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La Francia è un paese meraviglioso per l’hip hop, con una competizione spietata

Oltralpe il genere urban è una faccenda serissima da anni: con radio, riviste patinate, premi specifici dedicati. Ma lì le nuove generazioni hanno bisogno di faticare il doppio prima di riuscire a giocare da titolari

Autore Billboard IT
  • Il27 Maggio 2024
La Francia è un paese meraviglioso per l’hip hop, con una competizione spietata

Foto di 73shot

Quando in Italia il rap era ancora una faccenda per pochi appassionati, in Francia era già un’industria milionaria. Paradossalmente, però, se il suo terreno è stato così fertile è merito di una serie di fattori che hanno poco a che fare con la musica. Innanzitutto, il fatto che sia da sempre una nazione multietnica e multiculturale ha aiutato: milioni di cittadini delle ex colonie si sono riversati a vivere in metropoli come Parigi, Lione o Marsiglia. C’è poi la questione delle periferie, le famose banlieue, spesso gestite come se fossero un problema anziché una risorsa: i loro abitanti, ghettizzati e spesso parecchio incazzati, hanno molto in comune con quelli dei quartieri più disagiati d’America, dove l’hip hop è nato.

Perfino lo Stato ha dato una mano alla diffusione del genere, anche se involontariamente. Dal 1994, infatti, una legge impone di passare almeno il 40% di musica francofona sia in radio che in TV, e la metà di questi brani devono essere di artisti emergenti.

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Il rap in Francia è una cosa seria

Per forza di cose, quindi, in Francia il rap è sbarcato immediatamente sui media generalisti, che ormai lo hanno ampiamente digerito: i dibattiti sui testi diseducativi e violenti o sull’esempio negativo che darebbero i rapper sono molto meno frequenti che da noi. Tutto ciò si riflette anche sul volume d’affari del comparto. Stiamo parlando, tanto per fare qualche esempio banale, del Paese che ha dato i natali a Skyrock, una delle più famose radio urban del mondo, un colosso con 22 milioni di fatturato, e anche a Générations FM, pensata per un pubblico più adulto e nostalgico della golden age.

È il Paese dove dal 2020 in poi sono nate ben tre nuove riviste patinate dedicate alla musica, alla cultura e all’estetica dell’hip hop, Mosaïque, 33 Carats e Osmose. Dove la leggendaria The Source, la Bibbia del rap americano, nei primi anni Duemila aveva perfino inaugurato una versione in francese. Il Paese che, accanto ai numerosissimi festival specializzati in musica hip hop, ha anche dei premi specifici per la musica hip hop. Su tutti Les Flammes, la cui cerimonia è chiaramente ispirata a quella dei Grammy Awards.

È il Paese in cui l’ufficio del turismo di Marsiglia inserisce i casermoni popolari Louis-Loucheur negli itinerari che consiglia ai visitatori. Il motivo? Lì è cresciuto il rapper Jul, un vero orgoglio cittadino. Ed è anche il Paese che ha decorato ben tre rapper e un produttore – Abd Al Malik, Oxmo Puccino, Orelsan e Pone – con un cavalierato istituito negli anni ‘50 per premiare artisti e intellettuali, l’Ordine delle Arti e delle Lettere. Per avere un termine di paragone, immaginatevi Mattarella che fa Marracash commendatore.

Il successo di Werenoi

Insomma, la Francia è un Paese meraviglioso per il rap e per essere un rapper. Ma è anche un Paese in cui la competizione è folle e la concorrenza è spietata. Spesso le nuove generazioni hanno bisogno di faticare il doppio e macinare una gavetta quasi infinita prima di riuscire a giocare da titolare nella nazionale della musica hip hop. O almeno, era così fino al 2023. Un anno in cui per la prima volta un emergente assoluto è riuscito a conquistare il titolo di artista più venduto dell’anno.

