Gli album italiani più influenti dal 2015 a oggi
Da Calcutta ad Anna, passando per Sfera Ebbasta, Marracash, Massimo Pericolo e Ghali: venti dischi usciti negli ultimi dieci anni che hanno cambiato le regole del gioco
Dal 2015 a oggi la musica italiana ha attraversato una trasformazione profonda, forse la più radicale dagli anni Novanta. Quello che sta giungendo al termine è stato il decennio in cui la trap ha ridefinito linguaggi, immaginari e metriche di successo, mentre l’indie ha smesso di essere un’alternativa per diventare il nuovo pop, penetrando il mainstream senza perdere del tutto la propria identità. In questi anni, infatti, sono usciti degli album italiani influenti che non si sono limitati a fotografare il presente, ma lo hanno modellato, intercettando mode e diventando modello di intere generazioni di artisti e ascoltatori. Dischi capaci di unire successo commerciale e originalità, di parlare a pubblici diversi e di aprire strade nuove, spesso inaspettate.
Questa selezione dei 20 album italiani più influenti del decennio non vuole essere una classifica definitiva, ma una mappa. Un percorso dentro un decennio in cui i confini tra generi si sono dissolti e la musica è tornata a essere uno specchio fedele del tempo che viviamo.
Calcutta – Mainstream (2015)
È il 2015 quando un giovane cantautore di Latina pubblica un disco che sembra scritto e registrato di getto in cameretta ma che di lì a poco ridefinirà i confini di un genere e segnerà un’intera generazione di cantautori e ascoltatori. Nato con la benedizione di Niccolò Contessa, padre putativo di tutti coloro che nell’indie italiano riponevano il proprio credo, con Mainstream Calcutta ha cristallizzato un passaggio culturale ormai irreversibile: la fine della distinzione tra indie e pop e la nascita dell’itpop. Le imprese straordinarie delle rockstar e dei rapper lasciano spazio a una malinconia normale e riconoscibile, la smania di essere sempre performativi e perfetti sparisce di fronte all’insicurezza e alla presa di coscienza che, alla fine, siamo tutti falliti e tutti esauriti.
Cosa mi manchi a fare è un grido rassegnato ma pieno di speranza di chi un giorno sa che reimparerà anche a camminare. Gaetano un inno di chi cerca ancora un pretesto per lasciare andare. Del verde ancora la dichiarazione d’amore più bella di chi un mondo precario cerca solo qualcosa di fermo a cui aggrapparsi, Frosinone la canzone perfetta da urlare di notte. Da lì tutti vorranno farlo come Calcutta, ma certi dischi sono come miracoli: accadono solo una volta.
Iosonouncane – DIE (2015)
Quando uscì DIE di Iosonouncane ci si stupì del fatto che una cosa del genere fosse possibile. Poi il successo che ne seguì amplificò ulteriormente l’effetto stupefacente. Sei brani, alcuni oltre i sei minuti, che oggi, a dieci anni di distanza, guardano ancora al futuro. Sperimentazione allo stato puro, ma senza essere fine a se stessa, che riesce a essere anche accessibile. Esempio principe è la folktronica di Stormi o il modo in cui la tradizione si mescola all’elettronica nella traccia d’apertura Tanca. Il territorio trasfigurato emerge anche nelle tracce più distanti, come Buio o la conclusiva Mandria. Sullo sfondo, ma nemmeno troppo, la storia di due amanti raccontata sia in modo corale che in brani che rispecchiano un unico punto di vista. Da DIE inizia un movimento di recupero e rivisitazione che procede tuttora con artisti come Daniela Pes, Gaia Banfi, LA Niña e Massimo Silverio.
