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Fred Ventura ci porta alle radici di un genere che non è mai morto: «Vi racconto la mia italo disco»

Lui ne è stato, e ne è ancora, un autentico testimone. In occasione del nostro numero cartaceo con in copertina i Meduza, Fred ci ha raccontato il movimento italo disco, nato oramai 40 anni fa, da una sorta di folle incoscienza imprenditoriale, ma che divenne un caso commerciale

Autore Tommaso Toma
  • Il28 Luglio 2024
Fred Ventura ci porta alle radici di un genere che non è mai morto: «Vi racconto la mia italo disco»

Foto di Francesco Musati

Fred Ventura è stato – ed è ancora – un autentico testimone del genere italo disco. Non solo ne fu protagonista quarant’anni fa, quando l’euforia di quel pop sintetico e ballabile si diffuse a macchia d’olio dal nostro Paese in tutto il globo, ma ancora oggi Ventura cura bellissime compilation sul tema e va a suonare spesso come Italoconnection insieme a Paolo Gozzetti (poco in Italia, sempre più spesso all’estero, ahimè). Imperdibile sul tema la sua curatissima compilation Milano Undiscovered (Spittle / Goodfellas), con tracce prodotte e mixate tra il 1982 e il 1986. Di recente è uscito anche il secondo volume, Milano Undiscovered 1888-1992, più orientato su techno / old school.

In occasione del nostro numero di luglio/agosto dedicato alla musica elettronica, con in cover i Meduza, abbiamo chiesto a Fred Ventura di raccontarci il movimento italo disco dal suo punto di vista.

Fred Ventura negli anni 80

L’impatto in Europa e in Italia del synth pop

Nei primi anni ‘80, conclusa la rivoluzionaria stagione del punk e archiviata in parte quella post punk, tra una scorribanda da Tape Art e Mariposa, che furono all’epoca due fondamentali negozi di dischi a Milano, entravo in contatto con il genere dance, termine un po’ vago ma che ben si adattava alla mia necessità di cambiamento. Il synth pop furoreggiava nelle classifiche di tutto il mondo. Dal Regno Unito arrivavano gruppi come The Human League, Heaven 17, Soft Cell, Blancmange, Depeche Mode e New Order, che con Blue Monday avevano reso credibile la cassa in quattro. 

In Europa la nuova corrente era capitanata da Elli & Jacno, Taxi Girl e soprattutto dai veterani Kraftwerk, prestati al dancefloor con i brani Trans-Europe Express e The Robots. La loro musica la ascoltavi ovunque: nelle radio, nei club, per strada dalle autoradio. Nelle discoteche andava alla grande anche il filone più pop e “ortodosso” di band come Spandau Ballet, Duran Duran e Tears For Fears. È difficile raccontare l’impatto che su di me ebbe questo mondo. Le novità si susseguivano a una velocità tale che era fatale perdersi nei generi, sottogeneri e sotto-sottogeneri che ogni settimana venivano raccontati da magazine britannici come il New Musical Express, che cercavo (non senza fatica) e leggevo ogni settimana.

L’arrivo di una nuova strumentazione e l’importanza delle radio

Lo sviluppo della tecnologia utilizzata in ambito musicale facilitò ulteriormente il diffondersi di questo nuovo fenomeno sonoro globale. Nel giro di pochissimo tempo i synth e le drum machine di Roland e Korg – la LinnDrum, la Oberhem DMX e la Drumulator – caratterizzarono il suono della maggior parte delle produzioni provenienti da tutto il mondo. La relativa accessibilità economica di queste strumentazioni faceva in modo che molti di noi giovani musicisti avessero la possibilità di farsi conoscere, compresi quelli privi di una vera e propria preparazione accademica.

