Il concerto di Ghali a Milano è stato la celebrazione di una storia senza precedenti
Quella del rapper è una parabola in cui per la prima volta una nuova Italia può finalmente riconoscersi e grazie alla quale può davvero aspirare a qualcosa di diverso da ciò a cui un certo tipo di mondo là fuori vuole che sia destinata
«Il fatto di crescere e avere una figura di seconda generazione che fa quello che ha fatto lui mi ha dato la speranza di dire “okay, allora anche io posso farlo”. È come quando sei piccolo e, essendo straniero, ascolti la musica e non c’è nessuno che ti assomiglia. Quando arriva quella persona che ha delle origini così simili alle tue finalmente puoi rivederti in qualcosa». Vedendo Ghali ieri sera sul palco dell’Unipol Forum di Milano per il primo concerto di tre, è impossibile non pensare alle parole che Astro, suo “discepolo” artistico, aveva speso per lui durante la nostra intervista.
Quello nel palazzetto della sua città per Ghali non è un debutto (si era già esibito qui esattamente sei anni fa), eppure le sensazioni sono quelle delle prime volte. Anzi, la prima volta volta per eccellenza: quella in cui una nuova Italia – quella sopra e sotto al palco – può finalmente riconoscersi e può davvero aspirare a qualcosa di diverso da ciò a cui un certo tipo di mondo là fuori vuole che sia destinata. «Se ce l’ha fatta uno come me, potete farcela anche voi», ripete Ghali alla fine dello show. Una frase ormai retorica, ma che detta dalle bocche giuste come la sua – quelle venute dal nulla e che si son prese tutto – riacquista tutto il suo valore e mantiene davvero la sua essenza.
Ghali all’Unipol Forum di Milano: «Io stesso sono un messaggio»
Perché, come ricorda lui durante la conferenza stampa che precede il concerto, «una storia come la mia, in Italia, è senza precedenti». Una storia che merita dunque di essere celebrata e raccontata con uno show «ambizioso, materico, dove ogni elemento – dai giochi di luce alla scenografia, agli outfit – è pensato per amplificare i messaggi che voglio portare sul palco. Dai momenti più intimi a quelli potenti e pieni di energia, ogni highlight racconta un pezzo di me e della mia visione, senza compromessi. Spero possa lasciare il pubblico con la stessa intensità che ho sentito io nell’idearlo», spiega Ghali, a cui fa eco anche Clemente Zard: «Quello che vedrete è uno spettacolo diametralmente opposto da quello che il nostro occhio è abituato a vedere ultimamente. La scenografia diventa teatro delle sue canzoni».
«Realizzare uno spettacolo di questo livello è stata una vera esplorazione, un viaggio di ricerca per portare la mia musica a uno standard che rispecchi davvero il mio percorso e che possa parlare anche a chi è fuori dall’Italia», continua il rapper, che con la sua sola presenza potente e il suo carisma riesce a porsi sempre al centro della scenografia – minimal ma di impatto – curata da Simone Ferrari per Balich Wonder Studio. E nonostante ormai sia davvero una Ghetto Superstar (brano per cui ospita Lazza e che fa esplodere letteralmente l’Unipol Forum di Milano), Ghali non dimentica mai chi è stato e chi vuole essere, passando per tutto ciò che è adesso.
Le immagini dei salvataggi nel Mediterraneo e la bandiera della Palestina sul palco
Non lo dimentica quando – per la parte più trap dell’intero show, quella su cui rende al massimo, dimostrando che al netto delle contaminazioni il rap è ancora il territorio in cui spicca – fa salire sul palco – oltre a Simba La Rue, Astro, Tony Effe e Pyrex – un nutrito gruppo di ragazzi di seconda generazione che si prendono quello spazio che prima sembrava inaccessibile e di cui lui stesso ha spalancato le porte, o quando – parlando provocatoriamente da un podio elettorale – si fa travolgere da una tempesta di sabbia in Ora d’aria, uno dei brani di denuncia più potenti del suo repertorio, e non lo dimentica nemmeno quando si tratta di farsi portavoce di messaggi fondamentali, quelli che gli stanno davvero a cuore, proiettando le strazianti immagini dei salvataggi nel Mediterraneo durante la sua Bayna e mostrando fieramente la bandiera della Palestina sulle note di Casa mia.
Un gesto non studiato a tavolino – come ci tiene a specificare Ghali, che precisa che quella in Palestina non è una guerra, ma un genocidio – ma inevitabile quando la tua stessa esistenza è un messaggio. Perché, come spiega, «quelli come me devono splendere per permettere a chi non può di far sentire la propria voce. Me lo ripeto spesso ed è questa la strada che voglio seguire. Se chi può non brilla, allora lasceremo che a rappresentarci ci siano solo quelli che vanno a parlare su Rete4». E in questi tempi bui, di stelle come quella di Ghali, ne abbiamo sempre più bisogno.