Golden Years ci salva tutti con il suo FUORI MENÙ
Dodici tracce semplici, ma ricche di dettagli. Non è il produttore romano a trasportare gli artisti nel suo mondo, ma è lui stesso a viaggiare nel loro con i suoi bagagli. Ecco quelli che, per noi, sono i cinque brani simbolo del disco

Il fuori menù è un’ancora di salvataggio quando al ristorante gran parte di quello che c’è in carta senti che potresti mangiarlo ovunque e il poco che rimane ti sembra indigeribile. Poi però aguzzi lo sguardo e scorgi quella lavagnetta o arriva il cameriere con un elenco scritto a mano su un foglio volante straunto. Non so se Golden Years ci salverà dai tormentoni estivi con il suo primo album, ma di sicuro ci fa riprendere fiato con le dodici istantanee di FUORI MENÙ. La cosa che stupisce, tra una strofa affilata di Tutti Fenomeni, la rassegnazione sentimentale col sorriso di Fulminacci e il ritornello inconsueto e per questo speciale di Mai con Coez, è la semplicità.
Non c’è la volontà di definire un suono specifico o di trovare a tutti i costi l’accoppiata mai vista (anche se quella inedita tra ARIETE e Lorenzza è una bomba). Pietro mette tutti a loro agio e riesce a imprimere il suo timbro nei dettagli, senza trasportare gli artisti su isole deserte e sconosciute. Anzi, sembra fare esattamente il contrario. È lui a muoversi e a farsi accompagnare nei vari territori, lasciandosi influenzare dai loro racconti e lasciando qua e là la sua impronta. Brani buoni per colpire al primo ascolto, ma che non stancano perché a ogni ascolto mostrano un elemento inedito. «È molto difficile capire dov’è la linea di confine tra la naturalezza e l’overthinking che magari ti fa perdere la scintilla» ci aveva spiegato il produttore.
Prendete per esempio gli archi sul finale de L’appartamento con Masamasa oppure il modo in cui il sassofono si accoppia con il basso di Tighididà (qui la nostra intervista) senza sovrastarlo. In FUORI MENÙ ogni cosa è al suo posto anche quando Golden Years è protagonista unico nelle due strumentali. I Titoli! di coda, ma soprattutto Finita burrasca con il suo ritmo tribale, sono tutt’altro che riempitivi. È il producer album dell’anno? Troppo presto per dirlo, ma di certo è il disco ideale per l’ennesima estate.
Selezionare solo cinque delle dodici tracce non è stato semplice, un po’ come scegliere la pizza. E in pizzeria di solito non c’è alcun fuori menù in soccorso.
Cinque brani (Fuori menù) dall’album di Golden Years
Anche se ti amo
È forse il brano più bello dell’album perché racchiude tutto. L’empatia di un discorso amoroso rivolto a chiunque e tre stili complementari. La strofa cantata di Frah Quintale, la metrica di Nayt che si fa singhiozzo e il ritornello etereo di prima stanza a destra che conferma di essere uno degli artisti emergenti pronti a spiccare il volo. Una canzone che Golden Years ha costruito assemblando in modo armonioso ogni componente.
Morena
Una canzone d’amore atipica in cui il sentimento sembra quasi qualcosa da cui guardarsi le spalle. La chitarra elettrica lega il mondo sonoro di SANO (Thru Collected) a quello più cinico di Tutti Fenomeni. Il “cant(attore)” romano ci regala sentenze, come «la meditazione è peggio del doping», e una serie di versi iconici: «Otto miliardi siamo troppi / italiani troppo pochi / ma se non vuoi fare un figlio allora è giusto che ti droghi».
La distanza
Una base pazzesca che evolve dalla prima alla seconda strofa in un crescendo che esplode in un ritornello che ha il sapore di un instant classic. ARIETE è la voce ideale per descrivere la malinconia di un amore desiderato, distante e deludente, mentre Lorenzza si conferma. Prima con uno storytelling ricco di immagini, poi con una strofa più rabbiosa e introspettiva.
Signorina ciao
Musicalmente uno degli esperimenti più interessanti e divertenti. Le voci filtrate di Drast e del promettente faccianuvola contrastano con basso, chitarra e sintetizzatori. Insieme a quello di Anche se ti amo è uno dei ritornelli che più lasciano di stucco a un primo ascolto e che cresce sempre di più.
Mai
Golden Years ha la capacità di entrare in punta di piedi nell’immaginario sonoro dei suoi ospiti rendendoli padroni di casa. È il caso di Bolle di sapone con Franco126 e di questa innamorata ballad elettronica con Coez. Eppure, sono i dettagli della produzione a fare la differenza, la stratificazione di tutti i singoli elementi che emergono ascolto dopo ascolto.