Benvenuti nell’universo di Aluna, dove i contrasti si ricongiungono
I pezzi del secondo album solista giocano la carta di un’elettronica sognante e nello stesso tempo piena di groove e sensualità
Quello di Aluna Francis (già componente degli AlunaGeorge insieme a George Reid), giunta al secondo disco solista con il nuovo, brillante, Mycelium, è una sorta di universo parallelo. Fatto di contrasti. Un mondo del possibile in cui alto e basso, radici e futuro, aria e terra, bianco e nero, sofferenza e glamour diventano parte di un tutto organico. Proprio come l’immagine del titolo.
Ci sono altri universi del possibile che potrebbero riconoscersi nell’immaginario molteplice di Aluna. Dal Sudafrica a un rave, dalle Boiler Room a una strada dell’East End. Dopo il cosmopolitismo del precedente Renaissance, i nuovi pezzi giocano la carta di un’elettronica sognante e nello stesso tempo piena di groove e sensualità.
La comunità black e quella LGBTQ+ si sovrappongono e incrociano come risultato di una serie di collaborazioni molto intense e mirate, ognuna delle quali ha una storia precisa in cui addentrarsi e diverse provenienze geografiche. Dal Sudafrica di KOOLDRINK al Brasile di Pabllo Vittar, passando per Panama e Parigi fino a tornare alla Londra d’adozione. Mycelium è un album come vorremmo fosse il futuro.
Ascolta Mycelium di Aluna
L’intervista ad Aluna
Ascoltando Mycelium si ha una sensazione di energia felice, una specie di invito caldo, avvolgente a partecipare ad una community. Come sei arrivata questo risultato?
Io non sono assolutamente una persona amante della dimensione collettiva, virtuale o reale che sia. Forse posso dare quell’impressione, ma al contrario ho una attitudine piuttosto solitaria. La community che hai avvertito è una realtà e sono molto contenta che la si possa percepire da fuori. Però è qualcosa che ha preso forma una volta che il disco era concluso.
Solo quando le canzoni erano finite, la scaletta decisa e c’era un senso complessivo a dare unità ai pezzi, mi sono resa conto di quanto ogni fase dell’esperienza fosse connessa con le altre e ci fosse anche un filo rosso a unire le persone che vi hanno partecipato.
Come hai gestito i diversi featuring presenti nel disco?
Come ti dicevo, non sono una persona molto sociale. Il rapporto è stato individuale con ciascuno di loro, la modalità di lavoro è stata intima, interattiva e soprattutto voluta. Nessuno dei featuring sarebbe esistito senza il brano corrispondente e viceversa. Per questo si è creata la community di cui parlavi.
Sei contenta del risultato?
Molto. Di solito quando finisco un disco sono quasi in difficoltà a condividerlo con le persone. Questa volta è stato invece completamente diverso. Qualche sera fa durante un release party ho visto della felicità dipinta sul volto della gente e ho capito che ero pronta a spossessarmi di questi pezzi e a lasciare che appartenessero alla gente e allargassero la community.
Pensi che l’armonia del dancefloor possa avere un valore anche simbolico, diventare una sorta di modello?
Credo che in questo disco ci sia una visione olistica delle relazioni fra le persone. Nella nostra vita di ogni giorno molti problemi sono legati al fatto che ciascuno di noi vuole essere una sorta di eroe in grado di fare tutto da solo e meglio di chiunque altro.
In realtà più che di superare gli altri abbiamo bisogno di essere sempre più bravi a metterci al loro livello, nel senso di lavorare insieme, agire su un piano di interesse comune.
Hai lavorato così anche a Mycelium?
Assolutamente. Da un lato non mi interessava lavorare con mega-produttori ed essere una marionetta nelle loro mani. Dall’altro non mi sento affatto la regina di questo disco. Sono una persona che ha lavorato con delle altre, in modo paritario, impegnandosi a fare buona musica.
