“Caro diario…”. ELASI ci racconta il suo primo album che è un omaggio al clubbing contemporaneo
La producer ci presenta “ELASIR”, il suo disco di debutto, disponibile da domani. Ed è esattamente il disco che ci aspettavamo da lei: un progetto da ballare, coraggioso, elegante e assolutamente attuale
Facciamo un giochino di parole, come tanto piace a lei? Ecco, questo debutto è: “il giusto elisir di lunga vita per il clubbing italiano”. Lo capirete bene ascoltandolo. Noi ELASI la seguiamo da tempo (dal suo bel debutto del 2020, CAMPI ELASI). Abbiamo da subito scommesso sul suo talento purissimo e sulla sua sensibilità verso le mutazioni sempre repentine della scena clubbing dance. La stimiamo anche perché ELASI si è esposta in prima persona per sostenere quella scena al femminile, creando il primo network italiano di produttrici, POCHE, dove dentro ci ritroviamo anche l’amica Plastica e tante amiche colleghe DJ/producer: adesso è finalmente arrivato l’atteso momento del primo album. Ed è un omaggio totale al clubbing contemporaneo.
Un album che parte subito “veloce”, con l’euforia house dal gusto orientale di ICEBERG e non smette di battere il tempo in AMÆMI (ELASI è un po’ Sophie e Charlie XCX), come anche nella successiva ETC che ha un tocco leggermente malinconico (ed è la mia preferita). C’è anche un salto negli anni ’90 in LORELLA. Insomma, un album che fa capire che, se le girls italiane si stanno muovendo bene nel giro del pop, anche in quello della musica da club fioccano le conferme e le sorprese. (vedi il nuovo MYSS KETA e il recente bel disco di Whitemary). Ecco per voi in esclusiva una sorta di diario intimo sulla nascita di ELASIR.
Il diario di ELASI
Caro diario (sono le 4 del mattino, cielo bianco di Milano-Chinatown in autunno, dormiveglia. Non mi ricordo che giorno è). Ho appena sognato, come al solito, di perdermi e correre in una specie di centro commerciale, tra scale di Harry Potter e neon alla Enter the Void. Non riesco a capire se fosse Shibuya o una zona industriale della mia periferia di Alessandria. La colonna sonora di questa corsa onirica suona da quella cassa del mio cervello che funziona quando vuole lei. Quando sono in fase REM, mi lavo i denti, faccio la spesa, mangio lo yogurt… insomma quando non guido i pensieri.
“Que sera sera, eccetera, que serà serà, eccetera” è il ritornello che rimbalza nel sogno di oggi sopra a un ritmo Baltimore-club (probabilmente ispirato da un assurdo remix di My Humps dei Black Eyed Peas che ho sentito ieri nei meandri di TikTok). Ne registro una bozza vocale sul cellulare e stasera scriverò e produrrò nel mio home-studietto un pezzo che si chiamerà ETC.
Ho scritto un disco così, fatto di musica dei miei sogni e l’ho chiamato ELASIR. Giusto perchè non mi piacciono i giochi di parole… (i miei precedenti EP si chiamano CAMPI ELASI e OASI ELASI). Da quando avevo sette o otto anni funziona un po’ così: i ritornelli compaiono nella mia testa quando i pensieri si fanno rarefatti e labirintici. Mi ripeto queste “hit mentali”, come dei mantra e sento che la mia tristezza diventa in qualche modo più leggera e fluttuante.
Ho composto una canzone del disco (insieme al mio amico Peppe Petrelli) sul fatto che, quando scrivo, galleggio tra due picchi: si chiama ABISSI EVEREST. Su queste estreme montagne russe del mio animo, la mia formula magica personale è la mescolanza di tessuti elettronici con suoni, ritmi e melodie ancestrali, viscerali, orali della musica tradizionale che scopro viaggiando o molto lontano o molto vicino alle terre nebbiose in cui sono nata. Quando sperimento e miscuglio queste mie ricerche, mi sento un po’ come una allucinata alchimista insonne che, tra ampolle a spirale e nettari notturni, cerca l’antidoto sonoro per evadere con leggerezza dal buio più pesante. Il mio “elasir”.
