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Carlo Lucarelli racconta i Negrita e “Canzoni per Anni Spietati”

Il celebre scrittore riflette sul senso dei brani del nuovo album della band toscana. Ecco il suo scritto in versione integrale

  • Il28 Marzo 2025
Carlo Lucarelli racconta i Negrita e “Canzoni per Anni Spietati”

Negrita (foto di Alessio Pizzicannella)

Dopo aver celebrato i 30 anni di carriera con un concerto sold-out all’Unipol Forum di Milano lo scorso 27 settembre, i Negrita hanno pubblicato oggi (28 marzo) il nuovo album Canzoni Per Anni Spietati per Universal. L’album molto atteso che arriva a sei anni di distanza dall’ultimo lavoro in studio.

A partire da aprile 2025 i Negrita saranno in tour nei principali club italiani con il “Canzoni per Anni Spietati Tour 2025” che sarà l’occasione per i fan della band di ascoltare per la prima volta dal vivo i brani del nuovo disco.

Per l’occasione, Carlo Lucarelli ha scritto un suo racconto del disco e delle canzoni che contiene, che vi riportiamo qui inetgralmente.

Il racconto di Carlo Lucarelli

Credo che un concept album si debba ascoltare come si legge un libro, partendo dall’inizio, riga dopo riga, brano dopo brano, attenti e concentrati, ma lasciandoci trasportare da quello che viene e che si porta dietro anche tutto quello che pensi e che senti nel frattempo.

So, da narratore, che prima o poi, e meglio se prima, arriva una sorta di dichiarazione di intenti in cui in qualche modo ci accordiamo, proprio come strumenti, noi di qua e voi di là, sul senso, il tono, la direzione della storia che ci stiamo raccontando. Così mi metto comodo e parto con Nel Blu, e lì la trovo subito la chiave a cui accordarmi, mi bastano le prime parole sul raschiare della chitarra e della voce, e quando arriva ma che Dio vi maledica, è tutto chiaro. È la rabbia. Per una brutta storia che va avanti da troppo, che resta sempre di una attualità spietata e che è ora che finisca subito, e definitivamente. Vogliamo vedervi morti. Sì, sappiamo cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è bello, e infatti arriva il Blu, con la sua pace utopica. È, giusto, è la bellezza del creato. È giusto.

Continuo ad ascoltare come si legge un romanzo, e non solo, un romanzo noir, un thriller, insomma un giallo. Di solito, dopo il primo pugno nello stomaco, ancora così pieni di energia sentimenti, qui di rabbia, arriva un momento di pausa, una piccola sospensione in cui si precisano i personaggi e il loro punto di vista. Noi, insomma, noi che leggiamo, che ascoltiamo, che ci raccontiamo questa storia.

Noi siamo gli Altri

Chi siamo noi? Noi siamo gli Altri. Quelli del pezzo prima sono loro, cattivi, arroganti, roboanti, spietati, noi no, noi siamo gli altri, io sono così. Gli Antieroi. No, anzi, senza la maiuscola, perché siamo tanti, anche se sembriamo una minoranza, siamo quasi tutti e il quasi sono loro, e allora siamo noi, siamo gli antieroi, con la minuscola.

Quello che ci fa resistere, penso ascoltando, sembra l’orgoglio della disperazione, perché è così che la sentiamo, questa storia, ma è anche la resistenza dei giusti. Basta poco. 

Loro sono quelli che la fanno brutta, la storia, è vero, quelli che ci bombardano così tanto che sembra inutile resistere, va bene, ma noi siamo quelli che mettono la mano davanti alla locomotiva, come scriveva Giorgio Scerbanenco in “La lettera del suicida”, un desiderio di morte che sembra sempre travolgente, ma ogni tanto la locomotiva si ferma.

La band

Sarà una deformazione professionale da scrittore di gialli, ma continuo ad ascoltare Canzoni Per Anni Spietati dei Negrita come se fosse un noir, un noir sociale e politico di quelli che scriviamo noi. A questo punto in un thriller ci dovrebbe stare qualcosa che spiazza, e infatti eccola qui.

Tra le prime parole di Ama o Lascia Stare ce n’è una che dove mi trovo adesso sembra rappresentarmi completamente, ed è “odio”. Ma aspetta, è troppo semplice, l’odio non basta, anzi, non è la reazione giusta, non così. Viaggiare contromano, come vorremmo e dovremmo fare tutti in questa brutta storia di anni spietati è più complicato e richiede più sforzo. Richiede lo sforzo di sognare. E allora mi chiedo, dove sono, adesso? Chi sono?

Quando non si capisce più niente e ci si sente smarriti dentro la nebbia di un mistero che ti spiazza bisogna fermarsi e fare un passo indietro per mettere in fila tutto quello che è successo fin qui. Si fa così nei romanzi gialli e lo hanno fatto nella realtà i tanti processi che hanno cercato di fermare la storia di questo nostro paese così malato.

Da Dylan a De Gregori

Io non sono mai stato un dylaniano, lo so che è un mio limite, ma in Song to Dylan per un po’ lo divento, perché rappresenta con gli altri autori citati tutta la storia che ci ha portato ad essere gli Altri, con le mani protese contro la locomotiva, per un Sogno che sta lassù, nel Blu. Va bene, allora, di nuovo. Siamo così. La terra, noi tutti, abbiamo bisogno di una rivoluzione. Quale? E dov’è?

