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I Duran Duran a Milano si confermano i veri highlander degli anni ’80

Il gruppo britannico simbolo degli anni ’80 è arrivato agli I-Days di Milano per la quarta e ultima data italiana del tour europeo

  • Il21 Giugno 2025
I Duran Duran a Milano si confermano i veri highlander degli anni ’80

Duran Duran (foto di Nefer Suvio)

In un caldo venerdì di giugno di sciopero milanese, l’attesa per il ritorno dei Duran Duran all’Ippodromo Snai San Siro di Milano equivale a quella sulla banchina per la metro. C’è quel brivido di non sapere se il tuo mezzo passerà oppure no. Un po’ come non saper bene se affidarsi all’ultima esibizione della band a Sanremo dello scorso febbraio, a dir poco deludente, oppure ai recenti sold out di successo di Roma, doppio al Circo Massimo, e Bari. Ma quindi vado sull’app di Atm oppure su Google Maps? Scelta esotica da Mappe IPhone? Tante, tantissime domande. Che poi effettivamente non sai se arriverai in orario al concerto. In ogni caso, la voglia di sciogliere il dubbio sulle condizioni psicofisiche di Simon Le Bon è tanta.

La metro arriva, cambio sulla lilla puntualissimo. Fiumana di (ex) groupies ormai sulla sessantina. L’ippodromo Snai San Siro non è proprio organizzatissimo, ma nonostante tutto, chi ha esperienza degli I-Days degli ultimi anni di certo non può che riconoscere alla rassegna di aver portato a Milano rock band e popstar davvero importanti che un tempo si esibivano solo a negli stadi. Catalizzare l’attenzione su spianate di ghiaia e erbacce non è stato facile, di questo gli va dato atto. I Duran Duran sono delle icone degli anni ’80 e fittano benissimo in una line-up che quest’anno ha riportato il pop al centro, su tutti Dua Lipa, Justin Timberlake e Olivia Rodrigo.

Ritornando al concerto, Simon e Co ritardano di circa mezz’ora l’ingresso sul palco, adattandosi perfettamente al trend meneghino della giornata. Urla assordanti dei fan, a netta prevalenza femminile, alla camminata più disinteressata e celebre di sempre. Quello di Simon Le Bon è un passo tanto scocciato quanto magnetico. Cammina con la voglia di chi d’estate scende dal gradino della doccia sapendo perfettamente che ne sta uscendo più sudato di prima e che dovrà immediatamente farne un’altra, ancor più gelida. Queste movenze su di lui sono pura aura. Un’aura che vantano in pochi. Ciò che stupisce molti dei presenti, me compreso, è che non si è fermato all’immagine. In parte è uno show da vetrina, ma Simon Le Bon non sbaglia una nota. Non rinuncia agli acuti, anzi di canzone in canzone ci prende gusto e la sua performance è un continuo crescendo.

Simon Le Bon infiamma lo show dei Duran Duran a Milano

Anche per gli highlander per eccellenza degli anni ’80, tutti ragionevolmente over 60, esibirsi a Milano il giorno dopo della band del momento, i Fontaines DC, non era facile. Dopo Wild Boys la platea si consegna totalmente ai musicisti sul palco. I 20mila dell’Ippodromo Snai San Siro di Milano cantano tutte le hit di quel periodo storico e più si va avanti con la scaletta, più si capisce il valore storico dei Duran Duran. Sono innovatori per eccellenza, i primi che hanno compreso alla fine degli anni ’70 le potenzialità dei sintetizzatori e dei suoni poliritmici overdubbati. Il genio musicale dietro a ciò è senza dubbio il tastierista Nick Rodhes.

È anche vero che non c’è moltissimo di suonato dal vivo. I volumi sono pressoché standardizzati e ovattati. Non si sa bene se ciò sia da attribuire all’acustica o a una scelta della band, più la seconda. Dom Brown si inerpica in un paio di assoli mal riusciti, troppo scarico su Ordinary World e sul groove di Super Freak. John Taylor, che festeggiava il 65esimo compleanno, al basso è un’icona, però non graffia. Il protagonista della serata è senza dubbio il meno atteso Simon Le Bon che canta per un’ora e mezza in maniera impeccabile. Non manca neanche di dialogare con il pubblico. Il più classico del “Italia ti amiamo” suona sincero e non forzato.

“Amiamo tutto di voi. Il cibo, il clima e la trasmissioni tv stupide”. In pieno humor british il frontman coinvolge il pubblico milanese a cui è legato da quasi quarant’anni. “Ricordo ancora l’esibizione del giugno del 1987 a San Siro, quando tutti insieme cantammo Save a Prayer. Fu un momento unico che ricorderò per sempre.” E allora prima di chiudere il concerto, il sing along di Save a Prayer, il loro pezzo più crudo e viscerale, è da brividi. Un pezzo che racchiude a pieno l’anima della band. Vengono demoliti gli stereotipi di quell’epoca, fatta di luci e altrettante ombre. Giù le strobo e la dance, Simon imbraccia un’acustica e si sveste dei suoi abiti di bello e dannato e canta con una band che pende dalle sue labbra.

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