Top Story

Gli Arcade Fire affrontano l’elefante (rosa) nella stanza

“Pink Elephant”, il settimo album della band canadese, è il primo dopo le accuse nei confronti di Win Butler. Un disco più omogeneo e ispirato del precedente e che parla di fiducia, mira al cambiamento e in cui però il gruppo ritrova solo in parte la vena lirica e poetica

  • Il1 Maggio 2025
Gli Arcade Fire affrontano l’elefante (rosa) nella stanza

Cercare di sopprimere a tutti i costi un pensiero negativo provoca spesso un “effetto rimbalzo” che lo rende ancora più intrusivo. La negazione mentale diventa a sua volta sempre più drastica, ma il risultato è sempre quello opposto. In psicologia lo si definisce il paradosso dell’elefante rosa. Nel 2022, poco dopo l’uscita di WE, Win Butler venne accusato da quattro persone di diversi casi di cattiva condotta sessuale che sarebbero avvenuti tra il 2016 e il 2020. Nonostante il frontman degli Arcade Fire e la frontwoman – e sua moglie – Régine Chassagne abbiano negato le accuse, l’ascolto di quel sesto disco è stato in parte inficiato da un retropensiero. Così i concerti della band, abbandonata da Feist che avrebbe dovuto essere loro opening. Il Pink Elephant ha tormentato gli Arcade Fire e molti dei loro fan negli ultimi anni.  

Se il tour celebrativo di Funeral, artisticamente ed emotivamente, era sembrato un processo di redenzione, questo settimo disco nasce con l’idea di essere un nuovo inizio. Win Butler e Régine Chassagne sono protagonisti inseparabili: alla produzione (insieme a Daniel Lanois), alla scrittura e nel canto. Si alternano e si supportano. I componenti della band hanno creato un cerchio della fiducia, tra loro e con i fan ai quali hanno presentato e annunciato il nuovo progetto in un’app riservata: la trust app, per l’appunto. Pink Elephant è un disco che nasce dal buio, legato al vissuto recente del gruppo, (ma soprattutto alla depressione di Win) nel quale si entra a poco a poco, ascolto dopo ascolto. Molto più organico e strumentale rispetto al precedente, dichiara il cambiamento e vi aspira.

L’anno del serpente

Il primo singolo Year of The Snake è un manifesto così come il videoclip che l’ha accompagnato. Il 2025 è l’anno del serpente e il cambiamento che porta con sè avviene in un supermercato, ma non è Fake Plastic Trees. Win spinge Régine in modo spensierato sulla scia del ritmo del brano segmentato da un basso prepotente. Poi ci si sposta in una Ford Aerostar anni ’90 che conduce i due su un palco, ovviamente. Perché il vero cerchio della fiducia per la band dopotutto è sempre stato il quello. E infatti nella successiva Circle of Trust la danza diventa un luogo e il suono elettronico culla un mantra rassicurante e liberatorio. La chitarra e il basso rimangono sullo sfondo, appena percettibili sul finale e solo dopo qualche ascolto, e costruiscono un sound a metà strada tra Reflektor ed Everything Now.

L’evoluzione sonora degli Arcade Fire non è evidente fin dal primo ascolto di Pink Elephant. L’intro atmosferica Open Your Heart or Die Trying riflette le intenzioni del titolo e costituisce un varco d’ingresso nel mood che dominerà il disco. La titletrack è invece uno dei brani più sinceri che la band abbia scritto negli ultimi tempi. Viene recuperata la semplicità di Neon Bible: chitarra, basso e batteria senza troppi fronzoli. I versi del ritornello – «Take your mind off me a little while / In the darkest place I saw you smile» – potrebbero avere una doppia valenza. È bello pensare che possa essere lo stesso elefantino della copertina a “parlarci”.

C’è un termine nel testo di Pink Elephant che colpisce più di ogni altro: neuromancing. Tratto dal romanzo di fantascienza Neuromante di William Gibson. Il protagonista Cale deve riparare il proprio sistema nervoso e per ottenere la cura deve intraprendere una missione per conto di un misterioso personaggio chiamato Armitage. Un giro di vite nel cyberspazio della mente che compiono anche Win e Régine.

Pink Elephant non è un disco punk

Uno degli annunci che avevano accompagnato la presentazione del nuovo progetto del gruppo riguardava il sound dei brani. Nello specifico, si parlava di punk. Nelle dieci tracce del disco – di cui, oltre alla lunga intro, altre due sono brevi interludi strumentali – l’unica canzone che si avvicina in parte a una distorsione e a un suono più noisy è Alien Nation. Non è un delitto dire che il momento dell’album in cui la band esce maggiormente dal seminato. La voce di Win è effettata e resa ruvida e nella seconda parte del pezzo c’è un’esplosione di chitarra elettrica e basso.

Il tema è uno dei più cari agli Arcade Fire. Tant’è che, su Reddit, i fan che hanno potuto ascoltare dal vivo i nuovi brani nei concerti esclusivi che il gruppo sta tenendo in questo periodo l’hanno definita una Creature Comfort per adulti. Rispetto al singolo del 2017 manca quella liricità poetica che contraddistingue i loro lavori migliori. Eppure, nell’economia di Pink Elephant, è uno dei brani più interessanti e uno di quelli pensati per essere il centro dell’esperienza live.

La speranza va di pari passo col cambiamento

La parte centrale dell’album è la più sentimentale. Ride or Die è una dichiarazione d’amore semi acustica. Win gioca con le professioni e descrive una simbiosi amorosa molto simile a quella che vive con Régine. La canzone vorrebbe avere la stessa forza di Un Annee Sans Lumiere o 7 Kettles ma, risultando meno impattante, riesce a mettere in risalto la successiva I Love Her Shadow. L’elettronica e i sintetizzatori tornano protagonisti insieme a un hook melodico melanconico che eleva all’ennesima potenza il sentimento di speranza dell’album. L’elefantino rosa non è scomparso, ma rimane sullo sfondo mentre si balla in pista.

Perché in fin dei conti, Pink Elephant è un album da vivere con tutte le contraddizioni che si porta dietro. Quelle etiche e quelle artistiche. Non c’è il grande cambiamento annunciato, ma è un progetto molto più organico rispetto al precedente WE che, ad eccezione di qualche buona intuizione, era sembrato un tentativo di recuperare quella poetica nostalgica, disperata e per certi versi sacra, che aveva caratterizzato i primi quattro lavori. Gli Arcade Fire riescono a recuperarla a pieno sul finale di questo disco con i sette minuti di Stuck in My Head che uniscono la ripetitività del basso nostalgico e le coperte di Rebellion (Lies), l’auto di Suburbs e il crescendo rock di Neon Bible. Win canta «Mess in My Head / Mess in my Heart / Mess in my car», poi manda tutto a quel paese con sostituendo il mess con il fuck fino alla liberazione defintiva.

«Clean up your bedroom, clean up your car, clean up your head/ clean up your heart».
Pulirsi, liberarsi dell’elefante e tornare a chiudere gli occhi. Ma non per dormire, perché vorrebbe dire arrendersi, ma solo per sognare.

Share: