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Club Dogo, All’Ultimo San Siro

Il finale leggendario che un gruppo leggendario meritava. Quasi 40 pezzi (tutti iconici) in scaletta, la Dogo Gang riunita sul palco, la rivincita su chi pensava che tutto questo fosse impossibile e la consacrazione definitiva del Rap con la R maiuscola: Guè, Jake La Furia e Don Joe si sono presi il tempio di Milano, e il resto è già storia

Autore Greta Valicenti
  • Il29 Giugno 2024
Club Dogo, All’Ultimo San Siro

I Club Dogo a San Siro, 28 giugno 2024, foto di Elena Di Vincenzo

Le luci dello stadio si accendono. Guè, Jake La Furia e Don Joe ammirano la folla prima di uscire di scena per un’ultima volta. Il pubblico – lentamente per non perdersi nemmeno i titoli di coda e ripetendo “questo è un evento storico per il rap italiano” – abbandona quello che per una sera è diventata una macchina del tempo tornata a quella notte del 2006 al Leoncavallo (giusto con qualche decina di migliaia di persone in più).

Le note finali di All’Ultimo Respiro accompagnano l’immagine che sancisce la fine di un capitolo a cui mancava un tassello e che per questo doveva riaprirsi, per loro e Per la gente: il Duomo sullo sfondo e la bandiera del cerbero che brucia, ma senza spegnersi mai, come la fiamma della storia e della legacy dei Club Dogo, che dopo dieci Forum ieri sera si sono presi anche San Siro con un assedio alla Capitol Hill ma degli zarroganti con il simbolo del Dogo sulle magliette e indelebile sulla pelle.

Il coronamento di una settimana importante per il rap italiano

“Mani su alle stelle finché non tocchiamo San Siro”, per semi-citare ciò che i Club Dogo esattamente vent’anni fa rappavano su un immortale beat di DJ Shocca in Rendez Vous Col Delirio, una delle numerose chicche da affezionati (tra cui La stanza dei fantasmi, Serpi, Vida Loca, Una volta sola, e Rap Soprano, solo per citarne alcune) presenti nella lunghissima scaletta che è un vero e proprio regalo ai Dogofieri della prima ora. E così è stato, perché i Dogo hanno toccato davvero la cima dell’Olimpo.

E la settimana in cui il rap è entrato prepotentemente nel tempio del calcio (e del rock) di Milano, non poteva che coronarsi con lo show di chi di questo genere ha gettato le basi che le generazioni successive hanno preso a modello (“Genitore 1, 2 e 3”, li chiama Lazza, stavolta in veste di pianista per Lisa). Pochi giorni prima dei Guè, Jake La Furia e Don Joe, infatti, a calcare il sacro palco del Meazza era stato Sfera Ebbasta (ospite anche ieri sera), e questi due show – il suo e quello dei Club Dogo – sono ciascuno lo specchio di un’era precisa.

I Club Dogo e Sfera Ebbasta a San Siro sono ciascuno lo specchio di un’era

Da una parte quella della classe del 2016, nata e cresciuta sotto il segno del Cerbero che ha spianato la strada affinché il rap italiano potesse uscire definitivamente dall’underground per sedimentarsi nel mainstream e che ha reso l’ipotesi dei palazzetti e degli stadi lontana ma non così impensabile.

Un passaggio non indolore, vista la valanga di “venduti” che il trio si è accollato negli anni e le accuse di aver incarnato tutti i disvalori capitalisti, iper materialisti e ultra berlusconiani che l’hip hop militante (che pure i Dogo hanno portato avanti a modo loro) ha sempre combattuto. Ma la genialità dei Club Dogo è sempre stata quella di girare le critiche a proprio favore, rafforzando il proprio status di icone non solo del rap, ma anche di quella cultura nazionapopolare così squisitamente italiana della prima metà dei 2000 (tra un videomessaggio di Flavio Briatore e le immagine di tronasti, veline e calciatori in Costa Smeralda che passano sui megaschermi).

Dall’altra quella della seconda generazione dell’hip hop italiano, spuntata dalle ceneri del rap venuto fuori dai centri sociali in un momento in cui il genere nel nostro Paese stava vivendo una sorta di blackout da cui si sarebbe risollevato nel 2006 (per poi esplodere nel decennio successivo) e in cui tutto questo sembrava davvero irrealizzabile. Per questo il primo San Siro dei Club Dogo ha un valore particolare e oseremmo dire inestimabile per il rap italiano, per la sua gente e per Milano, la vera quarta testa del Cerbero.

Club Dogo significa Milano e Milano significa Club Dogo

È da qui infatti che la musica dei Club Dogo nasce ed è qui che ritorna sempre, in una celebrazione (musicale e visiva, con tanto di vagoni della metro, bar della piazza e città in fiamme) continua di quelle strade che “fanno il tifo”, che ieri hanno consegnato a Guè, Jake La Furia e Don Joe la corona che ha sempre spettato loro e il cui suono dal 2003 in poi è cambiato per sempre.

Milano che ti perdona o ti ammazza, Milano lussureggiante e lussuriosa, quella delle mille luci del centro e del jet set dietro le quali si nascondono però le ombre di una città che “ti sputa dopo che ti mastica” e che i Dogo hanno sempre raccontato (e – soprattutto – vissuto) come nessun altro. Quella delle contraddizioni, la sabotatrice di Mi Fist e la patinata viziosa di Che bello essere noi. Questa città che è “come una giungla” in cui “ci sono serpenti, volpi e leoni, e se serve devi essere tutti e tre”.

Milano che non sarebbe Milano senza la sua Gang, che i Dogo hanno riunito chiamando con sé Marracash, Emi Lo Zio e Vincenzo da Via Anfossi per classici immortali come Italia 90, Sempre in giro e Puro Bogotà per un’istantanea che è già destinata ad entrare negli annali del rap italiano e che chiude il sipario su una storia che dieci anni fa si era interrotta a metà e non con il giusto onore.

Ultimo tango a San Siro per i Club Dogo?

E ieri sera nella loro culla i Club Dogo hanno ballato quello che aveva tutta l’aria di essere il loro ultimo – vero – tango (al netto delle quattro date che li vedranno protagonisti questa estate in giro per l’Italia, ma si sa, Milano è sempre Milano), inscenando l’atto finale storico che meritavano e che non avevano ancora avuto, quello che noi e loro ricorderemo, perché anche se “avevano detto che sarebbe passata con l’età”, la leggenda del Dogo resterà per sempre. Fino All’Ultimo San Siro.

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