DJ Ralf e l’impagabile effervescenza degli anni ‘90
In occasione della sua presenza stasera, venerdì 19 luglio, a Villa Tittoni di Desio pubblichiamo il contributo in prima persona di Antonio, che troverete sul numero di luglio/agosto del nostro magazine, in cui ci ha raccontato come quel decennio magico lo fece diventare uno dei DJ più amati nel nostro Paese
Su Instagram DJ Ralf si presenta sempre così: «Mancato ballerino di prima fila, faccio ballare la gente da più di trent’anni». E questo è quanto, forse davvero potrebbe bastare. Chi conosce la storia della house italiana sa che la sua presenza nelle consolle delle discoteche e club italiani più amati l’ha reso un’icona del nightclubbing. Anzi, buttate l’occhio sul lunghissimo elenco dei club dove ha suonato più volte. Vi farete un’idea definitiva della toponomastica indispensabile della club culture anni ‘90.
Proviamo giusto a ricordarne alcuni: Cocoricò, Adrenaline, Alterego, Divinae Follie, Ethos Mama, Fluid, Goa, Guendalina, Hollywood, Matis, Mazoom, Magazzini Generali, Muretto, Tenax, Kama Kama, Villa delle Rose. Senza dimenticare le sue presenze all’estero. Ci sono Pacha, Space e Amnesia a Ibiza, Cavo Paradiso a Mykonos, il Crobar di Miami e il mitico Ministry of Sound di Londra.
Ma Antonio (suo nome all’anagrafe) non può dimenticarsi della sua amata Umbria, dove torna sempre e dove ancora oggi risiede. E se stasera lo andrete a sentire mixare a Villa Tittoni, di sicuro passerete una autentica esperienza house con quell’“italian touch”. Il claim che ci siamo inventati per racchiudere sinteticamente i contenuti del nuovo numero del nostro magazine, completamente dedicato ai protagonisti del passato e del presente della musica dance nostrana.
Il contributo di DJ Ralf
Quando il direttore Tommaso Toma mi ha scritto «Mi piacerebbe avere un tuo racconto personalissimo su quella euforica epoca della dance italiana che fu il decennio ‘90» ho avuto un piccolo blocco delle mie sinapsi, dato che non ho mai avuto tutta questa voglia di ripescare il mio passato, non essendo un nostalgico tout court. Ma può un “mettitore di dischi” che arriva dalla campagna rifiutare la proposta di scrivere un editoriale per Billboard Italia? No che non può! Per cui ho risposto: «Va bene, lo faccio!». Però piccolo intoppo tecnico: «Per l’articolo servono, massimo, un tot di battute, spazi compresi».
Ecco, in quell’istante mi sono venuti gli occhi a crocetta come alle talpe amiche di Lupo Alberto, personaggio del grande disegnatore italiano Silver – a proposito dell’Italian touch – che leggevo avidamente sul Corriere dei Ragazzi agli inizi degli anni ‘70. Sono lustri che non mi diletto nella nobile arte dello scrivere. Quando lo facevo, per l’amatissima rubrica Touch and Go sul mitico magazine Discoid (un free press degli anni ’90 molto amato dagli appassionati del genere dance, ndr), gli articoli li inviavo dopo averli scritti a mano. Praticamente dei geroglifici, dato che non avevo un computer. Immaginatevi la fatica della redazione a “tradurli”. Come faccio con i caratteri, spazi compresi? Non posso mettermi a contarli col dito, come alle elementari, e diversamente non so fare. Per cui scrivo quello che mi viene e poi fate voi. Semmai tagliate.
Gli inizi
Quello che posso affermare qui sugli anni ‘90 è che per me furono davvero mirabolanti. Un’autentica magia, in effetti. All’inizio di quella meravigliosa decade la mia carriera letteralmente decollò. Proprio in quel periodo entrai in contatto con alcuni dei club più importanti d’Italia e d’Europa. Cominciai nel 1990 da un piccolo club di Roma gestito dai “ragazzi terribili” (collettivo di DJ e PR, ndr), fra i cui fondatori c’era il DJ Marco Moreggia. Per poi passare al Plegine di Firenze, dove Andrea Anedda (direttore artistico del Plegine, ndr) mi chiamò a suonare dopo aver ascoltato una mia cassetta avuta dai miei soci del party Ultra Violet, probabilmente la prima festa house/elettronica di Perugia e tra le prime in Italia.