Il successo di Werenoi, questo il suo nome, non è stato del tutto una sorpresa. Già da esordiente aveva dimostrato il suo valore. Nel 2022 il singolo Solitaire, estratto dal suo primo EP Telegram, era stato certificato disco di diamante. Anche il suo album di debutto, Carré, pubblicato da indipendente nel 2023, aveva fatto parlare parecchio. Di fatto porta avanti la tipica tradizione della trap francese, senza particolari evoluzioni stilistiche. La vera novità è che di lui si sa poco o nulla.

Le prime informazioni su Werenoi, o meglio le uniche – il nome all’anagrafe, Jeremy Bana-Owona; l’anno di nascita, il 1994; le origini, camerunesi; il posto dove è cresciuto, Seine-Saint-Denis, dipartimento dell’hinterland parigino che è un po’ la Mecca del rap d’oltralpe – sono filtrate solo dopo che era già diventato un fenomeno di costume. Sui social non interagisce, interviste non ne ha mai rilasciate, nessuno sa o dice niente di lui.

Neanche i suoi discografici, pare: «Non mostra nessuna emozione, il solo modo di conoscerlo è ascoltare la sua musica», hanno spiegato a Le Parisien. Non a caso uno dei suoi singoli più famosi si intitola 3 Singes. Sarebbero le proverbiali tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Operare in incognito sembra giovargli, comunque, perché anche il suo nuovo album Pyramide, uscito a febbraio 2024, sta andando molto bene.

Freeze Corleone: il rap francese incontra Stati Uniti e UK

Uno che invece parla parecchio – e che forse per il suo bene farebbe meglio a farlo un po’ di meno, visto che scatena regolarmente furiose polemiche – è Freeze Corleone. Un’altra punta di diamante della scena rap attuale. Anche lui è di Seine-Saint-Denis, anche se fa la spola con il Senegal, il Paese d’origine di suo padre. La madre, invece, è italiana. Negli ultimi anni, prima dell’avvento di Werenoi, è stato il rapper francese dalla curva di crescita più rapida. Si è ritrovato catapultato dall’underground più oscuro ai vertici delle piattaforme di streaming.

Stilisticamente si ispira ai suoni di oltremanica, UK drill in testa, e all’America più profonda, con una grande passione per sonorità relativamente meno diffuse come il chopped’n’screwed di Houston. A destare scalpore, però, sono stati soprattutto i suoi testi. Sono stati spesso accusati di essere antisemiti per i numerosi riferimenti a Hitler, agli attentati di Nizza, alla Shoah e a varie fantomatiche teorie del complotto sionista. In Francia il tema è molto sentito. La comunità ebraica è numerosissima: conta quasi mezzo milione di persone (tanto per fare un confronto, in Italia sono appena 30mila).

Inevitabilmente, quindi, le sue controverse prese di posizione hanno portato a un massiccio boicottaggio. Moltissimi suoi concerti sono stati annullati sia in patria che in Svizzera e Canada. Universal, che distribuiva i suoi lavori, ha addirittura interrotto la collaborazione per le sue «inaccettabili posizioni razziste». Secondo il New York Times, che si è occupato del caso con una lunga inchiesta, BMG si sarebbe offerta di subentrare con un contratto da oltre un milione di euro. Poi però avrebbe rinunciato dopo aver letto la traduzione di alcune sue barre.

Secondo alcuni osservatori, Freeze Corleone non fa altro che rispecchiare un pensiero sempre più diffuso nelle banlieue francesi: che la sofferenza degli africani e delle altre popolazioni storicamente colonizzate dall’Occidente sia tenuta in minor conto rispetto a quella della popolazione ebraica. Altri, invece, ritengono che il suo sia razzismo puro e semplice, e che non abbia alcuna giustificazione. Nonostante il clamore, comunque, la sua ascesa prosegue. Il suo terzo album ADC, pubblicato da indipendente nel settembre 2023, è stato il suo miglior debutto finora.

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Articolo di Marta Blumi Tripodi

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