Chiello, da una “Mela Marcia” nascono i fiori. L’intervista
A due anni di distanza da “Oceano Paradiso”, esce oggi il nuovo album dell’ex FSK. Tredici canzoni che scavano negli abissi più oscuri e torbidi fino a ritrovarsi le unghie nere per aver cercato di grattare via lo sporco ma, allo stesso tempo, iniziare a prendersi un po’ più cura di sé
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, cantava Fabrizio De André in Via del Campo. E da una mela marcia, invece, cosa può nascere? Qualcuno direbbe “niente”, chi vi scrive vi risponderebbe “uno dei dischi italiani più belli, viscerali, laceranti e disturbanti che ascolterete quest’anno”. Quando incontro Chiello, la Mela Marcia in questione, e gli dico che ha fatto un album – che esce oggi, a distanza di due anni da Oceano Paradiso – decisamente fastidioso, sorride. Forse quasi chiunque altro si sarebbe offeso per un’affermazione del genere, ma non lui che, anzi, ha capito perfettamente cosa intendessi.
«Grazie. Se ti è arrivata questa cosa vuol dire che ho fatto centro», mi dice col tono pacato, gentile e riflessivo di chi ha iniziato da poco a raccontarsi a parole («Ho fatto pochissime interviste perché preferisco che a parlare per me siano le mie canzoni. Però è giusto anche iniziare a raccontare un po’ più di me») e vuole usare le più giuste.
Ascolta Mela Marcia di Chiello
Mela Marcia, viaggio dagli abissi alla luce
Sì, Chiello ha fatto centro. Con tredici brani (più una ghost track, davvero una perla nascosta. Una disperata richiesta di aiuto e, allo stesso tempo, una struggente presa di coscienza e uno spiraglio di luce da ascoltare rigorosamente dopo il viaggio nelle tenebre di Chiello e, forse, anche di noi stessi) che scavano negli abissi più oscuri e torbidi – la depressione descritta anche nella sua condizione psicosomatica, le dipendenze che non riescono a farti stare sobrio “nemmeno per un giorno”, la voglia di sparire da un mondo che ti fa sentire disconnesso e che vuole spingerti a cambiare, le relazioni disfunzionali in cui ci si fa del male perché non si sa fare altro, la solitudine in cui forse trovare la salvezza – fino a ritrovarsi le unghie nere per aver cercato di grattare via lo sporco.
Fastidiosi perché estremamente vividi e reali. Istintivi e potenti come solo le canzoni che nascono dalla pancia sanno e possono essere e come il loro autore è. Mossi dall’urgenza (quella vera, non quella inflazionata e millantata da certi artisti) di scontrarsi davvero con i propri demoni, anche a costo di esserne un po’ risucchiato sebbene, finalmente, abbia iniziato a prendersi cura di sé anche solo un poco. «Probabilmente questo disco a molti non piacerà», mi dice. «Ma non me ne frega niente». E va bene così, perché la posta in gioco, per Chiello, è molto più alta. È, infatti, qualcosa che ha a che fare con la felicità.
L’intervista a Chiello
“Questo album è un percorso, vi consiglio di non ascoltarlo tutto d’un fiato”. Tu, invece, lo hai scritto tutto d’un fiato o è stato un lavoro lungo?
L’ho scritto nel giro di tre anni, però le canzoni sono uscite di getto. La maggior parte le ho scritte sì e no in venti minuti, poi magari ci ho messo mesi a finirle. Tutti i testi sono nati nella mia cameretta, solo io con la mia chitarra. Sto imparando a suonarla e questo è il primo disco che faccio così. Per questo c’è stato anche un approccio diverso. Prima scrivevo su strumentali di altri, adesso ho deciso tutto io.
Hai lavorato con Colombre anche per questo disco?
Sì. Quando ho iniziato ad inquadrare il disco ho chiamato un team di persone che mi hanno aiutato a produrlo, tra questi anche Colombre, Mr. Monkey, Greg Willen e Tommaso Ottomano. Ci siamo chiusi tutti per tipo un mese in uno studio in questa villa sperduta ad Arezzo senza mai uscire. Lì è nato tutto.
Sei dovuto fuggire dalla città quindi per chiudere questo album.
