“Barbie” è un perfetto spot progressista. La recensione del film più atteso dell’anno
Greta Gerwig, la regista del film distribuito dalla Warner Bros e nelle sale da domani, approfitta del mondo ipercolorato della bambola più amata al mondo per offrirci un’ “operetta morale” piena di ironia e qualche sbavatura
“Lei è bellissima”: è la breve frase piena di stupore che pronuncia Margot Robbie/Barbie, una volta entrata nel mondo reale e davanti a una anziana signora seduta (per la cronaca è la grande costumista di Hollywood, Ann Roth) su una panchina alla fermata dell’autobus. Pare un dettaglio narrativo, ma dentro questa brevissima scena – che qualcuno dello staff della regista avrebbe suggerito di tagliare – c’è molto del film più atteso di questa prima metà del 2023. Non per niente anche qui a Milano per l’anteprima di Barbie (dopo la première mondiale della scorsa settimana) sono state messe a disposizione ben due sale di proiezione. Ovviamente tinte di ogni declinazione di rosa, tra palloncini, popcorn zuccherati di rosa e un double decker nel piazzale antistante. Una sala only for vip, influencer et similia (con tanto di bambola Mattel in più nella tote bag di benvenuto) e un’altra stipata di colleghi giornalisti.
La perfezione di Margot Robbie in Barbie
L’inizio del film è incorniciato in un set magnifico – Barbieland –, dove le case non hanno mura e tutte le Barbie e i Ken vivono la ritualità perenne della vita spensierata e felice. E la regista Greta Gerwig – con l’aiuto del compagno e sceneggiatore Noah Baumbach – trova la giusta chiave narrativa per far diventare Barbie un’eroina del femminismo e dell’umanità in generale.
Il trick giusto è ovviamente nella fuga da Barbieland, un atto necessario per Margot Robbie che interpreta magnificamente il ruolo. A un certo punto a verso il finale una voce fuori campo pronuncia: “Margot Robbie non è l’archetipo di una Barbie”. Quasi a fare da contrappunto ironico a una cosa che invece noi tutti in sala pensavamo con convinzione. Un po’ per la bellezza di Margot, un po’ per le sue pose e camminate perfette e conformi agli standard di postura di una bambola Mattel.
Il ruolo prezioso di tutto il cast, a partire da Ryan Gosling
La regista pare proseguire quel cammino di scandagliamento dell’umanità iniziata con il bellissimo Frances Ha (2012), continuata con l’ottimo Lady Bird (2017) e culminata con Piccole Donne (2019). Già in questi film si poteva apprezzare la vena umoristica e sarcastica della regista statunitense che in Barbie deflagra anche grazie alla complicità di Baumbach (terribile secondo me il suo ultimo film, Rumore Bianco). Oltre alle stupende scenografie, spiccano le interpretazioni che sorreggono il ritmo narrativo di questa ipercolorata commedia. Oltre a Robbie, impossibile non amare il Ken “cuore infranto” Ryan Gosling. L’attore merita un Oscar per questa interpretazione dove frulla Gene Wilder, Fred Astaire e i belli di Hollywood. Irresistibile.
Metti poi un Will Farrell dentro e vai sul sicuro. Il suo ruolo di CEO della Mattel è strepitoso, come sempre. Nelle scuole di recitazione immagino studino il suo caso da anni, nonostante gli occhi quasi inespressivi di Farrell, riesce a farti piegare in due dalle risate. Ma tutto il cast brilla intorno alla storia, riassumendola rapidamente: la fuga verso il mondo reale di una Barbie allarmata dal fatto che abbia pensieri “strani” come la paura della morte” e il suo corpo si stia allontanando dall’archetipo della Barbie perfetta, (cellulite e i piedi piatti). Nel suo viaggio la segue quasi clandestinamente Ken. Entrambi usciranno cambiati profondamente dall’esperienza con i veri umani. Ma non spoileriamo di più.
Qualche difetto nella sceneggiatura
Un difetto forse della sceneggiatura è l’insistenza quasi didascalica su alcuni cliché del rapporto uomo-donna. Ma è un peccato, perché vedere una Barbie combattere per una società migliore, fondata possibilmente sull’accettazione e l’accoglienza è un magnifico spot progressista per gli States e non solo. A condire il tutto, una brillante colonna sonora. Tra citazioni disco anni ’70 di Dua Lipa, le caracollanti melodie di Tame Impala e la ballata strappalacrime di Billie Eilish. Senza dimenticare il lavoro di sound designer di George Drakoulias (uno dei producer rock più cool sul Pianeta) e gli inserti curati da Mark Ronson.