Bon Jovi: la storia della copertina di “Slippery When Wet”
Usciva 37 anni fa (il 18 agosto 1986) uno degli album classici della rock band che dominò le classifiche negli anni ’80. Nelle pagine del libro “The Decade That Rocked”, il fotografo Mark Weiss ricorda la genesi travagliata dell’artwork
Il 18 agosto 1980 usciva uno degli album fondamentali dei Bon Jovi: Slippery When Wet, contenente super hit come Livin’ on a Prayer, Wanted Dead or Alive e You Give Love a Bad Name.
Ascolta Slippery When Wet dei Bon Jovi
Se volete rivivere in maniera davvero autentica quel decennio d’oro per le band hard rock, è arrivata l’occasione perfetta: questo voluminoso libro illustrato dal titolo The Decade That Rocked (ed. Il Castello, per la collana Cinaski) di Mark “Weissguy” Weiss, celeberrimo fotografo che ha sempre avuto lui stesso un’attitudine rock’n’roll nella vita ben comprensibile grazie ai suoi aneddoti e racconti, editati grazie all’aiuto del giornalista Richard Bienstock.
Ecco il capitolo che racconta i retroscena dietro la realizzazione della copertina di Slippery When Wet dei Bon Jovi.
Wet and Wanted
In gennaio i Bon Jovi si recarono a Vancouver presso il Little Mountain Studios per iniziare la lavorazione del loro terzo album. Mi chiesero di partecipare a una riunione per valutare alcune idee per la copertina del disco. Il titolo che mi diedero su cui iniziare a ragionare era Wanted Dead or Alive.
Avevo sempre amato il genere western. Pensai di far indossare ai ragazzi vestiti da cowboy, fargli lasciare la barba incolta e poi usare le foto per creare un poster dove sembrassero dei ricercati. L’idea era di farli apparire come la “banda Bon Jovi”.
Per tre settimane Richie, David, Alec, Tico e Jon vennero uno alla volta nel mio studio a New York. Vedere quei bravi ragazzi solitamente puliti e ben rasati entrare in studio spavaldi e con lo sguardo e l’atteggiamento alla Billy the Kid era troppo divertente.
Dopo aver sviluppato le foto, gli applicai un effetto seppia e le attaccai a una tavola per farle realmente sembrare dei manifesti di ricercati, con tanto di stropicciature e bordi bruciacchiati. Arrivati a questo punto, si valutò l’idea di mettere Jon in primo piano con gli altri che comparivano solo sullo sfondo.
Mi toccò così passare una giornata in pieno inverno e al freddo, con un Jon ancora barbuto, sul set di un vecchio film western nel North Jersey.
Alla fine ricevetti una chiamata dalla casa discografica, dove mi comunicavano la decisione di mettere tutta la band sulla copertina. Mi recai allora a Vancouver, dove stavano ultimando l’album, e trovai un vecchio edificio abbandonato da utilizzare come location per il servizio fotografico. Sarebbe stato il loro “nascondiglio” e avremmo messo il poster da ricercati sullo sfondo.
Arrivato a Vancouver incontrai i ragazzi in studio mentre erano al lavoro con il produttore Bruce Fairbairn. Quando finirono di registrare ci recammo all’Orange n°5, uno strip club che in seguito diede l’ispirazione al titolo definitivo dell’album. In quel momento, comunque, il titolo era ancora Wanted Dead or Alive.
Dopo qualche giorno di ricerche a Vancouver, trovai il luogo adatto per lo shooting: un vecchio fienile abbandonato in cima a una montagna. Per raggiungerlo ci voleva un’ora lungo una strada lunga e tortuosa. Non c’era la corrente elettrica quindi affittai un generatore per poter accendere i miei faretti. Entrammo di nascosto, arrampicandoci e passando dalle finestre rotte.
Trascorremmo diverse ore in quel vecchio fienile abbandonato. Pioveva e iniziava a fare freddo. Poi alcuni abitanti del posto, incuriositi dai lampi del flash, si avvicinarono per capire cosa stesse succedendo. Iniziavo ad innervosirmi, temevo l’arrivo della polizia che ci avrebbe sicuramente mandato via da quel fienile. Infatti avevo messo un mio assistente come sentinella.
Finalmente, dopo trenta rullini annunciai che il servizio era finito. Ci preparammo velocemente e guidammo per 50 miglia fino all’hotel… per poi scoprire che i rullini erano scomparsi, non si trovavano da nessuna parte.
Andai letteralmente fuori di testa quando l’assistente mi disse che non aveva preso la borsa con i rullini perché credeva l’avessi fatto io. Erano le 3 del mattino, fuori infuriava un temporale tremendo e riuscivamo a malapena a tenere gli occhi aperti dalla stanchezza mentre tornavamo al fienile con le torce per cercare la dannata borsa nera con i rullini come se fosse il Sacro Graal.
Dopo circa un’ora riuscimmo a trovarla. Disastro scongiurato! Ironia della sorte, durante il viaggio di ritorno lessi diversi cartelli stradali dove c’era scritto “slippery when wet” (scivoloso quando bagnato, ndt).