A proposito di mantra, il più ipnotico di tutti è quello che nel disco ho cantato come se ogni sillaba provenisse da uno strumento a fiato (un duduk, un ney, un flauto di zucca…) che suona un’ostinata ritmica in quarti: “Quan-te vol-te tu ti per-di? Quan-te vol-te tu ti per-di? Quan-te vol-te tu ti per-di?”. Ho ripetuto questa frase su un beat che ho costruito sul movimento di un taiko, tamburo tradizionale giapponese. Mentre sillabe, tamburi e tessuti elettronici si liberano su una struttura frutto di un mio momento di pazzia, Soheil Raheli risponde alla mia insistente domanda con una bellissima poesia in farsi che dice una cosa così: “Quando entri nella mia stanza, fai piano o si romperanno i cristalli sul pavimento”.
La musica elettronica ormai fa parte del mio quotidiano. Mi appassiona scrivere brani che suonerò nei club con giochi di parole e nuove filastrocche in italiano o in dialetto piemontese. Siamo abituati ad ascoltare l’elettro, la techno, la house in inglese o in spagnolo, ma, da DJ, ho notato che le persone si divertono molto a ballare musica cantata nella nostra bellissima lingua. Ecco perchè mi sono divertita a scrivere insieme a mia sister Plastica AMÆMI (“amami baby a me mi piaci”) e ICEBERG, e, insieme a Fresco, TIGRE BIANCA, LORELLA e MUSICA ESPECIAL feat. Sebra Cruz: giochi di parole, girotondi in castelli di Miyazaki, occhiali da luna, binari stellari, kimoni-farfalla su beat veloci UK house, garage e disco.
Oltre a voler ballare e far ballare musica elettronica in italiano, desidero portare nei club la musica tradizionale, campionata e prodotta in chiave contemporanea. È una cosa che ho capito suonando nei miei dj set brani come Canto della libertà – Kink Remix di 3rd face. Quest’ultimo è un urlatissimo coro napoletano (molto simile al II Coro delle Lavandaie di De Simone) su un beat elettronico scura a 130 bpm.
Quando parte questo pezzo, quando parte questo canto che arriva dalle viscere e dalle nostre radici, le persone (in Italia, in Corea del Sud, in Francia, ovunque) impazziscono e ballano senza paura. Sempre. Ho capito che il club sarà un mezzo potentissimo per far rivivere il nostro patrimonio immateriale orale, i nostri dialetti, le nostre radici musicali. In questo contemporaneo luogo di ascolto collettivo anche la mia generazione si potrà incuriosire e avvicinare ai suoni e ai ritmi che stanno pian piano svanendo insieme ai nostri nonni.
Ok i club, però, caro diario, ora faccio una virata. C’è uno strumento che non riesco ad abbandonare. Quello con cui, fin da piccolissima, mi sono avvicinata alla musica in modo serio e meticoloso: la chitarra classica. Da adolescente (pur cantando e suonando l’elettrica con una band punk nei pub e nelle sagre del basso Piemonte) mi sono distrutta schiena e polpastrelli sugli spartiti del conservatorio e su quelli di bossanova di mio nonno. Accompagnandomi con le corde di nylon, scrivo serenate alle sirene che si cullano su tappeti volanti, bagnasciuga deserti e vuoti celesti. Così è nata MARINA (BACHATA), l’ho scritta con Rocco Rampino ed è una delle canzoni per noi più magiche del disco. Anche perchè la chitarra che abbiamo usato è la vecchia Ramirez di mio nonno Luciano.
Ora che ho scritto tutto questo, caro diario, mi è tornato finalmente sonno. A presto.