Sì, sì. In città ci sono troppe distrazioni.
Per altro Colombre mi aveva raccontato una cosa curiosa sul fatto che ti fossi comprato un telefono apposta per chiamarlo e chiedergli di lavorare a Oceano Paradiso…
Ero senza telefono da due mesi perché avevo deciso di isolarmi un po’. Però avevo sempre in testa il suo nome perché mi piaceva un sacco il suo disco. Quindi gli ho scritto su Instagram dal telefono di un mio amico e gli ho chiesto se potesse darmi il suo numero. A quel punto sono corso a comprarmi un telefono e l’ho chiamato direttamente dal parcheggio.
Mi sembra che Mela Marcia sia un album ancora più cupo di Oceano Paradiso. Addirittura in Benzo 2 dici che il tuo posto è l’Inferno. Senti di aver scavato ancora più nel profondo?
Non credo di aver scavato di più rispetto a Oceano Paradiso, forse ho solo vissuto altre cose. In quel disco ero un ragazzino appena arrivato a Milano. Adesso sono cresciuto, mi sento un’altra persona.
E scrivere questo album per te è stato terapeutico? Ti ha aiutato ad esorcizzare qualche mostro?
Sì, anche se la creazione è molto dolorosa, soprattutto in questo caso. Però poi quando sento quello che sono riuscito ad esternare mi sento bene.
Chiello, hai detto che ti sei sentito spesso una mela marcia. Hai fatto di una debolezza un punto di forza, e infatti ci hai intitolato il disco.
Questa è la mia filosofia di vita. Cerco sempre di sfruttare i sentimenti negativi e incanalarli per fare qualcosa di bello.
L’aggettivo con cui descriverei questo disco è “disturbante”. Non è innocuo, mette davvero chi ascolta di fronte ai lati più oscuri, i tuoi e quelli un po’ di tutti noi. Ti capita di pensare a quanto una canzone non aiuterà solo te, ma anche chi la ascolterà? Se sì, come ti fa sentire questo pensiero?
Grazie. Se ti è arrivata questa cosa allora vuol dire che ho fatto centro e ho fatto esattamente il disco che volevo fare. Io ricevo tanti bei messaggi di persone che mi ringraziano perché si rivedono nella mia musica o perché con le mie canzoni gli sto accanto in momenti difficili. Questa cosa mi fa un sacco piacere. Io per quello che posso fare cerco di aiutare, di essere un esempio, magari pure al contrario. Tipo che qualcuno mi vede e dice “Io non voglio essere come lui”.
Però alla fine del disco riesci comunque a risalire dagli abissi e vedere uno spiraglio di luce. C’è questa ghost track bellissima e catartica in cui ripeti insistentemente “Chi si prenderà cura di te? Nessuno se non lo fai tu per te”, e, alla fine ti chiedi chi invece si prenderà cura di te, Chiello. Hai iniziato a fare anche solo un po’ questa cosa?
Sì, rispetto a quando ho scritto Sparire sono una pasqua, non sono più quella persona lì. Ad un certo punto la nausea della mia depressione mi ha fatto dire basta, devi fare qualcosa. Ho voluto mettere un po’ di speranza nel finale.
Puoi fare meglio è un brano che nei suoni mi ricorda molto i Joy Division. Con le dovute distanze, ma in te mi sembra di scorgere un tormento alla Ian Curtis. È tra tutti i tuoi idoli che sono morti?
Ian Curtis è il mio idolo. Assolutamente. Ho attinto tantissimo dai Joy Division.
E gli altri chi sono?
XXX Tentacion, Lil Peep, Juice WRLD.
In A pochi passi dici che vorresti sentirti fortunato a stare dove sei ora. Non hai questa sensazione?
Molto spesso non apprezzo le cose che ho perché, per come sono fatto, non mi accontento mai. Ho un bisogno costante di crescere. Sono felice solo nel momento in cui raggiungo un obiettivo. Per il momento sono contento perché ho fatto un disco che mi piace. Non me ne frega niente neanche degli stream.
Chiello, visto che l’ album alla fine si apre verso la luce, che cosa ti auguri per il futuro?
Voglio semplicemente essere felice.