Sfera Ebbasta – XDVR (2015)
Sfera Ebbasta e Charlie Charles intercettano un’estetica ancora grezza ma già globale, prendono Cinisello Balsamo, paese dell’hinterland milanese, e lo portano alla ribalta con un pezzo che diventa una hit generazionale come Ciny. In XDVR c’è l’autotune come semplice strumento e non più soltanto trucco. C’è la trap ed è utilizzata per raccontare al meglio le storie di tutti i giorni. È uno degli album italiani più influenti perché normalizza un immaginario che oggi diamo per scontato ma che nel 2015 non lo era affatto. Tutto quello che è arrivato dopo in Italia all’interno del genere, parte da lì.
Marracash & Guè – Santeria (2016)
La storia del rap italiano è costellata di joint album, ma con un certo margine di sicurezza ci sentiamo di dire che nessuno ha avuto lo stesso impatto di Santeria di Marra e Guè. Non solo per quell’inno degli zarri di tutti i quartieri che è Scooteroni, per una super hit come Insta Lova che anni dopo è tornata al numero 1 della classifica Spotify o per brani come Nulla accade, Salvador Dalì (“Per non farmi legare il legale consiglia negare il legame illegale” rimane un esempio di sofisticatissima ignoranza di paronomasia) e Film senza volume in cui il liricismo della coppia di campioni tocca vette altissime, ma soprattutto per il culto che si è creato attorno al progetto.
Sarà perché siamo letteralmente di fronte ai due dei rapper più iconici della storia italiana, ma non c’è album il cui sequel sia chiesto a gran voce come Santeria, e dal 2016 in poi chiunque abbia deciso di fare un disco di coppia ha dovuto confrontarsi con il peso di un precedente del genere.
Thegiornalisti – Completamente Sold Out (2016)
Dopo Fuoricampo, pubblicato nel 2014, i Thegiornalisti portano a compimento la loro parabola con un disco che ha consacrato non solo loro, ma un genere. Quello che hanno concepito Tommaso Paradiso, Marco Antonio Musella e Marco Primavera è un immaginario sonoro ben definito che univa i testi di matrice indie a strumentali synth pop e ritornelli da stadio. I sintetizzatori di Completamente, L’ultimo giorno della notte e quelli malinconici de Il tuo maglione mio, hanno dato vita a un marchio registrato. Ascolti un brano italiano con un arpeggio di synth nostalgico e subito torni con la testa al 2016. Riascoltando questo disco dopo quasi un decennio è inevitabile sentire un vuoto allo stomaco – magari ripensando alla prima volta in cui abbiamo sentito certi pezzi – alla luce di come sono finite certe storie che abbiamo vissuto con quella colonna sonora, alla luce di come è finita quella della band.
Motta – La fine dei vent’anni (2016)
Non appena parte Del tempo che passa la felicità ti graffia quel misto di rabbia e romanticismo che contraddistingue ogni lavoro del cantautore toscano. La fine dei vent’anni è uno dei dischi d’esordio più rilevanti degli anni Dieci, per il cantautorato e per il rock italiano. In un’estate italiana dominata dai suoni nostalgici e puliti dell’indie, la chitarra, la voce pesante e sempre in bilico, i tocchi orchestrali e cinematografici di brani come Una maternità, la produzione (con Riccardo Sinigallia) di Motta rappresentano insieme una novità e una riappropriazione di certi suoni e stilemi. Un luogo sicuro per chi combatte la sua guerra personale con il mondo, per chi si deve salvare e chi, alla fine dei vent’anni, deve ancora “trovare parcheggio”.
Carl Brave x Franco126 – Polaroid (2017)
Una produzione semplice e scarna con quasi sempre una chitarra e un tappeto di suoni elettronici. Due voci che si alternano per testi che raccontano le piccole grandi storie dei ragazzi di Roma con tanti particolari specifici, talmente specifici che finiscono per diventare universali. In qualsiasi luogo d’Italia si ascoltassero. Ironico e scanzonato, il modo di raccontare di Franchino e Carlo, con quella cadenza romana così evidente, diventa davvero emblematico per tutta una generazione di cantautori che arriverà dopo. Polaroid è il primo album agro-dolce e fondamentale di due amici che poi si sono allontanati. E per questo è ancora più unico.
