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Un concerto scolpito nella pietra: David Gilmour al cinema per celebrare il tour al Circo Massimo

Da domani, mercoledì 17 settembre, arriva nelle sale di tutto il mondo il film degli show romani dell’ottobre 2024

  • Il16 Settembre 2025
Un concerto scolpito nella pietra: David Gilmour al cinema per celebrare il tour al Circo Massimo

Foto di Matthew Eisman/Getty Images

Andando a ripescare negli appunti di quella sera di inizio autunno, ho ancora una sensazione di malinconia. Era il 2 ottobre 2024, mi avevano detto giusto un giorno prima che sarei andato a vedere David Gilmour al Circo Massimo di Roma, una chiamata dell’ultimo minuto, inattesa e insperata. Il gigante della chitarra presentava il suo nuovo album solista Luck and Strange, uscito giusto da un mese, che aveva scalato immediatamente le prime posizioni delle classifiche britanniche ed europee. Anche negli Stati Uniti non se l’era cavata male, tanto che il tour qualche settimana dopo avrebbe conquistato il cuore della grande mela, il Madison Square Garden.

Per il vecchio continente, invece, Gilmour aveva scelto Roma e il suo luogo d’intrattenimento più longevo. «Ho una passione particolare per i monumenti antichi perché c’è un’atmosfera particolare che aleggia su quelle pietre. Suonare in uno stadio nuovo non mi dà quel feeling» aveva dichiarato a Radiowise.uk. Da qui si capisce la passione del chitarrista per il richiamo della pietra antica, vissuta e levigata. L’obiettivo del tour però non era solo quello di emulare Pompei 1972 e 2016 (per distacco il suo concerto migliore di sempre, come dimenticare l’assolo di Confortably Numb). Le orme che i Pink Floyd hanno lasciato di qua e di là nella storia della musica e nella vita di milioni di appassionati hanno condotto il musicista, per questa volta, in una nuova dimensione.

Luck and Strange veniva definito dallo Gilmour come il suo lavoro migliore dopo The Dark Side Of The Moon. Oltre ogni ragionevole discorso promozionale o strategia di marketing, si faceva fatica a non credere alla spontaneità del vecchio saggio del rock. Non c’era assolutamente bisogno di dire una frase del genere. Gilmour ha sempre rivendicato con orgoglio tutti (quasi) i lavori dei Pink Floyd post TDSOTM, oltre ogni ragionevole litigio con la sua nemesi Roger Waters. E anche quando quest’ultimo ha deciso di abbandonare la nave, l’erede si è sempre compiaciuto parlando di A Momentary Lapse of Reason e in particolare di Sorrow, definito da se stesso come il proprio miglior testo, e The Division Bell dove su tutte spiccano Marooned e High Hopes, con l’assolo di slide guitar di rara intensità.

Poi i suoi album solisti, se non per alcuni picchi, niente di memorabile. Fino alla strana e fortunata idea di Luck And Strange, un album nato durante la pandemia. In molti effettivamente si erano chiesti cosa potesse offrire più di così un artista del genere. Più della carriera, più della musica, un altro, l’ennesimo, tour celebrativo. Nessuno in ogni caso si sarebbe lamentato, ma torniamo a quel 2 ottobre.

David Gilmour al Circo Massimo di Roma

Com’è possibile che un ragazzo di poco più di vent’anni – all’epoca 22 – riesca ad emozionarsi così tanto vedendo una persona di quasi ottanta mentre sta facendo il suo lavoro? Me lo chiedo tutt’ora. Ed era probabilmente la prima sensazione uscendo dai tornelli, qualche minuto dopo il delirio di Comfortably Numb. È una connessione che va ben oltre la passione per la musica, per le canzoni e gli assoli, ma che allo stesso tempo rimane irrisolta. Grazie al film del concerto prodotto da Sony Music, in uscita in tutto il mondo a partire da domani 17 settembre, si riesce in qualche modo a unire i puntini di quell’interrogativo. Gli anni si annullano e le distanze tra esseri umani di epoche differenti si accorciano nella verità dei racconti. Questo è l’effetto che fanno i grandi classici. E David Gilmour a suo modo è un grande classico, semplice e intramontabile.

Lo si vede nelle espressioni del suo volto che la regia di Gavin Elder ha saputo catturare. Non cambiano molto da quelle del 2016, o di anni fa. È immutato il suo commitment per la causa, che, anche se fosse festeggiare per l’ennesima volta i successi dei Pink Floyd, andrebbe lo stesso bene. La forza del nuovo progetto sta invece nel raccontare una fase diversa della vita dell’artista. Quella che si avvicina alla morte. Gilmour gli dà del tu, non si nasconde. Ci parla e lo fa con una naturalezza e leggerezza che è disarmante. Guarda negli occhi la fine dei suoi giorni con la sfrontatezza di chi riesce a giocarci sopra. Così magari da scongiurarla, allontanarla o in qualche modo aggirarne l’incombenza. Luck and Strange è un lascito tutt’altro che melanconico, è ultra-riflessivo, ma consapevole.

I versi «The promise of eternal youth, the spoils of fame, a carpe diem attitude», sono esegesi della presa di coscienza dei coniugi Gilmour, la moglie Polly Samson è co-autrice di tutti i testi dell’album. «La promessa dell’eterna giovinezza» svanisce così in un ritornello disilluso, così come esaurisce «il bottino della fama» e l’attitudine del «cogli l’attimo». L’assolo di Gilmour è però in controtendenza con il ritornello. È super vitale e lancia una sfida alla profondità dei pensieri cantati, come se gli tendesse una mano per farli riemergere verso orizzonti più verdi. The Piper’s Call è il manifesto dell’ultimo album dell’(ex) chitarrista dei Pink Floyd e anche dei suoi sei concerti al Circo Massimo.