Il giorno seguente bevemmo qualche drink all’Orange n°5 per festeggiare la fine del servizio per la copertina. Non sapevamo che di lì a poco il titolo Wanted Dead or Alive sarebbe stato scartato. Ma ancora un’altra idea per la copertina avrebbe preceduto quel definitivo Slippery When Wet, scritto da Jon su un sacco della spazzatura appena il giorno prima del confezionamento del disco.
Mi diedero la notizia che il titolo era cambiato qualche mese dopo. Sul momento ci rimasi male ma appena sentito il nuovo titolo – Slippery When Wet – e l’idea che c’era dietro, capii tutto e mi misi all’opera. Era ispirato allo strip club Orange n°5, dove le ragazze si spogliavano e facevano la doccia in un box di plexiglass sopra il bar.
L’idea era di realizzare una maglietta con le parole “slippery when wet” stampate sul davanti, nello stile dei segnali stradali, per poi farla indossare a una bellissima e voluttuosa ragazza. Quindi avremmo tagliuzzato la maglietta in modo da renderla ancor più provocante e il gioco era fatto: una classica copertina dell’epoca.
Adesso dovevamo fotografare la band senza il look da cowboy e, una volta che i ragazzi furono rientrati dopo aver finito le registrazioni dell’album, mi misi all’opera. Jon viveva affacciato sull’oceano a Bradley Beach, New Jersey. Sembrava un posto perfetto per realizzare il servizio. Tutti i componenti della band arrivarono con le loro auto, moto e le rispettive ragazze.
Mi resi conto che avevamo bisogno di qualche ragazza in più e così chiesi se qualcuno aveva voglia di andare a recuperare qualche ragazza sexy per lo shooting. Tico alzò subito la mano, e insieme al mio assistente Danny andò in missione.
I due tornarono poco dopo con quello che il “dottore” aveva richiesto: una ragazza italiana veramente attraente di nome Angela. Capimmo immediatamente che sarebbe finita sulla copertina dell’album. All’autolavaggio feci mettere la ragazza davanti e la band al centro; quello scatto diventò l’immagine interna dell’album.
Un paio di settimane dopo Angela venne nel mio studio a New York per un altro servizio. Utilizzai uno sfondo blu, un pezzo di vetro, sapone e del ghiaccio per migliorare la resa. Angela indossò una t-shirt tagliata molto provocante di colore giallo. L’etichetta discografica di Bon Jovi l’amava ed era quasi tutto pronto per iniziare la nuova campagna pubblicitaria.
Con la band andammo a Rumson, un’altra città costiera del New Jersey, per trovare una location per delle foto. Raggiunta una strada senza uscita vicino all’ufficio postale, realizzammo lo scatto per il retro di copertina del disco. Poi facemmo alcune foto promozionali in uno studio a Red Bank.
Trecentomila copie con Angela che indossava la t-shirt bagnata e appiccicata al suo seno misura terza coppa D erano già state pubblicate in Giappone. L’album era pronto per essere distribuito anche negli Stati Uniti ma non avevamo tenuto conto che eravamo nel 1986, e il PMRC si aggirava in agguato. I negozi di dischi dicevano alle etichette discografiche di non esagerare con i contenuti e le immagini troppo esplicite altrimenti non avrebbero potuto vendere gli album.
Polygram sapeva di avere un grande disco tra le mani e non voleva correre il rischio di mettere a repentaglio un sicuro successo. Ma sapeva anche che la musica da sola non era sufficiente, quindi ci riunimmo nuovamente intorno a un tavolo per inventare un’altra cover per l’album. La casa discografica distrusse centinaia di migliaia di copie poco prima che venissero spedite per essere distribuite in tutti gli Stati Uniti. Anche Jon aveva problemi con la copertina, ma erano legati al colore del bordo intorno alla foto. Recentemente ha confessato ad Howard Stern che il suo pensiero era: “Se pubblichiamo un album con la copertina rosa sgargiante la mia carriera è finita”.
Alla fine il direttore artistico dell’etichetta ebbe un’idea che tutti reputavamo folle, ma fummo costretti a seguire visto che a nessuno venne qualche proposta migliore. Ingaggiammo la mano di una modella per 2.000 dollari e ne spendemmo altri 1.000 per far incidere su una saponetta il titolo del disco. Mi sembravano soldi buttati nel cesso. Non c’era niente di rock ‘n’ roll in quell’immagine.
Dopo che Jon vide la copertina con il sapone mi chiamò e mi avvisò che stava arrivando. Gli chiesi cosa aveva in mente e lui mi rispose: “Non lo so, ma questa è la nostra ultima occasione, o ci riusciamo oppure bloccano l’uscita dell’album”.
Quando Jon arrivò nel mio studio nemmeno mi salutò. “Sacchetto della spazzatura e vernice spray” fu tutto ciò che disse. Naturalmente eseguii gli ordini, appoggiai il sacco nero al muro e lo spruzzai con una miscela d’acqua ed olio. Poi Jon ci scrisse sopra le parole SLIPPERY WHEN WET.
Una volta finito, mentre se ne stava andando, disse solo: “Ecco fatto. Questa sarà la copertina”. Non volle nemmeno guardare la Polaroid di prova.