Negli anni ‘70 molti musicisti e produttori italiani erano stati capaci di riscuotere successo anche negli Stati Uniti – basti pensare a Giorgio Moroder, Celso Valli, Mauro Malavasi e molti altri – e l’eco di quei successi risuonava ancora nella memoria collettiva. Nessuno aveva dimenticato l’impatto della disco music nella cultura e nel costume. C’erano brani (come il seminale I Feel Love di Donna Summer) che da soli avevano creato un genere definibile come electronic disco. Molte radio private avevano iniziato a programmare questo nuovo suono, anche in fasce orarie atipiche. Prima fra tutte, Radio Milano International dal 1975, e poi, dal 1982, Radio Deejay e quindi tutti gli altri network. L’elettronica univa le produzioni provenienti da USA, UK e dal resto dell’Europa, una sorta di “filo rosso musicale”, un comune denominatore artistico.

Un movimento in pieno sviluppo e i primi successi

Ancora non si era sviluppata un’idea strutturata di movimento dance italiano, e tuttavia si sentiva che stava nascendo qualcosa (forse qualcosa era già nato). La Italian Records di Bologna fu tra le prime label a captare le nuove vibrazioni e a capire che il futuro della musica da club sarebbe stato elettronico. Distributori e importatori come Disco Magic, Gong e Discotto aprirono la strada avendo il controllo dell’import dei 12″ di mezzo mondo. Fu quel combinato disposto di etichette e distributori che fece quasi spontaneamente nascere l’esigenza di una produzione musicale autenticamente made in Italy.

La domanda era in costante crescita, il mercato in continua espansione. È in quel momento, tra la fine del 1982 e l’inizio del 1983, che arrivano i primi successi italo disco. Una definizione coniata per l’occasione da Bernhard Mikulski, produttore discografico polacco emigrato in Germania che fondò l’etichetta discografica indipendente ZYX, specializzata nell’importazione di musica italiana in Germania e nell’Europa del Nord.

L’italo disco funzionava sia nelle discoteche sia in radio. Capivo che anche per me si apriva una nuova fase artistica, forse meno complicata di quella precedente, ma sicuramente più immediata e “realistica”. Al tempo il mio approccio con i synth era molto naïf, vista la mancanza di esperienza. Quello che avevo capito è che la cosa più importante nel creare un demo era la semplicità e l’immediatezza degli arrangiamenti. C’era bisogno di un riff potente, ritmica avanti nel mix e una melodia vocale che esprimesse qualcosa. Non ero alla ricerca della hit a tutti i costi, non volevo sentirmi fuori luogo e distante dal mio percorso precedente.

Era difficile allontanarsi da un background dove i Joy Division avevano avuto un ruolo fondamentale insieme a Kraftwerk e Moroder. Ovviamente tutto quello che costruivo nei miei demo veniva riproposto in modo più professionale e commerciale dai miei produttori. A volte con buoni risultati, a volte no. Probabilmente i differenti background dei team di produzione favorirono il nascere di correnti molto diverse tra loro all’interno della scena. Quella influenzata dalla new wave, quella più rock e quella più romantica e melodica.

L’italo disco, un fenomeno mondiale

Con una progressione lenta ma inesorabile, l’italo disco si impose come fenomeno mondiale. Un movimento nato da una sorta di folle incoscienza imprenditoriale diventava un boom commerciale. E le grandi etichette, le cosiddette major, sempre pronte a cavalcare l’onda dei successi, non se lo lasciarono sfuggire. Nel giro di pochissimo tempo tutta l’Europa si rese conto delle potenzialità delle produzioni italiane, il cui apice fu raggiunto tra la fine del 1984 e l’inizio del 1985.

Il successo era tale che tutti noi pensavamo non sarebbe mai finito. Invece, come tutte le cose, anche l’italo disco affrontò un logico declino. Arrivavano nuovi suoni che sostituivano quelli vecchi. La musica ha sempre funzionato così. Ciò non toglie valore e importanza di quel suono e di quel tempo. L’italo disco è ancora viva come genere e viene ancora celebrata in tutto il mondo. Chiamatelo revival, effetto nostalgia o come volete: per mio conto, credo che sia la sua unicità a renderla, in un certo senso, eterna.

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