È stato un tour sincero e per certi versi meno accentratore. Sarà che sul palco c’era sua figlia Romany, un’arpista, chitarrista e vocalist di livello assoluto. C’è stata in generale una grande voglia di presente e di festeggiare il qui ed ora.

Storditi ma felici

È stato anche grazie all’aiuto delle antiche pietre del Circo Massimo che il suono degli amplificatori continuava a rimbalzare da una parte all’altra del tempio sacro, mandando di fatto gli spettatori fuori di testa. Con Sorrow tutto tremava. Si tratta di un’opera teatrale, più che di una canzone. Dura 8 minuti, e nell’autunno romano quegli 8 minuti hanno registrato una tensione alle stelle. Semplicemente non c’era più spazio disponibile per distorcere ulteriormente quel suono. È una sensazione difficile da spiegare per chi non era presente, ma che si può comunque assaggiare dallo schermo.

Il film restituisce a modo il punto più ruvido, rumoroso, seccante della discografia di Gilmour. Lo fa senza sconti, tanto che il regista, per far percepire la gravità del momento, usufruisce per la prima volta della dronata dall’alto su tutto il circo. È la canzone che più metterà alla prova gli impianti audio dei cinema e che maggiormente ha messo alla prova le funzioni vitali dei presenti al Circo Massimo. “Storditi ma felici”, altra nota risalente a quel 2 ottobre, concisa e diretta.

«Lo faccio perché so che alla gente piace e inoltre io amo suonare quelle canzoni, sarebbe troppo egoista fare solo le canzoni del nuovo album» – ha detto il gigante buono alla presentazione del film. In effetti non si è proprio centellinato. Le canzoni del nuovo album le ha fa portate quasi tutte, perché ne è visibilmente fiero e suonano benissimo, ma impossibile rinunciare ai grandi classici che portò a Pompeii.

All’appello mancava solo Shine On You crazy Diamond, ma è stata man mano tolta dalle scalette dopo la morte del compagno di una vita e tastierista dei Pink Floyd Richard Wright. Breathe (in the air) non poteva invece essere lasciata fuori e anche questo in un certo modo incarna lo spirito di Gilmour. Del resto, si tratta solo di due accordi. Il Mi minore, con il suo senso di nostalgia e diffidenza nel futuro, e poi l’accordo di La settima maggiore, accordo risolutivo, più speranzoso, ma comunque enigmatico.

Un altro classico è Marooned, l’unica in cui suona la Stratocaster con il body rosso, in cui c’è solo musica, senza lirica. «Non penso di essere un grande liricista, mi piace esprimermi con le note che strimpello sulla chitarra, è il mio modo preferito di comunicare» e in effetti Gilmour ha inventato un linguaggio tutto suo. Un phrasing unico che tutti hanno provato a imitare perché, oltre a essere pieno di sfumature, è sempre sembrato anche facilmente riproducibile, orecchiabile. Perché quella semplicità è una sintesi sofferta ed estremamente elaborata della sua anima. Marooned in questo è un monito, per tutti gli imitatori. È quasi come se dicesse: «State attenti, potreste farvi male».

Between Two Points è un gancio con il Gilmour del 2024. La hit “rubata” dei Mongolfier Brothers è diventata una gemma del repertorio del musicista inglese. Grazie anche a Romany, la figlia, che canta e arpeggia su questo letto sonoro fatto di note incerte e ansiogene. C’è un rimbalzo tra due stati dell’anima e una fase di stallo e angoscia che vengono supportati dalla sua voce sufficientemente matura. L’assolo del padre è un gioiello suonato in punta di fioretto e riprende il tema della canzone accogliendo l’invito della figlia, che l’aveva lasciata lì, sospesa nel vuoto. Lui prova evidentemente a dare un ordine a quel caos, ma lascia la questione apertissima, finendo con un armonico interrogativo.

Il finale

Verso la fine del concerto i brani più attesi sono sicuramente Scattered e Comfortably Numb. Hanno circa 50 anni di differenza, ma sembrano essere stati scritti in serie. Non ci sarà più l’una senza l’altra. Il Gilmour che rappresentava “il sentirsi a proprio agio nella insensibilità” ha presentato definitivamente il conto all’artista che ha iniziato a dialogare con il concetto di tempo, che evidentemente non riesce più a controllare. Il tempo è una marea disobbediente e inafferrabile. La gentilezza del tono di Gilmour è in controtendenza con il titolo della canzone. Serve l’assolo per comprenderlo. È un concentrato di forza e intensità che colpisce dritto al punto.

Qui emerge la rabbia di Gilmour che sembra non essere più in grado di afferrare i propri ricordi, che si sente in balia delle maree, a sua volta scaraventato in una zona che non più di confort. Gli assoli dei due capolavori iniziano con la stessa frase. Se in Comfortably Numb c’è una risoluzione emotiva palese, uno sproloquio di emotività e armonici artificiali, in Scattered la riflessione è più breve e concisa. Nella scaletta i due brani chiudono il concerto e Gavin Elder fa il close-up su alcuni presenti in lacrime. Non c’è molto altro d’aggiungere, del resto la semplicità nelle scelte tecniche e artistiche è la chiave della riuscita di un film del genere, che anche grazie al minuzioso lavoro sull’audio, riesce ad aggiungere qualcosa al tour, speriamo non l’ultimo, di David Gilmour.

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