Ti sentivi allo stesso modo anche dopo il disco precedente?
No. C’erano molte più cose irrisolte, anche se facevo fatica a capire quale fosse il punto. Ci sono voluti dei mesi ma alla fine ho avuto chiara la questione. Non sono un’attivista, ho bisogno di parlare da persona a persona con i miei fan, individualmente, non come a una somma generica di individui anonimi.
È questo il concetto espresso dal titolo?
Esatto. Il micelio è una rete di cellule che si infiltra nella natura per dare nutrimento. Non mi interessa della fioritura o dei frutti, mi interessa di quello che si deve fare quotidianamente per arrivare, un giorno, ai frutti. È questa la sostanza profonda del cambiamento.
Si può dire che questo desiderio di profondità stia anche nei suoni di Mycelium, così ricco di bassi profondi e sensuali?
Sì. È proprio una questione di mio gusto personale. Di tutta la musica dance che ho ascoltato, quella che trovo da sempre più interessante è una drum & bass con bassi profondi e sporchi, lo-fi. Nello stesso tempo però mi piace che la mia voce suoni aperta e brillante. E questo non è affatto lo-fi. Amo i contrasti.
Parlavi prima di simboli. L’uso dei bassi vuole anche significare, in senso filosofico, il recupero delle radici black della musica nera.
Rientra in questo recupero anche l’ospitata di Kooldrink?
Certamente. Anche in questo caso si parla di contrasti, così come possiamo trovarli nella musica house del Sudafrica, l’Amapiano. L’idea di separazione generata dall’Apartheid viene rielaborata come reazione fisica, con l’uso dei synth che spingono dal basso. Su queste fondamenta viene posata una musica aerea e meditativa, come una fuga da una realtà troppo dura da sostenere.
Un po’ come succede in Glamour, la traccia con Pabllo Vittar e MNEK, prodotta da Eden Prince?
Esatto. Il glamour è riscatto, è liberarsi dalle catene della società. Le persone di colore e le persone LGBTQ+ usano il glamour per festeggiare la capacità di reagire e risplendere.
Questi contrasti nel disco funzionano bene perché si tratta di una produzione coerente, compatta a livello sonoro. Come è stata ottenuta?
Anche se si tratta di un album di dance, il disco nasce da jam fatte con le tastiere analogiche. Mi piacciono molto. Ero interessata a sondare questa modalità istintiva, procedendo in modo che i pezzi nascessero da un approccio diretto, non da lunghi ripensamenti fatti usando le macchine digitali.
Inoltre, a differenza del disco precedente, durante la cui preparazione ho attraversato varie fasi di sperimentazione, in questo caso potete ascoltare gran parte della musica che abbiamo suonato.
Sento anche un’influenza della Ninja Tune, sei d’accordo?
Assolutamente. Per me è un’etichetta di riferimento, che ha consentito alla musica dance di alzare il livello qualitativo e le ambizioni. Gran parte dei miei ascolti preferiti in ambito dance in un modo o nell’altro riconducono alla Ninja Tune.
Mine O’ Mine, la traccia con Jayda G, è una delle mie preferite del disco.
Lo è anche per me. Alla base c’è un’idea della dance come di una musica che non rimane fissa nei suoi confini, ma cerca di osare, di spostarli in avanti.
Come definiresti il nuovo live che ti accingi a portare in giro?
In realtà ne sto preparando due diversi. Uno è pensato essenzialmente per la dimensione del clubbing e ha solo me come performer sul palco. Ma questa volta, finalmente, dopo lo stop forzato della pandemia, avrò la possibilità di portare in giro anche uno show con una band vera e propria. I pezzi rendono benissimo, perché di fatto sono nati già come delle jam. Mi sto ispirando agli LCD Soundsystem.
È sempre complicato far suonare bene dal vivo un progetto elettronico, ma questa volta direi che ci siamo. Stiamo provando e ogni volta che suoniamo mi sembra di salire su un’astronave.