Ghali – Album (2017)
Spesso sentiamo dire che un artista ha rappresentato un punto di rottura tra un prima o un dopo, ma pochi incarnano la vera essenza di questa frase. Ghali è certamente uno di questi. Non solo perché è annoverabile tra i capostipiti della trap italiana, ma perché è stato la prima figura in cui un’intera generazione – quella dal background migratorio – ha trovato una voce e una rappresentazione. Certo, non che prima di lui i rapper di seconda generazione mancassero, ma nessuno ha avuto lo stesso impatto e la stessa importanza culturale e – perché no – politica.
«Da piccolo guardavo i cartoni animati e non c’era nessuno che mi assomigliava, ascoltavo la musica e nessuno mi assomigliava. Poi è arrivato Ghali e finalmente mi sono rivisto in qualcosa e ha dato a tutti noi la speranza di dire “possiamo farlo”»: a raccontarcelo era Astro, ma questo vale anche per tutti gli altri a cui il rapper italo tunisino ha spianato la strada, in primis grazie ad Album, il suo – appunto – album di debutto.
Una ghetto opera che non suonava come nessuna cosa avessimo mai sentito in Italia che potremmo definire di formazione individuale e collettiva scritta da un “figlio di una bidella, con papà in una cella” che in tre barre metteva già nero su bianco il suo intento: “Non sono un politico, io non cerco consensi, fuck ciò che pensi”. Da quel momento tutti cantano hit come Habibi e Happy Days e la storia del rap italiano cambia per sempre, accorciando le distanze tra noi e il resto dell’Europa.
Ketama126 – Rehab (2018)
“Ho un virus che ha infettato la tua strada, stai provando a fottere Ketama: stai fottendo una puttana con la scabbia. Se voglio la droga, mi drogo. Se voglio scopare, la scopo”. Basterebbe questa frase tratta da Lucciole per capire l’essenza di Rehab. Mentre nello stesso anno a Milano Sfera Ebbasta pubblicava un disco a tinte coloratissime come Rockstar, a Roma la storia era tutt’altra: sui gradini di Trastevere – tra cocci di Peroni e influenzato dal suo background punk e grunge che trova in questo disco la sua massima espressione – Ketama scriveva il suo manuale distruzione, un’opera cupa e nichilista che parla a tutti gli Angeli caduti dei bassifondi, quelli in cui fare schifo non è una colpa e dove si parla di droga perché non si fa altro, mandando a fanculo la rehab come Amy Winehouse aveva fatto 12 anni prima.
Un disco sporco e che vuole esserlo sempre di più, fino a scavare nel marcio e arrivare a disgustare, che sembra più quello di una rockstar consumata arrivata al punto più basso della sua vita che ci sbatte in faccia con una verità disturbante che la trap italiana – sempre più patinata e preda del lusso – non ritroverà più.
LIBERATO – LIBERATO (2019)
Quando esce quest’album la storia è praticamente già stata scritta dai singoli, qui contenuti, usciti nei mesi precedenti. Una storia scritta da un autore di cui non si conosce l’identità ma che è in grado di catalizzare l’attenzione su di sé come pochissimi altri. Il 9 maggio del 2017 era uscito il primo brano, si intitola Nove Maggio e segna il precedente. Da lì ogni 9 maggio Liberato farà succedere qualcosa, che sia pubblicare una canzone o fare un annuncio. Siamo davanti a un sound all’avanguardia tra r’n’b ed elettronica, un video curatissimo girato da Francesco Lettieri (come tutti gli altri) e un testo – d’amore – in napoletano strettissimo.