Tutte le volte che succede qualcosa di grosso qui da noi, o in altri paesi come il nostro, salta per aria una piazza o una stazione, ammazzano un presidente su una macchina scoperta, saltano per aria i giudici in auto o in casa, muore una donna ogni tre giorni, fanno una retata di mafiosi e colletti bianchi in una prospera e sana regione del nord, tutte le volte parliamo di perdita dell’innocenza

Per noi è stata la strage di Piazza Fontana, a Milano nel 1969, per gli americani l’omicidio di Kennedy nel ’63, ma come scrive James Ellroy in “American Tabloid”, l’America non è mai stata innocente, e anche noi la nostra verginità politico-criminale, anche soltanto nella sua variante stragista, l’avevamo già persa da un pezzo, dal 1945 di Portella della Ginestra, per esempio, e ancora prima.

Perché è vero, verissimo: Non Esistono Innocenti, Amico Mio. Perché se ci stupiamo tutte le volte che succede una cosa che già abbiamo visto in passato, è perché ce la siamo dimenticata. E se l’abbiamo dimenticata nonostante il suo continuare ad accadere tutti i giorni è perché ci siamo abituati.

E se ci siamo abituati, esercitando la feroce prerogativa di girarci da un’altra parte, distratti da qualcos’altro, allora siamo colpevoli, mortalmente colpevoli anche noi. Anch’io. E quindi sì, amico mio, non esistono innocenti e questo è un pensiero che mi fa rabbia e un po’ mi fa anche piangere.

La rabbia per Anni Spietati

Ed ecco che così come i Negrita nel loro Canzoni Per Anni Spietati, sono incazzato di nuovo, ferocemente, disperatamente, tristemente incazzato.

Una volta mi hanno fatto tenere una lezione di storia in una scuola per stranieri. Essendo io quello che sono e quello che scrivo, era la storia della metà oscura del nostro paese e ho raccontato le peggio cose possibili, mafia, terrorismo, servizi deviati, scandali, dossier, tutto. Ad un certo punto si alza un ragazzino, non ricordo di dove, e mi chiede: com’è che esistete ancora? Bella domanda.

Io gli ho risposto citando i 100.000 milanesi che ai primi funerali per la strage di Piazza Fontana erano lì con certe facce che se anche qualcuno avesse voluto fare qualcosa di brutto, che so, un colpo di stato, a vedere tutta quella gente lì, con quelle facce lì, venuta lì spontaneamente, ecco, ci avrebbe pensato due volte. Cosa c’entra con Buona Fortuna? C’entra.

A parte che con tutte le emozioni che mi friggono dentro avevo proprio bisogno di sentire parole come amore mio, sciolte in un’atmosfera musicale così dolce e apparentemente rilassata che sa di luna e  di sogno, capisco che è ancora possibile fare qualcosa. Contando sulla gente anche se il banco vince sempre.

La gente è quella lì che ogni tanto la locomotiva la ferma. Incazzati, sì, ma con amore e fortuna. Tranquilli, si dice da noi a Bologna, che non significa indifferenti, ma solidi, giusti e concreti. Sono tranquillo, qui, e vado avanti.

Dov’è Che Abbiamo Sbagliato?

Siamo una generazione dopo quella di Giorgio Gaber che constatava con disperata amarezza di avere perso, e ci facciamo la stessa domanda. Se siamo qui tra aperitivi e autodistruzione, come i protagonisti del film “Don’t Look Up”, che vanno avanti con ipocrita indifferenza mentre l’asteroide sta per cancellarci dalla terra, allora abbiamo sbagliato.

Però, e guarda la forza dei narratori quando raccontano una storia, ecco che sento una cosa nuova, che non mi aspettavo. Colpo di scena. Non so se sia voluto o meno ma non importa, chi segue la storia prende quello che vuole, ma invece di sentirmi male a confessare di far parte di una generazione di autori o anche semplicemente di persone che hanno sbagliato, improvvisamente ho la consapevolezza energica che non abbiamo perso.

Non solo rabbia, ma anche speranza

Se siamo ancora qui a chiedercelo, con passione e forza, allora non è ancora finita. Non sono soddisfatto ma in qualche modo sono contento. Io non sono un nazionalista, anzi, ma tutte le volte che sento parlare di Italia in un certo modo mi commuovo sempre un po’.

L’Italia paese, l’Italia gente, quello che siamo noi sotto una bandiera che non serve a segnare confini fisici ma di anima, che in quanto tali non sono più confini ma porti aperti. Sono le parole di De Gregori che mettono in fila tutto il bello e tutto il brutto, tutte le ferite, di questo nostro paese, sfortunato e bellissimo, ed è esattamente quello che ci vuole qui.

Inno nazionale, questo, che parla di un’Italia che non muore ma resiste, e tutti insieme con la mano sul cuore e lo sguardo dritto in avanti. Non su un generico e perduto orizzonte, proprio in avanti. Dritto.

Torna il sole e torna l’estate e vedrai che va tutto bene. Che detto così sarebbe una facile conclusione, in qualche modo bisogna finire e se finisce con un lieto fine è meglio, consola, tranquillizza e si vende di più.

Ma, attenti, qui non è così. Perché è tornato l’arcobaleno ma sappiamo su cosa e non ci piace. Siamo quelli là, quelli che sono arrivati fin qui, così. Sono Anni Spietati, lo sono sempre stati. Nel loro nuovo album Canzoni Per Anni Spietati i Negrita ce lo raccontano bene. Ma lo saremo anche noi con loro. Nel modo giusto. Senza illusioni ma consapevoli che il cambiamento Non si può fermare.

Chiudo il libro, metto in pausa l’ascolto. Sono contento, ferocemente, spietatamente, dolcemente contento di questo viaggio.

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