Caro diario, ti racconto una giornata insieme ai Green Day
Ieri (martedì 7 novembre), tripletta per i giornalisti: ascolto in anteprima del nuovo album “Saviors”, incontro con la band, concerto ai Magazzini Generali di Milano. Vi raccontiamo questa piccola maratona punk rock
Quando sono uscito di casa per andare in Warner Music Italy ad ascoltare Saviors, il nuovo album dei Green Day, erano le 12.30 di martedì 7 novembre. Quando ho finito di scrivere l’articolo che state leggendo erano le 12.30 di mercoledì 8. In mezzo, l’ascolto in anteprima del disco, l’incontro dei Green Day con la stampa e lo speciale concerto per poche centinaia di superfan ai Magazzini Generali di Milano.
Insomma: una maratona di 24 ore quasi interamente dedicata alla band che dagli ’90 ad oggi ha dato nuova linfa al punk, anche in senso schiettamente commerciale.
Ne è valsa la pena: “triplette” del genere sono più uniche che rare. Qui di seguito il racconto delle tre tappe fondamentali di questo piccolo viaggio punk rock.
Saviors, il nuovo album dei Green Day
Partiamo con una panoramica sulle canzoni di Saviors, il nuovo album dei Green Day in uscita il 19 gennaio via Reprise / Warner Records. Il disco è il successore di Father of All Motherfuckers, che uscì appena prima dello scoppio della pandemia di Covid a febbraio 2020 e segnò un certo allontanamento dallo stile secco e diretto, da vero power trio quale sono, che negli anni era diventato il loro marchio di fabbrica.
La volontà di ricollegarsi ai dischi storici
Dal titolo, dalla copertina, dai singoli usciti, tutto lasciava intuire la volontà di riprendere a piene mani il retaggio di American Idiot, di cui peraltro l’anno prossimo cade il ventesimo anniversario. Volontà confermata anche dalla scelta di collaborare di nuovo con Rob Cavallo, storico produttore che forgiò il sound dei Green Day da Dookie alla trilogia Uno Dos Tré del 2012. E il suo tocco si sente.
I Green Day stessi presentano pubblicamente Saviors come un album che “colma la distanza fra Dookie e American Idiot”. Intento particolarmente ambizioso: parliamo dei loro due dischi migliori e di maggior successo commerciale.
Parlando più realisticamente, Saviors dei Green Day non riesce nell’impresa. Rimane tuttavia un buon disco, ripulito da una certa stanchezza che si avvertiva in Father of All Motherfuckers, con una ritrovata freschezza d’approccio e una tracklist dove i brani notevoli sono in maggioranza rispetto a quelli trascurabili.
La componente American Idiot
A livello tematico, è chiara la volontà di ricollegarsi all’illustre precedente di American Idiot. La vena polemica nei confronti delle storture della società americana anima parecchi pezzi dell’album. A partire dagli stessi singoli The American Dream Is Killing Me (appunto) e Look Ma, No Brains! (dove sentiamo versi come “Nonsense is my heroin”), ma anche in Strange Days Are Here to Stay (“Ever since Bowie died / It hasn’t been the same / All the madmen going mental / Grandma’s on the fentanyl now”) e Living in the 20s (“Another shooting in a supermarket / […] / I drink my media and turn it into vomit / […] / We’re all together and we’re living in the 20s”).
Il tema delle dipendenze
Un altro grande filone è quello legato al tema delle dipendenze. Tutti sappiamo dei problemi di Billie Joe con l’abuso di alcol e sostanze. Un po’ meno scontato che lui decida di mettersi a nudo e parlarne in maniera franca e diretta in una canzone dal significato inequivocabile come Dilemma (“I was sober, now I’m drunk again / I’m in trouble and in love again / I don’t want to be a dead man walking”).
Tematica comune ai brani Goodnight Adeline (“Some days are holidays / Some days you call your mother / Some days you’re sober / But you’re still waking up with a hangover”) e Suzie Chapstick (probabilmente dedicate a una persona che non c’è più; “Will I ever see your face again / Not just photos from an Instagram / Will you say hello from across the street / From a place and time we used to meet”).
Menzioni d’onore
Fra gli altri brani dei quindici che compongono la tracklist, si fanno notare soprattutto Corvette Summer (una bella dichiarazione d’amore per la musica rock nella sua essenza: “Don’t want no money / Don’t want no fame / All I want is my records / Making my pain go away”. Green Day contro la fama) e la commovente Father to a Son (“You’re a lighthouse in a storm / From the day that you were born”; “I never knew a love / Could be scarier than anger”, i versi più belli del disco), con tanto di ricca sezione d’archi.
L’incontro con la stampa
Dopo l’ascolto in anteprima del disco e prima del concerto ai Magazzini Generali di Milano, nel pomeriggio Billie Joe, Mike e Tré Cool hanno incontrato i giornalisti italiani. Veloce transfer dagli uffici di Warner Music Italy all’hotel Principe di Savoia (dall’altra parte di Piazza della Repubblica) e si prosegue con la maratona Green Day.
