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Francesco De Gregori a Milano, oltre ogni ermetico dubbio

Il cantautore romano è protagonista di una residency di 20 date al teatro Out Off di Milano, in cui porta il suo ultimo spettacolo “Nevergreen, perfette sconosciute”

Autore Andrea Florenzano
  • Il4 Novembre 2024
Francesco De Gregori a Milano, oltre ogni ermetico dubbio

Francesco De Gregori, foto Daniele Barraco

Li chiama più volte amici, i circa 200 del teatro Out Off di Milano. Ed è sicuramente l’atmosfera che voleva creare, Francesco De Gregori, scegliendo di suonare in un teatro in cui lo spazio del palco è più grande di quello della platea. L’idea è quella di costruire un dialogo diretto con il pubblico e annullare la distanza tra spettatore ed esibizione. Utopia per i concerti moderni, sempre più capienti, pirotecnici, freddi. De Gregori ci dà l’occasione di spiare, dal buco della serratura, una session in studio di altissima qualità. “C’è il plexiglass attorno alla batteria perché se no vi sfondiamo le orecchie. Il suono che ascolterete non ha sequenze, è prodotto nella sua totalità in questi istanti.”

È un suono vivo quello della super band del menestrello romano, che vola nell’aria e ne occupa tutte le frequenze. Lui è in piedi e passeggia sul palco, mentre tra una canzone e l’altra chiacchiera con noi. E ci rende partecipi di ciò che aveva pensato per questo progetto, Nevergreen (perfette sconosciute). Si tratta di una residency al teatro Out Off di Milano di 20 date. Nevergreen perché non ci sono le grandi hit. Altra anomalia in totale controtendenza rispetto ai colleghi coetanei e ai loro tour a sugellare carriere straordinarie. Non è quindi un best-off: “L’avete letto il cartellone, volete il biglietto indietro?”. Scherza con i suoi.

Dalle scalette pubblicate delle prime tre serate, si intuiva effettivamente che non fosse un tour celebrativo e autoreferenziale. “Ci sono alcune canzoni che le radio non mi hanno mai passato. Mi è stato detto più volte che sono un ermetico, ma non mi ci rivedo.” Ecco perché Francesco ha messo in scena uno spettacolo intimo e chiacchierato, per raccontare le sue canzoni meno conosciute, ma ugualmente meritevoli, a suo parere, di ascolto e considerazione. “Le canzoni non andrebbero spiegate, però a dire il vero mi scoccia essere frainteso.”

De Gregori è in formissima, ed è genuinamente felice di stare sul palco e cantare. Lo fa con la sua voce tagliente e arguta, dritta come una spada. È un timbro che non lascia mai indifferenti, che a tratti può essere deliberatamente fastidioso e sibillino. Perché in ogni caso è giusto che il cantautore infranga un po’ lo status quo (per non dire altro). E la dimensione del concerto one-to-one, in stile residency del 2019 al Teatro Garbatella di Roma dal titolo Off The Record, sembra essere quella perfetta per queste perfette sconosciute.“Questa dicevano che l’avessi dedicata al mio amico Antonello Venditti”, si riferisce a Piano Bar, gemma, neppure così ‘unknown’, dell’album capolavoro Rimmel del 1975.

Nei versi De Gregori scherza sulla sfacciataggine, e inettitudine, dei pianisti di Piano Bar, che con qualche trucchetto portano sempre a termine le proprie performance, mai memorabili. “Antonello se la prese molto, ma non era affatto vero che mi fossi riferito a lui.” A tratti lo spettacolo assume i connotati di un cabaret in musica. Su Baci da Pompei fa una precisazione: “Vi assicuro che l’ho scritta moltissimi anni fa, anche se risuona estremamente attuale”. Si riscopre un De Gregori sciolto e simpatico, lati della sua personalità non noti ai più.

Intermezzi a parte, gli arrangiamenti sono divinamente suonati da una band di artisti oltre che musicisti. Circa un mese fa assistevamo al Luck and Strange tour di David Gilmour al Circo Massimo di Roma. Seppur sia complesso stilare analogie, non posso negare di aver avuto la stessa sensazione di grandezza e umanità. Non reputo le scelte stilistiche dei due artisti così diverse. Gilmour ha costruito uno show residency da soli (considerata la caratura internazionale dell’evento) 15.000 posti a serata, in una location dall’acustica a tratti biblica.  

Sarà la slide guitar suonata da un’impeccabile Alessandro Valle, ma anche l’arrangiamento sobrio e spirituale di Caldo e Scuro, dell’album Amore nel pomeriggio del 2001. In proporzione questo è uno show ugualmente intimo e sincero, fatto da chi dopo molti anni di carriera ha ancora voglia di suonare, non per trascinarsi in modo insopportabile gli strascichi di un passato di enormi successi, ma per affermare con forza di essere presenti qui ed ora, in una veste inedita. Un po’ come la figura mitologica dei Pink Floyd. Livello aura mille.

Dopo la prima mezz’ora più calma e introspettiva, con Numeri da scaricare cambiano i connotati sul volto del batterista Simone Talone. La versione in studio del brano aveva un intro country blues di chitarra, fedelmente riprodotta da Paolo Giovenchi, anche se all’Out Off prende piede una versione più rock. È il breakdown della prima parte di scaletta, con un testo esplicito e diretto. “Nessuno che ti chiama, nessuno che ti chiede se vuoi ballare.” Ci pensa Francesco, che sul walzer, suonato da Carlo Gaudiello, di Buonanotte Fiorellino, l’ultima della serata, reclama le coppie, un po’ arrugginite, a danzare.

Tra le ultime Nevergreen c’è Pittori della domenica, un brano scritto da Paolo Conte, che parla di un dilemma divertente di molte famiglie italiane. Di quei papà che alla domenica rinunciano alla compagnia della famiglia per isolarsi e dipingere. Qualcosa dall’insignificante valore artistico, ma che li fa sentire in qualche modo vivi. Nello storytelling della serata ricorre, anche nella scelta della setlist, un misto di dramma, malinconia e autoironia, che si addice al tono di De Gregori, in versione vecchio saggio.

Prima o poi, si sapeva, sarebbe dovuto arrivare lo sgarro al leitmotiv dello spirito del concerto. Niente Donna Cannone, Rimmel o Pablo. La cangiante scaletta ha optato per La Leva calcistica della classe ’68 (Titanic, 1982), Bufalo Bill e Atlantide dell’album Bufalo Bill del 1976, in rappresentanza dei grandi successi di De Gregori. Così il piccolo teatro, dalla platea sulla sessantina, con qualche più giovane eccezione, fino a lì compiaciuto e piacevolmente disorientato, si sblocca e e il pubblico canta. Prima del gran finale con Buonanotte Fiorellino, che ha dato il là alle danze, c’è Pezzi di Vetro, il momento più toccante della milanese notte del cantautore romano. Che in questa veste si è donato, oltre ogni ermetico dubbio, oltre ogni ragionevole tattica commerciale.

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