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Finalmente tutti possono vedere “Kneecap”

Scritto e diretto dal regista britannico Rich Peppiatt, arriva in Italia, da domani, il “finto” biopic sulla band più discussa del momento. Scorretto, divertente e hip hop, è anche la storia di come la lingua irlandese sopravvive. Nonostante tutto

  • Il27 Agosto 2025
Finalmente tutti possono vedere “Kneecap”

Foto di Peadar Ó Goill

Quando Tom Morello li ha definiti i Rage Against the Machine della nostra epoca in molti avranno storto il naso. Invece, per la portata politica dei loro pezzi, per il loro atteggiamento su e giù dal palco, per i peli sulla lingua mai avuti, i KNEECAP – il cui omonimo film sarà disponibile nelle sale italiane da domani – sono uno dei gruppi essenziali per comprendere tutte le contraddizioni del nostro tempo. Di certo uno degli esempi più limpidi del ruolo e della responsabilità che oggi dovrebbe assumersi l’hip hop, da qualche anno sempre più chiuso in un’autocelebrazione fine a se stessa.

Un film sui KNEECAP, trio hip hop di Belfast che alterna lingua inglese e irlandese, di per sé, è probabile che non riesca ad attirare il grande pubblico in sala al di fuori dei propri confini nazionali. Ancor più complicato in Italia, dal momento che il suddetto gruppo non si è ancora esibito nel nostro Paese. E questo è un grande peccato perché essere a un loro concerto, tra balaclava tricolori e gente pronta a saltare e pogare senza avere cellulare in mano, è rigenerante e adrenalinico.

Eppure Kneecap, il film, è stata una delle rivelazioni del 2024 fin dalla sua anteprima. Presentato al Sundance Festival è stato decretato miglior film irlandese dell’anno. Ha vinto sei British Independent Awards, miglior opera prima ai BAFTA. Senza contare che i KNEECAP, la band, dopo l’uscita del loro album FINE ART, hanno intrapreso un tour che li ha portati ovunque. Sempre schierati, per la lingua, per i più deboli, per la causa palestinese, anche a costo di finire per essere indagati dall’antiterrorismo britannico. In Italia il loro film è arrivato in ritardo. Presentato all’ultimo Giffoni Film Festival, ha vinto nella sezione 18+ e ora finalmente approderà in sala.

Il lungometraggio di Rich Peppiatt non è un biopic, ma neppure un documentario. Un corrispettivo potrebbe essere 8 Mile (2002) di Curtis Hanson con Eminem protagonista. Lo stratagemma di partenza è infatti simile: Liam Óg Ó hAnnaidh, Naoise Ó Cairealláin and J.J. Ó Dochartaigh interpretano loro stessi debuttando come attori. Lo sviluppo e il fine sono però molto distanti.

Partiamo dal titolo e dal nome del gruppo. Il termine Kneecap fa riferimento a una delle pratiche più diffuse durante il conflitto nordirlandese, ovvero quello di sparare alle rotule. Quello che in italiano definiamo comunemente gambizzazione. Il contesto però è la Belfast del presente, quella a cavallo degli anni pre e post COVID. Questa volta la generazione coinvolta non è quella dipinta nel toccante film di Kenneth Branagh (Belfast, 2021), ma quella dei Ceasefire Babies. Coloro che i Troubles li stanno vivendo di riflesso, attraverso le testimonianze e le cicatrici dei genitori, cercando di sedare il dolore con i farmaci e la droga. La studiosa Marianne Hirsch ha definito tutto ciò con il concetto di postmemoria: la riproposizione del trauma familiare in una sorta di PTSD ereditario.

La storia dei KNEECAP si sviluppa in un momento storico ben preciso: la lotta politica per il riconoscimento dell’irlandese come lingua ufficiale nel Nord dell’Irlanda (e non Irlanda del Nord, espressione giudicata dai diretti interessati come propagazione linguistica del colonialismo britannico come ci hanno raccontato nella nostra intervista). La loro prima canzone C.E.A.R.T.A (“diritti” in irlandese) è stata scritta poco dopo una delle numerose marce per l’approvazione dell’Irish Language Act, avvenuta solo nel 2022.

La missione di Rich Peppiatt non era semplice. Non si trattava di raccontare solo la genesi di una band, ma di catapultare lo spettatore in un ecosistema a sé stante, fatto di divisioni, attriti politici e sociali profondamente legati alla storia e alla religione. Il regista inglese è ripartito da quanto fatto col suo (auto) documentario satirico d’esordio One Rogue Reporter (2014) ed è andato oltre. Kneecap è un film che dipana un tema complesso in maniera spassosa, intelligente e soprattutto semplice.