La “reunion” con lo storico produttore Rob Cavallo
«Tutto è cominciato da Billie che ha chiamato Rob per un saluto. La prima cosa che Rob ha detto a Billie è stata: “Sei pronto a fare la storia del rock and roll di nuovo?”. E dire che Billie voleva solo sapere come stava…», racconta Mike a proposito della ritrovata collaborazione con il loro storico produttore. «Rob ha una sua energia che porta nel processo di registrazione. Queste canzoni davvero riflettono quell’energia. Per questo era l’uomo giusto per questo progetto. Quando diamo il nostro meglio, non c’è nessuno meglio di Rob con cui lavorare».
L’America di oggi
Almeno da American Idiot in poi, i Green Day basano gran parte della loro comunicazione artistica su un ritratto a tinte fosche, a metà il demenziale e l’apocalittico, dell’America di oggi. Una narrazione del rovescio della medaglia del sogno americano che però non rinuncia al senso dell’umorismo. «Quell’idea anni ’50 di una famiglia perfetta in cui tutti sono sorridenti come in un dipinto di Norman Rockwell, beh, quell’idea è morta», dice Billie Joe. «Basta vedere la diffusione di Fentanyl o la gente senza casa… Il sogno americano non è più un sogno ma – per molte persone – un incubo».
E ancora: «Oggi l’America è più divisa che mai. La gente si schiera da una parte o dall’altra. Questo è senz’altro esasperato dai social media, dal momento che le persone si dividono in base a ciò che il loro algoritmo suggerisce loro. Io cerco di non dire più niente di politico sui miei social, perché mi rendo conto che la mia opinione diventa propaganda per qualcun altro».
La musica contemporanea non li butta giù
E come vivono i Green Day nel contesto musicale di oggi? Sulla musica contemporanea la band esprime un senso non di rifiuto ma di apertura e curiosità. Billie Joe: «Trovo bello che oggi ci sia così tanta musica diversa. In passato c’era più rigidità, del tipo: “Sono un punk rocker, quindi ascolto solo punk”. Noi siamo stati la prima generazione a sentire l’hip hop in radio e su MTV. Ascoltavamo Ice-T, gli N.W.A… ma anche i Beatles!».
Il concerto dei Green Day ai Magazzini Generali di Milano
La data sold out
In serata è la volta del live dei Green Day ai Magazzini Generali, annunciato a sorpresa con appena un paio di giorni di anticipo. “Appetizer” del loro concerto il 16 giugno 2024 agli I-Days, il live dei Green Day a Milano è parte del loro “Hella Tiny Tour”, che è partito dal Bataclan di Parigi sabato scorso e proseguirà a Londra questa settimana. Un tour decisamente inusuale, visto che tocca non le grandi arene in cui i Green Day sono abituati a esibirsi ma i piccoli club.
Inutile dire che la data è andata rapidamente sold out. Le poche centinaia di superfan (perché tali bisogna essere per spendere circa 100 euro di biglietto) hanno avuto l’opportunità più unica che rara di vedere la più grande punk band degli ultimi trent’anni in un contesto raccolto e a distanza ravvicinata, un po’ come dovevano essere i loro live nei primi anni ’90.
I concerti rock nei piccoli club
Quello di suonare in piccoli club è un piacere che i grandi gruppi rock di tanto in tanto si concedono, e per fortuna Milano è spesso sulle mappe di questi live più o meno improvvisati. Un anno fa vi abbiamo raccontato il concerto dei Muse all’Alcatraz, mentre rimane storico quello dei Red Hot Chili Peppers nella stessa venue nel 2006.
C’è qualcosa di davvero speciale in concerti come questi. Non solo per il pubblico ma anche per la band stessa. L’osmosi di energia è molto più intensa e si ha l’impressione di trovarsi nel luogo giusto in cui questi rock show dovrebbero svolgersi, anziché nel contesto algido e impersonale di un palazzetto.
Lo show dei Green Day
I Green Day ne sono consapevoli, e ripagano lo sforzo economico del pubblico con un live infuocato di due ore. L’apertura è con una doppietta dritta dritta dal 2004: American Idiot e Holiday. Poi è la volta dei nuovi pezzi (Look Ma, No Brains!, 1981, The American Dream Is Killing Me) e il resto è tutto una cavalcata nella storia della band (non stiamo a elencare le hit perché se state leggendo questo articolo già le conoscete). Bella la scelta di includere canzoni del secondo album Kerplunk (come 2000 Light Years Away e Christie Road), che di certo non è fra i più conosciuti della band. La chiusura è con Good Riddance.
Momento top: il tizio che sbuca sul palco e fa un perfetto stage dive durante Basket Case. Momento flop: la security che con la rapidità di un aspirapolvere acciuffa e sbatte fuori un malcapitato fan che aveva l’unica colpa di godersi un po’ di crowd surfing. Evidentemente i sei energumeni schierati militarmente davanti al palco non avevano mai lavorato in un concerto punk.
Le foto del live
Tutte le foto seguenti sono state scattate da Matteo Preziosi.