“BTS Army: Forever We Are Young”, quando la storia di una band è anche quella dei suoi fan
Abbiamo visto in anteprima il documentario che racconta la storia della fanbase del gruppo K-pop. Al cinema da oggi fino al 6 agosto

Di documentari, film e serie Tv sui BTS negli ultimi anni ne sono usciti diversi. Quando al SXSW è stato presentato BTS Army: Forever We Are Young la grande novità era rappresentata dal fatto che, diversamente da quanto accade di solito, al centro della storia non ci fossero i magnifici sette, ma la loro fanbase. Un fenomeno sociale, multiculturale di proporzioni immense, che ha unito milioni di appassionati provenienti da qualsiasi luogo del mondo. Qualcosa che si era visto soltanto nell’epoca della Beatlemania.
L’approccio con cui ci siamo avvicinati alla visione del docufilm di Grace Lee e Patty Ahn è stato quello di chi è curioso di capire il tipo di taglio narrativo e la ricerca, coscienti in parte anche delle numerose polemiche che lo hanno accompagnato negli ultimi tempi. Molti fan, anche in questo caso da luoghi diversi – perché quando si parla di Army non si può far riferimento a una nazione – hanno scelto di non andare a vederlo per via del passato sostegno delle due registe ad alcune azioni di boicottaggio nei confronti della band e di HYBE.
Si può partire affermando una cosa non scontata. Guardando il film si prova un certo effetto, c’è anche chi, uscendo dalla sala mostra una velata commozione. Il motivo principale è che dentro il docufilm ci sono tante storie, alcune delle quali meriterebbero quasi un altro documentario dedicato. Una di queste è quella legata al voto di tutti gli ARMY del mondo, pazzesco il modo in cui hanno organizzato il tutto tenendo conto dell’ora legale, per far vincere ai BTS il Billboard Social Artist dell’anno nel 2017, interrompendo il dominio di Justin Bieber. Premio che, tra l’altro hanno confermato per cinque anni consecutivi fino al 2021.
Un’altra vicenda che ha dell’incredibile è quella legata all’organizzazione no-profit statunitense BTSx50STATES. Fu fondata nel 2017 per supportare la band e far sì che i brani venissero trasmessi in radio. Un obiettivo imprescindibile per poter scalare la Billboard Hot 100, la classifica dei singoli più venduti e ascoltati negli USA.
ARMY non è solo musica
La storia del passaggio in radio di DNA e la figura misteriosa di Amanda, una fan della quale si ascolta solo la voce, sono per certi versi un esempio perfetto per comprendere le difficoltà che l’ARMY ha incontrato nel corso della sua storia. Dai pregiudizi nei confronti di una musica non considerata come tale («A volte ci dicevano di richiedere musica vera perché non cantavano in inglese» ricorda Amanda), spesso per motivi sotto sotto razzisti. Alla difficoltà nel far comprendere ai più l’importanza che quelle canzoni avevano per un’intera comunità.
Nei 96 minuti circa di BTS Army: Forever We Are Young si susseguono brevi testimonianze che colpiscono nel segno. Non si tratta solo di appassionarsi alla cultura coreana – encomiabile il lavoro di traduzione dei testi – ma di ragazzi e ragazze di età disparate che hanno ricevuto una risposta o un conforto dai brani del gruppo. C’è chi ha intrapreso la propria strada aprendo una scuola di ballo in cui si insegnano le coreografie dei BTS. Chi ha trovato la forza di guardare avanti. Chi ha compreso e accettato qualcosa in più su di sé e sulla sua sessualità.
Nel corso degli anni l’ARMY ha anche intrapreso delle azioni politico-sociali sfruttando i propri numeri e la forte connessione. Nel film si fa riferimento a due episodi in particolare, entrambi legati agli Stati Uniti. Il primo è la convinta presa di posizione dopo la morte di George Floyd e il contributo, anche economico, al Black Lives Matter. Il secondo è persino più recente e riguarda i comizi di Donald Trump: i fan dei BTS più volte si sono organizzati acquistando in massa biglietti per poi non presentarsi e lasciare vuoti gli spalti.
La storia della band è quella dei fan
Uno dei pregi del documentario è quello di riuscire a rendere accessibile un fenomeno complesso anche a chi magari non è un esperto dei BTS. Questa cosa è possibile anche perché il rapporto tra la band e l’ARMY è unico: senza l’uno non ci sarebbe l’altro. Di conseguenza le due storie vanno di pari passo: l’ascesa della band e la crescita esponenziale della sua fanbase. Nonostante la presenza di fan dal Messico e dall’Indonesia, nel caso di BTS Army: Forever We Are Young il più delle volte l’ottica è incentrata sugli Stati Uniti. Questa cosa risulta un po’ limitante, in alcuni casi parziale. Certo, è bello rivedere i video della prima data negli Stati Uniti di RM, Jin, SUGA, j-hope, Jimin, V, Jung Kook al Trobadour di Los Angeles.
Tra i momenti clou in cui la storia dei BTS incrocia in modo netto quella dell’ARMY c’è quello che dà il titolo al documentario. Il canto a sorpresa che venne organizzato al Wembley Stadium di Londra nel giugno del 2019 che fece commuovere i sette artisti sul palco. La canzone scelta era Epilogue: Young Forever. Un brano che parla di fiducia nel futuro, di continuare a perseguire i propri sogni. Ed è questa la rivoluzione più grande compiuta dai BTS. Mostrarsi fragili, ma mai disposti a barattare i propri desideri come cantavano fin dal loro debutto No More Dream. (Nella nostra intervista esclusiva Sungdeuk Son ci aveva raccontato la storia di quella prima coreografia). D’altronde è proprio chi sogna che non invecchia mai.