo australiano (qui la nostra intervista) è tra i più ascoltati nello Spotify Wrapped degli artisti. Australiani, misteriosi, pazzi e incredibilmente catchy. Diventati celebri per la loro irresistibile Oysters in My Pocket, alla prova del primo album, registrato e prodotto negli studi londinesi del mitico Dan Carey, piazzano il colpo perfetto. Melodie accattivanti, suono pop-rock che si mescola alle tastiere elettroniche, con giri di basso che trascinano l’ascoltatore in uno stato nostalgico, ma preso bene. Anche la versione deluxe non delude e contiene delle perle come If Our Love Is Dead e Til the Morning. Dove potranno arrivare non lo sappiamo, ma stanno già scrivendo il loro secondo album tra una data e l’altra del loro infinito tour mondiale. (SV)
13. The Last Dinner Party – Prelude to Ecstasy
Le hanno definite “industry plants” ma la verità è che ne vorremmo ancora e ancora, di creature dell’industria discografica, se i livelli sono questi (chissà perché poi lo stigma colpisce proprio i più bravi). Le Last Dinner Party sono un progetto nato maturo e si sente già dal loro album d’esordio, che unisce il pathos di Florence and The Machine, la delicatezza di Billie Eilish, la ricchezza compositiva dei Queen. Se la domanda “chi salverà il rock?” non fosse essa stessa un cliché, noi conosceremmo la risposta. (FD)
12. Bleachers – Bleachers
L’album eponimo del progetto “solista” dell’arci-producer Jack Antonoff è un’opera estremamente composita in termini di suoni, mood, stili, approcci. Un mosaico di ispirazioni che va dalla spassosa spacconeria rock and roll di Modern Girl all’introspezione di Alma Mater, con quel suo tocco così squisitamente cinematico e quella patina “glossy” da pop rock anni ’80 sofisticato che rende questa musica moderna e dannatamente nostalgica al tempo stesso. (FD)
11. Jamie XX – In Waves
Jamie è tornato e ci ricorda che la notte è più bella se si balla. In Waves è un grande e giocoso viaggio nel e sul dancefloor, mescolando generi il più possibile. Perché la vera etica della club culture è in primo grado l’accoglienza delle diversità. Ed ecco che trova spazio anche la poetessa Nikki Giovanni del Black Arts Movement e Honey Dijon per un travolgente gospel-house. Mentre Robyn, urla in Life: “Let’s fuck it up tonight”. L’omaggio più sincero al dancefloor di questi tempi sofferente. (Tommaso Toma)
10. Charli xcx – Brat
È un sabato mattina di giugno e siamo a Barcellona per il Primavera Sound. Riceviamo l’invito ad andare sulla Barcelloneta per un listening party del nuovo album di Charlie xcx, che salirà sul palco del festival a tarda notte. C’è un piccolo assembramento di fan, il suono si disperde e Charlie spunta a mala pena tra la folla. Mai e poi mai avremmo pensato che questo album sarebbe stato un fenomeno di costume a livello globale. Che il verde acido del titolo sarebbe diventato il colore dell’estate. Il termine brat utilizzato per qualsiasi ragazza che avesse avuto voglia di non rispettare le regole fieramente fino ad entrare nell’enciclopedia Treccani e ad essere usato da Kamala Harris. In tutto questo la musica non è assolutamente in secondo piano perché Charlie è tornata così grazie alla forza dirompente dei suoi brani. E l’anno prossimo al Primavera sarà infatti tra le headliner del festival. (Silvia Danielli)
9. Vince Staples – Dark Times
Se il rap d’oltreoceano quest’anno non ha vissuto di certo tempi bui il merito è anche di Vince Staples e del suo nuovo album, Dark Times, arrivato a distanza di due anni dall’ultimo RAMONA PARK BROKE MY HEART. Un disco sincero, diretto, maturo, in cui è evidente come il rapper abbia trovato chiarezza nel suo processo creativo e in cui i traumi ben sviscerati (e talvolta trattati con l’umorismo tagliente che lo contraddistingue, con testi che nascondono più significati) di una vita passata tra le gang di Long Beach si intrecciano con la vita di ora. Degne di nota anche le produzioni, più minimali rispetto a quelle cui Vince ci ha abituati dagli albori ma non per questo meno interessanti o sperimentali. Cosa ci auguriamo per il 2025? Sempre più album di questo livello. (GV)
8. Vampire Weekend – Only God Was Above Us
Nel disco aleggiano le nuvole scure del tempo che stiamo vivendo e l’apertura è con una distorsione di chitarra e un semplice “Fuck the world”. Forse non avrà la spontaneità melodica degli esordi o le finte ruvidezze di Contra. Ma da Father of the Bride si porta in eredità una sensibilità jazz, con le note suonate al contrabbasso e con gli ottoni, che rendono la grana del suono ancor più newyorkese. Bentornati vampiri del pop più raffinato in circolazione. (TT)
7. Billie Eilish – HIT ME HARD AND SOFT
Fino a poco meno di 48 ore dall’uscita, di Hit Me Hard And Soft Billie Eilish non aveva rivelato praticamente nulla. Nemmeno un singolo per intero, e per una scelta precisa: disimparare a decontestualizzare in un mondo iperconnesso ma sempre più frammentato, in cui una canzone viene recepita come un’effimera entità a sé stante e non come parte di un tutto più complesso. Hit Me Hard And Soft è infatti il disco più importante e vero di Billie, quello che riflette esattamente chi è oggi, nel bene e nel male, tra contemplazione, autoriflessione, amore e ossessione. Uno dei progetti più riusciti del 2024. (GV)
6. ScHoolboy Q – Blue Lips
Nel 2024 la West Coast ci ha dato parecchie soddisfazioni in fatto di hip hop, tra cui questo incredibile (e forse passato un po’ troppo sotto traccia) album di ScHoolboy Q. Quincy Matthew Hanley è sempre stato avvolto dall’aura dell’underdog, ma – come ha detto lui stesso – “mi va bene essere underrated, perché so che se ci fosse una Hall Of Fame dell’Hip Hop, io ci sarei”. E BLUE LIPS ne è la conferma.