Tutti iniziano a impazzire per capire chi ci sia dietro il cantante incappucciato ma non è solo quello. Anche dopo che un nome è uscito in maniera praticamente certa, le persone non perdono interesse verso il fenomeno (perché questo è diventato), anzi, iniziano ad amarlo sempre di più e anche all’estero. Nell’album Liberato si concentrano tutti i brani culto e se non bastasse viene anche creato un mini film con quelli inediti. Se non è essere influenti questo…
Night Skinny – Mattoni (2019)
Con i suoi album Night Skinny ha sempre avuto la capacità di riunire la scena del passato, fotografare quella del presente e la lungimiranza di intercettare quella del futuro (come dimostra la saga di Players Club, iniziata nel 2023 con dei semi-sconosciuti Kid Yugi, Tony Boy, Artie 5ive, Nerissima Serpe, Papa V, Astro e Low Red e diventata ormai una cartina tornasole per capire dove sta andando il rap italiano). Mattoni non è il suo primo producer album (c’erano infatti Zero Kills nel 2015 e Pezzi nel 2017), ma è certamente quello che lo ha portato al centro del rap mainstream, nonché anticipatore di un filone (e di una comunicazione – chi si ricorda la giornata passata a capire chi fosse nel disco dai vocali condivisi da Skinny?) che in tanti hanno provato a replicare con risultati più o meno riusciti.
Dal 2019 in poi, sulla scia del successo di quel disco (che contiene un inno generazionale come Stay Away), molti infatti sono stati i produttori che si sono lanciati nell’ardua impresa di un producer album, ma nessuno – a parte OBE di Mace – è rimasto davvero impresso nell’immaginario collettivo. Mattone dopo mattone, Night Skinny sembra aver costruito un muro difficile da oltrepassare.
Marracash – Persona (2019)
La parola del decennio per Marracash è stata “trilogia”, iniziata con il monumentale disco del 2019 che è considerato il punto più alto della poetica del King del rap. Un progetto che ha veramente cambiato i giochi del nuovo millennio e che ha sdoganato definitivamente un concetto fondamentale che, in un genere dove machismo è una delle parole d’ordine, qualche anno fa era ancora un tabù. Anche gli uomini soffrono, e molto, e se addirittura Marra non si vergogna di ammetterlo la via è libera per tutti.
Con Persona Fabio ha ucciso Marracash per poi ricostruirlo, un pezzo alla volta, più forte di prima, ma per farlo doveva scavare nelle viscere di temi che da quel momento in poi – in un mondo che scopre l’isolamento che ci mette di fronte a quelle parti di noi che nella frenesia della routine avevamo ignorato – diventano cardinali nel rap: la solitudine, la depressione e la salute mentale nel suo aspetto più crudo e autentico. Un vero e proprio classico che non si esaurisce nel suo tempo, ma che continua a parlare alle nuove generazioni diventando ogni anno che passa più attuale che mai. Da lì la rinascita che qualche anno dopo porterà a un altro capolavoro firmato dal rapper di Barona.
Massimo Pericolo – Scialla Semper (2019)
Quel “Mi sono fatto due anni” urlato su una base noisy e distorta è l’attacco più potente del rap italiano degli ultimi dieci anni. Perché 7 Miliardi al primo ascolto ti dà fastidio. Immediatamente traghettato in una provincia nebbiosa e noiosa dove il traffico e il consumo di droga sono l’unica soluzione alla monotonia e alla povertà, ti senti sporco perché quella rabbia la inizi a provare pure tu e non ti senti giustificato nel farlo dato che “una vita decente” ce l’hai. “Il futuro senza un futuro” della scena italiana di colpo ha il suono fastidioso della drill UK e il volto di un ragazzo di provincia che dà fuoco alla sua tessera elettorale.
Non interessano gli incastri perché la vita non va a tempo come la strofa cruda di Ugo Borghetti in Ansia. La normalità che diventa eccezionale nello storytelling di Amici, il racconto del carcere in Scialla Semper e la poesia disincantata di Sabbie Mobili su una base alt-jazz sono le vette di un disco irripetibile. Un urlo disperato dai margini della musica italiana, quelli a cui non interessa Milano (anzi, quasi la schifano), quelli che a forza di calci si sono presi il centro della scena. Se oggi la provincia, con i suoi disagi, solitudini e pregi, ha un suo spazio, è anche merito di Vane.
