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In “10”, Drillionaire è il regista del film della sua vita. L’intervista

Dalla serie B del calcio alla serie A del rap. Nel suo primo producer album, Diego ha radunato gli amici e i fratelli più blasonati della scena e li ha fatti entrare nel suo viaggio

Autore Greta Valicenti
  • Il15 Luglio 2023
In “10”, Drillionaire è il regista del film della sua vita. L’intervista

Drillionaire, foto di Bogdan @Chilldays Plakov

Non solo come una partita, quella decisiva per dimostrare chi è il migliore in campo. 10, il primo producer album di Drillionaire uscito il 30 giugno, potrebbe essere visto anche come un film. Più precisamente, quello della sua vita trascorsa tra la serie B del calcio e la serie A del rap. Un numero, il 10, che ha una valenza non proprio casuale nel percorso vitale di Diego; è quello di D10S (con cui Drillionaire – coincidenza – condivide il nome di battesimo e la maglia di quando giocava, prima di appendere le scarpette al chiodo a causa di un infortunio), e quello del centrocampista, colui che ha tra le mani la costruzione del gioco. Un numero che non poteva essere più calzante per il nostro.

Dopo aver lavorato intensamente a ben nove dischi (tra cui Sirio di Lazza, quasi interamente prodotto da lui e insomma, non proprio un album da un paio di ascolti), Drillionaire ha deciso che era arrivato il momento di giocare il suo match da protagonista. E per farlo, ha riunito e diretto nel suo biopic sotto forma di barre gli amici e i fratelli che lo hanno sempre supportato, e che destino ha voluto fossero anche i più blasonati della scena. Uno su tutti? Lazza, il primo a credere in un Drillionaire ancora alle prime armi, quando vendeva i suoi primi beat a venti euro, come mi racconta durante la nostra intervista. E a chi lo accusa di aver prediletto la giocata facile per scalare le classifiche estive, Diego ha qualcosa da dire.

L’intervista a Drillionaire

Com’è avvenuto lo switch dal calcio alla produzione e quando hai capito che la musica era la strada che volevi effettivamente intraprendere?
È partito tutto da un infortunio. L’anno in cui ero in serie B mi sono fatto male al ginocchio e sono stato costretto a stare fermo parecchio in casa. Da tempo avevo questa passione della musica, solo che non l’avevo mai presa come un qualcosa di così serio da mettermi lì tutti i giorni a provare e riprovare. In quel momento ero talmente tanto deluso dalla situazione che ho trovato uno sfogo nella musica. Lì è partita una scintilla che mi ha fatto dire “Okay, questa roba mi fa sentire ancora vivo”. Ho iniziato a guardare mille tutorial su YouTube, partivo da autodidatta completo, non suonavo nessuno strumento quindi ho cercato di capire da solo come funzionassero tutti i programmi per produrre. Poi facevo sentire le cose che facevo ai miei amici e loro mi dicevano di continuare, e lì mi si è aperto davvero un mondo. 

Chi è stato il primo artista a credere in te?
Sicuramente Lazza, ti racconto questa cosa che fa veramente ridere. Io avevo una pagina Facebook dove mettevo tutte le mie produzioni su SoundCloud e avevo fatto un sito web dove c’erano i miei beat a 20 euro e c’era la possibilità di comprarlo in esclusiva solo per te a 50 euro. Un giorno ho inviato questo link a Lazza perché mi piaceva un sacco, lui mi risponde e mi fa: “Te li compro tutti”. A quel punto gli ho proposto di vederci e da lì è nata N70. Da lì lui ha iniziato a far girare il mio nome e Rkomi ha scelto tre miei beat per Dove gli occhi non arrivano. Il direttore artistico di quel progetto era Charlie Charles che poi mi ha chiamato per chiedermi di firmare con BHMG.

E arriviamo così a 10. Lo definiresti un concept album?
Certo. La cosa bella di questo disco è che tutti gli artisti sono entrati nel mio viaggio e hanno dato il massimo. Marra e Guè, che sono due pionieri e due mostri sacri di questa roba, non mi hanno fatto una strofetta tanto per fare. C’è stato un impegno incredibile da parte di tutti. Ad esempio, se senti la strofa di Salmo capisci subito che è un artista con cui io ho parlato, altrimenti non avrebbe mai scritto quello che ha scritto. Lo stesso vale per Capo Plaza, ci sono tante cose che ti fanno capire che questo è un concept album, e non un disco mordi e fuggi fatto per l’estate come ho letto. C’è dentro tanto di me, c’è la mia storia e il lavoro di una vita. 

È un disco da serie A?
La mia idea era quella di fare pezzi da serie A. In questi anni ho fatto la direzione artistica di tanti album e ho cercato di rimanere coerente con il mio percorso e gli artisti con cui ho sempre avuto a che fare. Non volevo alzare il telefono e chiamare persone che stanno spaccando ma che io non conosco personalmente e con cui non ho mai avuto a che fare. Io ho cercato di creare il mio roster basandomi semplicemente sui rapporti umani che ho con gli artisti. 

Drillionaire: «Usciranno molti pezzi che non sono finiti nel disco»

Qual è stata la cosa più difficile durante la realizzazione?
Vuoi la verità? Il fatto che tutti gli artisti volessero tenersi i pezzi per loro (ride, ndr)! Devi essere molto bravo a bilanciare le cose, capire cosa puoi effettivamente lasciare e cosa devi tenere. Ci sono tantissimi pezzi che avrei voluto mettere ma che sentirete comunque altrove. La musica non finisce con questo disco, il giorno prima delle release ero già in studio – non si può dire con chi – a creare. Per me andare in studio è un lifestyle ormai, mi sveglio e ne sento proprio il bisogno.

Beh, credo che Yalla sia uno dei pezzi più forti che Guè e Marra abbiano fatto insieme dai tempi di Santeria...
Assolutamente. Quel pezzo è fortissimo, anche se non sono riusciti a incontrarsi durante la realizzazione si sono parlati tantissimo, volevano fare in modo che il loro ritorno fosse importante, con un pezzo d’impatto. Siamo riusciti a fare veramente un banger e io su queste cose ci volo.

Un’altra chicca è Upper di thasup e Shiva: com’è nata?
Io ti posso assicurare che quel ragazzo (thasup, ndr) è un genio. Slait sapeva che io stavo facendo il disco, un giorno mi scrive per chiedermi se avessi dei beat da far provare a thasup e io gli mando quello di Upper perché ero convinto che potesse spaccarlo. Quindi glielo mando e dopo cinque ore mi manda questo ritornello incredibile, io sono rimasto senza parole.

L’uso dei sample in “10”

Nel disco ci sono anche dei semple iconici. Mi racconti di questa scelta?
Fondamentalmente io volevo fare un disco leggendario, quindi dovevo prendere dei sample che fossero all’altezza. Questa è stata una cosa molto difficile. Io poi sono fissato coi campioni, anche per Boss di Tony abbiamo fatto un lavoro incredibile. Andare a toccare una pietra miliare di 50 Cent non è semplice, abbiamo dovuto fare un sacco di passaggi e riuscirci è una cosa che ti fa status. Lo stesso per 10. Siamo andati ad utilizzare pezzi storici, e avere l’ok per sbloccarli non è sempre facile. Devono capire che ne vale la pena, e gli artisti in questione lo hanno fatto.

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