Anche chi non sa quasi nulla della situazione attuale nel Nord dell’Irlanda, di colpo, dopo appena cinque minuti, ha già chiaro tutto. Liam e Naoise fuggono da un rave party, dove scorrono fiumi di alcol e droga, inseguiti dalla polizia. Il primo dei due viene fermato e condotto in caserma dove però si rifiuta di parlare in inglese. Viene chiamato a fare da interprete J.J, un professore di gaelico. Segue una delle scene più divertenti e geniali del film, con tanto di citazione alla scorrettissima serie animata The Bondocks e al celebre dialogo in macchina tra il poliziotto biondo doppiato da Samuel Jackson e una ragazzina di colore.

Il principio secondo cui «l’assenza di prove non è la prova dell’assenza» permette a Liam di passarla liscia. Da qui inizia il viaggio musicale: il professore, scoperta l’abilità dei due ragazzi nello scrivere rime, inizia a produrre per loro le basi. Il trio diventa una band con tanto di nomi d’arte (Mo Chara, Móglaí Bap e DJ Próvaí). Da un lato ci sono i primi concerti nei pub e lo spaccio di droga, dall’altro le questioni politiche e familiari. Quest’ultime sono incarnate dai genitori di Naoise: da una madre isolata nel lutto e nella rabbia e soprattutto dall’enigmatico e patriottico personaggio interpretato da Michael Fassbender. Un padre e un latitante repubblicano per cui «Ogni parola di irlandese è un proiettile per la libertà».

Quanto raccontato nel film si avvicina in parte alla reale storia dei KNEECAP. DJ Próvaí era realmente un insegnante di irlandese, così come Naoise e Liam hanno uno stretto rapporto con la droga e le guardie. Spesso sono proprio le scene più assurde quelle vere, come l’iniziale sequenza dell’elicottero durante il battesimo. L’aspetto più rilevante e più “reale” è quello della lingua. Anche per questo il film andrebbe visto in originale per essere assaporato fino in fondo. Un idioma rappresenta la storia di una cultura.

L’irlandese oggi è parlato da circa 60 mila persone, di cui 6 mila nel Nord dell’Irlanda. I KNEECAP con i loro versi scorretti rappresentano un primissimo esempio di rap in gaelico. Attraverso la musica avvicinano la loro generazione a una lingua a rischio d’estinzione senza nessun timore di trattare temi che altri artisti evitano come la peste e prendere posizioni nette.

Cosa c’è di più hip hop di questo? Come recita una delle tagline del film, ogni quaranta giorni una lingua indigena scompare e, con essa, tutto un bagaglio di storie ed esperienze. Le loro parole sono “proiettili”. «Quando ho incontrato Liam, Naoise e JJ per la prima volta, dopo aver giurato loro di non essere un poliziotto, il giorno dopo mi sono iscritto a un corso di lingua irlandese. Alla prima lezione scoprii che metà delle persone erano lì perché erano fan dei KNEECAP» ha raccontato il regista del film in un’intervista.

Un’attitudine quella del trio che non è solo di facciata. Nel febbraio 2024, per il proprio impegno, la band ha ottenuto una sovvenzione di 14.250 sterline dal Music Export Growth Scheme, poi bloccata dal Dipartimento per le imprese e il commercio perché non poteva essere assegnata “a persone che si oppongono al Regno Unito stesso”. Il gruppo ha intentato una causa per discriminazione contro il governo britannico, vincendola e ricevendo l’importo lo scorso novembre 2024. La sovvenzione è stata poi devoluta a due organizzazioni giovanili che lavorano con le comunità protestanti e cattoliche del Nord dell’Irlanda.

La bravura di Rich Peppiatt sta nell’essere riuscito a tradurre per mezzo di una sceneggiatura mai banale, che si barcamena tra dramma e comicità, lo stile musicale e di vita dei tre protagonisti. Follia, alta velocità e un ritmo sfrenato. Se sulle capacità di Fassbender non c’erano dubbi, stupiscono le interpretazioni di Liam, Naoise e JJ, perfettamente a loro agio nei loro stessi panni. Personaggi sopra le righe, sia davanti alla camera che nel mondo reale, che però non risultano mai creati a tavolino né tantomeno infarciti di cliché. La musica è l’altro grande cavallo vincente di Kneecap. Ci sono i Prodigy, il folk irlandese e naturalmente le canzoni del gruppo, tra cui Sick in the Head finita nella shortlist delle migliori canzoni originali agli Oscar.

Nella maggior parte dei casi i brani del trio, non solo raccontano in ordine cronologico l’ascesa dello stesso, ma contribuiscono con i testi a chiarire ancora di più il contesto. Che poi era la missione dichiarata da Peppiatt: realizzare un semi-fictionalised biopic con l’intento di rendere giustizia a una cultura e a una lingua. Ci è riuscito in pieno, adottando una cifra personale e unica, o come ripete Liam nel film, trovando la giusta “velocità”. Il film sui KNEECAP è prima di tutto una piccola perla cinematografica, quindi, se anche non conoscete il trio di Belfast, prima di recuperare la loro musica, scipriteli in sala.

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