BLANCO – Blu celeste (2021)
La metrica è uno strumento che si può utilizzare per stupire con la tecnica, conferire eleganza a un testo o per trasmettere delle sensazioni attraverso il ritmo. Quando BLANCO approda nella discografia italiana è un quasi diciassettenne che spezza i versi adattandoli ai suoi respiri e all’attitudine punk che traspare dal suo modo (unico e riconoscibile) di scrivere. La titletrack Blu celeste è il brano che testimonia come il suo stile è applicabile anche su pezzi senza chitarre e uptempo che mettono le ali come Pornografia (Bianco Paradiso) e Finché non mi seppelliscono. Con il suo debutto Riccardo Fabbriconi – e il fido Michelangelo – hanno creato un canone cantautorale in cui si rispecchiano le nuove generazioni stanche del bel canto. La voce si spezza senza perdere l’intonazione in Notti in bianco e Paraocchi restituendo a tematiche “giovanili” il dono dell’universalità. Se oggi BLANCO scrive anche per Giorgia, un motivo ci sarà…
Madame – MADAME (2021)
«Quando ho sentito 17 è stato assurdo: lei parlava di sentirsi brutta e diceva tutte quelle cose che gli uomini non dicono mai»: ci diceva così Ele A nella nostra intervista quando, alla domanda se ci fosse stata una ragazza nella musica che l’avesse fatta sentire compresa, rispondeva senza dubbio Madame. Nel 2021, anno dell’uscita del suo omonimo album d’esordio, Francesca aveva solo 19 anni, eppure nelle 18 tracce c’era una maturità lirica e di pensiero così elevata che ancora oggi sembra essere stata sputata da un altro pianeta.
Se tre anni dopo Anna darà forma a una femminilità colorata, fiera e sbarazzina, quella raccontata in Madame è un’identità fluida, in continua distruzione e costruzione, incupita dai dubbi e dalle domande, a tratti scabrosa per un Paese ancora tristemente abituato a considerare la donna come oggetto e non come soggetto sessuale che può avere pulsioni e desideri. Madame parla di rapporti familiari complicati, del rigetto per se stessa ma anche di autoerotismo, di vulnerabilità e forza, di emozioni confuse ché a 20 anni è normale così, di vita vissuta ma anche di morte. Uno dei debutti più deflagranti del decennio: così personale e così tremendamente generazionale.
Marracash – NOI, LORO, GLI ALTRI (2021)
Se Persona era il disco di Fabio immerso dentro se stesso, NOI, LORO, GLI ALTRI è l’album di Marracash dentro il mondo che lo circonda e che sta andando in frantumi. Arrivato a sorpresa due anni dopo l’inizio della trilogia, questo disco ha consacrato definitivamente il suo autore come figura intellettuale contemporanea di spicco, capace di fotografare in modo complesso e puntuale una società sempre più frammentata e polarizzata e che si muove su una tensione costante tra identità e appartenenza (Noi), conflitto (Loro), l’indifferenza da cui la massa oggi è accecata (Gli Altri) e i Dubbi che la affliggono, scrivendo con questo pezzo quella che è forse la pagina più transgenerazionale del del rap italiano, che partendo da una storia che non è niente di eccezionale finisce per diventare ecumenica.
Marra diventa così non solo il rapper che piace alla strada, ma quello che la porta nei salotti buoni della borghesia, talvolta persino diventando il rapper preferito di coloro che sono sempre stati il suo bersaglio. Un golpe culturale che sfonda non solo le classifiche, ma anche le porte del Premio Tenco, dove proprio con NOI, LORO, GLI ALTRI trionfa nella categoria Miglior album in assoluto.