Cominciai con un after tea (eventi che cominciavano solitamente di domenica alle 6 del pomeriggio e che potevano finire anche all’una di notte), per poi passare al venerdì. Nel giro di poco tempo mi trovai ad essere DJ resident di sabato al Matmos di Milano, che si trovava sotto alla Torre Velasca, chiamato dal compianto Marco Tini che ne fu direttore artistico. Lì dividevo la consolle con Luca Colombo e Giorgio Matè.
Nel 1991 Gianluca Tantini (proprietario del Matis Bologna, ndr), consigliato da tre importanti PR dell’epoca (Maurizio Monti, Sabrina Bertaccini e Valentina Cecchini) mi chiamò proponendomi la residenza all’Ethos Mama Club di Misano il sabato e al Matis di Bologna la domenica. Offerta economica: 250.000 lire a serata! In pratica, in quel periodo, a me e alla Bea – mia moglie, che contemporaneamente trovò un lavoro da modellista molto ben remunerato – cambiò totalmente l’esistenza.
La svolta
In pochi mesi passammo dal dover decidere come spendere quelle 10.000, 15.000 lire che avevamo a disposizione per comprare un po’ di cibo, mettere la miscela sulla Vespa – prestatami da un amico – o comprare le sigarette (le tre cose non ci stavano contemporaneamente, per cui bisognava sceglierne due) ad averne a disposizione 750.000 a settimana. Abitando in una casa di campagna molto fredda ed essendo abituati a dormire sotto coperte pesantissime, il primo regalo che ci concedemmo fu un magnifico piumone, acquistato all’Upim di Perugia. Ancora oggi lo custodiamo gelosamente.
C’era un gran fermento nell’andare a ballare in Italia in quei tempi. La gente si spostava da ogni luogo, ogni fine settimana, per raggiungere i tanti club della riviera romagnola e tirrenica e quelli delle grandi città. In quegli anni nacquero molte etichette discografiche indipendenti di grandissimo valore. Io e altri DJ e produttori italiani, coordinati da Alex Serafini, fondammo la Heartbeat per la Media Records di Gianfranco Bortolotti.
La prima release fu con il progetto Shafty e il brano era Deep Inside (Of You). La produssi insieme ad Andrea Gemolotto nel suo meraviglioso studio di Udine. A quei tempi non esistevano gli attuali programmi di composizione. Usammo un sequencer e mixammo con un mixer analogico SSL, tra i più validi e professionali di tutti i tempi. Facemmo le stesure direttamente dal banco, aprendo e chiudendo i vari canali e regolando i volumi a mano. Ricordo che fu un lavoro lungo e complicato ma il risultato finale ci ripagò ampiamente della fatica.
Questa fatica però era compensata dalla gioia di trovare stimoli e intuizioni dell’enorme ricchezza della scena dance internazionale in quel decennio. Chicago, Detroit, Londra, Berlino erano dei fari, ma anche Parigi. E pensare che la mia prima fonte di ispirazione per la dance fu un contesto musicale diverso: il post punk e la new wave. Furono i semplicissimi giri di basso dei Joy Division, le intuizioni industriali dei Cabaret Voltaire, la semplicità melodica dei Soft Cell.
Io e tanti altri DJ e producer dell’epoca spesso ci nutrimmo degli stimoli internazionali, senza mai dimenticare una certa propensione a inserire nelle tracce una melodia made in Italy. Come accadde proprio per quella prima mia produzione. In Deep inside (Of You) si sente chiaramente un arrangiamento d’archi che ricorda una classica melodia dei grandi compositori che lavoravano per il cinema, da Morricone a Nino Rota. Era il nostro “Italian touch”.