«Un pezzo di storia muore con lo sgombero del Leoncavallo»: il ricordo degli artisti
Da Fedez a Emis Killa, passando per Gemitaiz, i Ministri, Frah Quintale, i 99 Posse e molti altri: la solidarietà dopo lo sfratto del centro sociale di via Watteau

Leoncavallo
Lo sgombero del Leoncavallo, avvenuto ieri senza preavviso e con un anticipo di circa 20 giorni sul giorno stabilito per l’arrivo dell’ufficiale giudiziario, rimarrà a lungo una ferita aperta per il mondo della cultura, dell’antagonismo politico e della musica. Con lo sfratto esecutivo della sede di via Watteau dopo 31 anni, Milano perde un polo fondamentale per il confronto, la pluralità e l’incontro di tutti coloro che non si riconoscono più nei “valori” di una città che diventa sempre più esclusiva, elitaria, e parallelamente sempre meno attenta alle persone – in particolare i giovani e le classi meno abbienti della società – e repressiva verso tutto ciò che è contro la cultura dominante, prediligendo invece il profitto e una progressiva gentrificazione di tutte le aree popolari che si nutrono di una sola cosa: l’anima delle persone che le vivono.
Esattamente come il Leoncavallo, cuore pulsante non solo di militanza politica, ma di arte viva, fatta dalla gente per la gente. Dal 1975, infatti, il Leo è stato culla accogliente di tutte le subculture, dal punk all’hip hop, ospitando live storici come quelli dei Sonic Youth, Public Enemy, e facendo da trampolino di lancio per quelli che sarebbero diventati nomi di primo piano della scena italiana, soprattutto rap e alternativa. Artisti che oggi non penseremmo nemmeno di ricondurre alle mura di via Watteau, ma per cui il Leo ha rappresentato un luogo non solo di aggregazione, ma di vera e propria formazione, e che nelle ultime ore hanno espresso la propria solidarietà nei confronti di una delle ultime roccaforti di cultura e collettività in una Milano votata all’individualismo e che speriamo possa ritrovare prima o poi la cosa più importante: la sua umanità.
Da Emis Killa a Fedez, la solidarietà del mondo del rap al Leoncavallo dopo lo sgombero
“Un pezzo della mia storia oggi muore con lo sgombero del Leoncavallo”, ha scritto Emis Killa nelle sua storie. “Non ne ho mai fatto un discorso politico, quanto più una questione morale e di animo. Tantissimi ragazzi come me hanno forgiato la loro personalità artistica nei centri sociali, il Leo su tutti. Per noi ha significato aggregazione, arte, rispetto per il prossimo. Se ti occupano casa non puoi farci un cazzo, ma lo Stato può fare questo con un luogo icona per Milano da oltre trent’anni”.
“Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusta senza esserlo”, ha aggiunto Gemitaiz citando Platone. Prima di ricordare quando salì sul palco del Leo nel 2012 e di invitare a donare per l’associazione Mamme antifasciste del Leoncavallo, la cui presidente, Marina Boer, ha definito Milano “una città di merda in cui non c’è nessuna possibilità di proporre delle alternative o di creare una socialità. Gli sta bene questo happy hour a tutte le ore? A noi no”. E a noi nemmeno.
“Oggi è un giorno triste per Milano”, ha detto Nerone, “hanno sgomberato il Leoncavallo alla mattina preso mentre non c’è nessuno dentro. Chiunque è stato al Leoncavallo in questi anni e ha passato dei bei momenti lì dentro ha dei ricordi importanti legati. Ed è giusto che vada al presidio oggi. Questa cosa è disgustosa”.
“Sgomberare uno spazio di aggregazione che per anni ha dato modo a tante persone di esprimersi e addirittura ad un genere musicale di evolversi è un atto intimidatorio che mi fa paura. È un attentato alla cultura e alla libertà”, ha scritto Frah Quintale. Condividendo il flyer del final party dello storico Push it real, che nel 2011 ospitò – oltre a lui, nomi come Entics, Dargen d’Amico, Ensi, Emis Killa, Salmo, Johnny Marsiglia e Fedez. Anche quest’ultimo – da sempre legato al mondo dei centri sociali prima della fama – ha voluto lasciare un pensiero per il Leoncavallo. “L’involucro splendente di una città che è stata svuotata di tutto. Anche della sua stessa identità”.
A sostegno del Leo anche i 99 Posse e i Casino Royale. “La legalità è un concetto intrinsecamente conservatore e di destra”, ha scritto il gruppo napoletano. “Se Rosa Parks avesse creduto nella legalità invece che nella giustizia non si sarebbe seduta nei posti riservati ai bianchi. Lunga vita al Leoncavallo e a tutti gli spazi occupati!”. “Vuoi vedere che chiudete una porta e Milano apre un portone?”, ha fatto eco il gruppo milanese.
Il ricordo dei Ministri, Rodrigo d’Erasmo e Modena City Ramblers
Ma non solo il mondo del rap ha ricordato l’importanza del Leoncavallo. I Ministri hanno scritto un lungo post “a proposito di cultura e sospiri, astintoti e legalità”. “La sinistra, oggi, o è un ricordo o è un asintoto”, ha scritto la band. “leri a Milano è stato sgomberato il Leoncavallo, uno splendido castello, affrescato da mille Leonardi, che Milano – anche la Milano gelosa di quella parola, Sinistra – quasi non ricordava neanche più di avere. […] Oggi nella nostra città c’è uno spazio di cultura in meno, uno spazio che amavamo e che speriamo possa trovare una nuova sede ancora più gloriosa (per quanto sia quasi impossibile)”. Rodrigo D’Erasmo ha invitato invece a non smettere mai di “pensare, parlare, confrontarci, riunirci e poi agire”.
Immancabile la solidarietà dei Modena City Ramblers: “Lunga vita al Leoncavallo. Il Leonka ci ha visti tante volte in concerto, fin dai primissimi tempi della nostra storia, quando ancora era nella vecchia sede. In cinquant’anni di vita più generazioni hanno frequentato il centro sociale e hanno contribuito alla crescita culturale e sociale di pezzi di paese che non avevano cittadinanza nella Milano da bere. Migliaia di concerti, dibattiti politici, solidarietà, attività d’inclusione. Lo stato, con la s minuscola, dovrebbe solo ringraziare per l’esistenza di questi luoghi di aggregazione, dove nessuno è straniero, dove tutti sono uguali. Viva il Leoncavallo. Ps. Ora aspettiamo lo stesso trattamento per Casapound, anche se forse è sbagliato paragonarli, visto che l’apologia del fascismo è un reato ancor più grave di un’occupazione”.