Lazza – SIRIO (2022)
Secondo la mitologia, re Mida aveva la capacità di trasformare in oro tutto ciò che toccasse. Chissà se nel 2019, quando ha pubblicato l’album che riprendeva proprio il nome del figlio di Zeus e Cibele, Lazza poteva immaginare che un giorno avrebbe tramutato un disco in diamante. Lo ha fatto con Sirio, non solo l’album con più settimane al primo posto nella storia della FIMI (21 settimane non consecutive, battendo il precedente record detenuto da Vasco Rossi con Vivere o niente), ma il primo della storia del rap italiano dai tempi di Così com’è degli Articolo 31 (1996) a raggiungere la certificazione massima con oltre 500mila copie vendute. Un disco che ha rappresentato la consacrazione definitiva di Lazza come un punto fermo non solo del rap e un hitmaker assoluto. Non fosse altro perché contiene Cenere, una delle canzoni più di successo che siano mai uscite dal Festival di Sanremo.
Nu Genea – Bar Mediterraneo (2022)
Prima del 2022 Napoli era stato al centro della scena italiana, almeno quella mainstream, soprattutto grazie al rap. Bar Mediterraneo, terzo album del duo Nu Genea, ha fatto riappassionare, in alcuni casi proprio scoprire, il lato musicale più fusion della città. Già dal titolo gli intenti sono chiari. Il Capoluogo campano è il crocevia di tutte le culture del Mare Nostrum e si trasforma in un bar a “stereo aperto”. E allora il funky si unisce all’afrobeat, come in Vesuvio e Gelbi mentre il jazz è una presenza costante e si mimetizza con la tradizione. Ne viene fuori un album cosmopolita che, con brani come Tienaté e Marechià, ha ridato spolvero a generi rimasti più in ombra.
Geolier – IL CORAGGIO DEI BAMBINI (2023)
IL CORAGGIO DEI BAMBINI è stato il primo grande crocevia della carriera di Geolier. «Mo si n’ommo» ripete Emanuele nel ritornello dell’opening RICCHEZZA come un monito per ricordarsi che da questo momento può cambiare tutto. Dopo un debutto sorprendente il bivio tra normalità e la conquista della corona era evidente. Geolier ha alzato il livello sotto ogni punto di vista. Le strumentali più elaborate ed evocative, come in MONEY, MARADONA e I AM, il racconto ancora più dettagliato e immerso tra i dilemmi e gli stratagemmi della gente comune, quella del rione da dove è dovuto andarsene ma che abita ancora con l’anima e le parole. Un’altra scelta azzeccata, dimostrata anche dalla bellissima copertina di un disco che ha sancito la centralità del rap napoletano e non solo. Perché CHIAGNE è un brano pop di finissima fattura.
ANNA – VERA BADDIE (2024)
Ci sono innumerevoli punti di vista da cui si potrebbe partire per analizzare Vera Baddie. Potremmo dire che è il disco di debutto della rapper più importante e influente che abbiamo mai avuto (per il terzo anno consecutivo la donna più ascoltata in Italia). Potremmo parlare del fatto che, nel 2024, è stato il disco rimasto più a lungo alla prima posizione in FIMI (ben 9 settimane consecutive), il terzo più venduto in assoluto e il primo tra quelli di un’artista donna. Si potrebbe parlare di tutto questo, ma nessuna analisi sui numeri eguaglierà mai quella sull’impatto umano che questo album e Anna hanno avuto su uno spettro generazionale femminile che va da bambine piccolissime che sognano di diventare una baddie a donne over 30 che hanno finalmente trovato la definizione perfetta al proprio modo di essere.
Grazie ad artiste come lei e Charli xcx, il 2024 è stato l’anno delle ragazze (e noi abbiamo voluto celebrarlo con il nostro Girls Issue, di cui la rapper spezzina è stata protagonista indiscussa), e Vera Baddie ha reso Anna un vero e proprio fenomeno di cultura pop che ha allargato i suoi confini. Non è più (solo) musica: è rappresentazione, quella che nel nostro Paese era mancata a lei e a tutte noi. Che piaccia o meno, Anna è riuscita in quello che nessuna artista italiana delle nuove generazioni (e forse non solo) era ancora riuscita a fare. Diventare un benchmark, un modello a cui ambire, un punto di riferimento per tutte le ragazze che ci sono e quelle che arriveranno a cui ha dato finalmente qualcosa in cui credere davvero.