Un disco estremamente autobiografico, che si regge su un costante dualismo narrativo e sonoro, aggressivo e smooth allo stesso tempo grazie a strumentali che non seguono mai la traiettoria che ti aspetti ma che vengono stravolte, rimaneggiate, e su cui ScHoolboy Q rappa sempre con disinvoltura. Il livello di questo album è così alto che è quasi difficile identificarne i picchi migliori, ma tra questi ci sono certamente Blueslides (tributo al compianto Mac Miller), oHio (con un sempre magistrale Freddie Gibbs) e THank god 4 me. Se il titolo è un riferimento all’essere così scioccati da rimanere senza parole, beh, BLUE LIPS ci ha fatto esattamente questo effetto. (GV)
5. The Cure – Songs of a Lost World
Un granitico ritorno (come l’immagine di copertina), un album che riallaccia un discorso sonoro che si era fermato con Disintegration. And Nothing Is Forever è in equilibrio tra cupezza e speranza, Drone:Nodrone è spiazzante, uptempo e addirittura leggermente funk. In All I Ever Am Robert mostra le sue fragilità ancora una volta, confrontandosi con la contemporaneità e nel suono fa venire in mente i New Order degli anni ’90. Sappiamo già che questo non sarà l’ultimo dei The Cure. (TT)
4. Charli xcx – Brat and It’s Completely Different but Also Still Brat is
Versione scintillante e ancor più potente di Brat, con una pletora di artisti incredibili. Notevoli i feat di Ariana Grande (che fa un figurone), Julian Casablancas (una sorpresa, ma fino a un certo punto, visto che aveva già collaborato con i Daft Punk), l’amica Shygirl, sostenitrice dello SWEAT Tour. E poi Bon Iver e Jon Hopkins, che non si mettono troppo in gioco, forse il verde acido non gli si addice. Ma a noi decisamente sì quest’anno. Irrefrenabile Charlie. (TT)
3. Kendrick Lamar – GNX
Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi sul fatto che il 2024 sia stato l’anno d’oro di Kendrick Lamar, in un freddo e piovoso venerdì di fine novembre il rapper di Compton ha spazzato via ogni perplessità pubblicando a sorpresa il suo nuovo album GNX. Sicuramente non il suo miglior disco (non c’è infatti la potenza narrativa di good kid, m.A.A.d city, così come l’impegno politico di To Pimp A Butterfly o la riflessione estrema di Mr. Morale & The Big Steppers), ma di certo – solo un gradino sotto DAMN – quello più immediato, istintivo, competitivo e soprattutto autocelebrativo.
K-Dot sa di essere il migliore e non si fa problemi ad ammetterlo, si fa baluardo della storia della West Coast attingendo a piene mani dalla gloriosa tradizione musicale di Los Angeles, con produzioni più minimali di Mustard e Soundwave più combattivi che mai, riecheggi di sonorità latine e un campionamento di Made N***z di Tupac in quel capolavoro che è Reincarneted. Insomma, GNX è la dimostrazione che a Kendrick Lamar non serve nemmeno fare il suo disco più riuscito per finire comunque in tutte le classifiche mondiali dei migliori album del 2024. (GV)
2. Fontaines D.C. – Romance
La sensazione è che probabilmente non è il miglior album della band irlandese, ma questo solo il tempo lo deciderà. Sta di fatto che Romance è uno degli album dell’anno per quello che rappresenta, sia a livello musicale, che per il gruppo stesso. Grian e soci hanno ampliato temi e suoni, dall’ossimorico amore e odio per il Paese che hanno abbandonato per inseguire i loro sogni si passa all’universale. E allora ecco James Ford, pronto a rendere grandi i Fontaines D.C. (qui la nostra intervista) come avvenuto con gli Arctic Monkeys. Oggi la band di Dublino è il manifesto della nuova scena rock, non più solo di quello che fino a qualche anno fa si semplificava con la dicitura “nuovo” post-punk. Il quarto album vive di chitarre disorte e acide, tra Korn e Placebo in Here’s the Thing, di influenze trip hop e rave con Starburster e delle parole di Chatten: uno dei cantautori più forti della sua generazione. (SV)
1. Tyler, The Creator – CHROMAKOPIA
Ci sono album che si portano sulle spalle aspettative altissime e riescono a non deluderle. Che sono pieni e rotondi, dove tutto torna, nei suoni, nei testi e nell’estetica. Allo stesso tempo sono sorprendenti perché all’interno di uno stesso brano se ne possono nascondere altri 3 perché riescono a cambiare ritmo in modo vertiginoso. Ce ne sono pochi, anzi pochissimi. Ma tra questi c’è sicuramente Chromakopia di Tyler, The Creator, l’album internazionale dell’anno per Billboard Italia. Da quando è uscito lunedì 28 ottobre cerchiamo solo di non ascoltarlo troppo ossessivamente. Per non stancarcene mai. (SD)