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Le infinite prospettive del jazz contemporaneo

Il genere più “classico” dopo la musica classica non è mai morto, e oggi si mette alla testa della sperimentazione sonora dall’hip hop all’elettronica. Un percorso ragionato

  • Il7 Ottobre 2025
Le infinite prospettive del jazz contemporaneo

Kamasi Washington sulla copertina dell'album "The Epic"

In campo musicale le categorizzazioni sono spesso inadatte o scivolose, ma partiamo da una considerazione. Cosa intendiamo quando parliamo di “jazz contemporaneo”? Ci sono due livelli di senso. Un primo livello, più letterale, è costituito da quell’ampia schiera di musicisti di talento che portano avanti il macro-genere in modo per così dire “filologico”, rifacendosi ai grandi modelli del passato, rivisitati in chiave più moderna. Checché se ne possa pensare, è una scena viva e vegeta, spesso autenticamente underground, ma che può contare su un pubblico curioso e su un circuito di rassegne e festival sorprendentemente ramificato.

Già potrebbe bastare per un approfondimento a sé, ma rischieremmo di perderci parecchio. Perché – oggi più che mai – non si può discettare di jazz contemporaneo senza chiamare in causa le sue numerose contaminazioni. Dall’hip hop all’elettronica – passando per lo storico incontro con il rock che diede vita alla cosiddetta fusion – sono molti gli artisti provenienti da altre sonorità che trovano nel jazz una perfetta tavolozza per arricchire le proprie musiche di colori nuovi e inaspettati. In questa accezione allargata, è anche una dimensione che lambisce il mainstream più spesso di quanto si creda. Dal punto di vista di questo articolo, per esempio, To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar è un disco jazz non meno che hip hop.

Sono passati dieci anni da quel capolavoro, che ha certamente dato nuova linfa al senso del fare jazz nel nuovo millennio, ma non è stato neanche un caso isolato. L’album infatti è la punta dell’iceberg (o di diamante) di un sottobosco di contaminazioni che esisteva prima e sarebbe perdurato dopo. Lamar ha avuto il merito e il coraggio di portare di peso quel mondo all’interno di una release “mainstream” che rimane senza dubbio fra le più importanti del decennio scorso.

jazz contemporaneo - Thundercat - foto di Stefano Masselli
Thundercat (foto di Stefano Masselli)

La scena di Los Angeles

Il rapper di Compton è un’ottima bussola per chi voglia approcciarsi alle sfumature del jazz contemporaneo. Basta passare in rassegna le sue amicizie losangeline per scovare svariati protagonisti indiscussi.

Thundercat, da sempre uno dei suoi collaboratori più stretti, è uno dei migliori bassisti oggi in circolazione. Autentico virtuoso dello strumento, i suoi tratti distintivi sono il grosso basso semiacustico Ibanez a sei corde e un’immagine sempre sopra le righe ispirata agli anime giapponesi. Il suo stile musicale è una via di mezzo fra l’R&B e la fusion storica, rivisitata però con un’irresistibile vena ironica. Il capolavoro è il monumentale album Drunk del 2017: ventitré tracce di gustosissime divagazioni sonore senza limiti alla creatività.

Di stampo più strettamente “jazz-jazz” è invece l’opera di Kamasi Washington. È evidente il fil rouge che lega il sassofonista a numi tutelari come John Coltrane e Sonny Rollins. Rispetto a loro però si distingue per un afflato ancora più cinematico e “cosmico”. The Epic (2015) e Heaven and Earth (2018) sono gli album da non perdere. Rimane memorabile un live alla Santeria Toscana 31 di Milano, in cui il Nostro e la band tutta dovettero ripetere più volte l’attacco per via di incontenibili attacchi di risate, dovuti a quel genere di relax da backstage che possiamo immaginare.

Oltre a Lamar, i due hanno in comune un’altra amicizia, Flying Lotus. Visionario che sfugge a qualsiasi definizione (anche perché dichiaratamente ama cambiare approccio di album in album), “FLyLo” è un producer (ma sarebbe meglio chiamarlo compositore) che oscilla fra l’elettronica, l’hip hop e il jazz più sperimentale, tutto centrifugato e riversato in album cangianti e imprevedibili, come Cosmogramma (2010), You’re Dead! (2014) e Flamagra (2019). È anche fondatore della notevole label Brainfeeder, che fra gli altri – guarda un po’ – ha pubblicato proprio Thundercat e Kamasi Washington.

Il jazz secondo Flying Lotus

«Lo spirito del jazz sta nell’improvvisazione e in generale nella libera espressione artistica, creando a partire da stati mentali del subconscio», ci ha detto lo stesso Flying Lotus, fra gli headliner di JAZZMI 2025, in un’intervista di prossima pubblicazione.

I suoi miti sono i grandi senza tempo: John Coltrane, Miles Davis, Duke Ellington, più un visionario come Sun Ra. Ma il suo stile è tutt’altro che convenzionale, e viene da chiedersi come l’abbiano accolto i puristi del genere nel corso degli anni. «Piuttosto bene, per fortuna», dice. «È vero: all’inizio ero un po’ preoccupato all’idea di come mi avrebbe percepito quella community, non esattamente nota per vedere di buon occhio le cose che non siano jazz standard. Invece mi hanno stupito – i jazzisti come altre community musicali, per esempio hip hop, elettronica, classica… A quanto pare la mia musica ha toccato le corde degli appassionati di musica in generale, non solo di questo o quel genere».

Per lui, comunque, la creazione musicale non è che l’output di una “dieta” culturalmente onnivora e ricca di stimoli di ogni tipo. «Mi immergo nel mondo che cerco di creare: leggendo libri che magari non hanno a che fare niente con la musica, guardando film, giocando coi videogame», racconta. «Mi tuffo in tante cose diverse, insomma, raccogliendo ispirazioni di vario tipo. Ma trovo ispirazione anche nella vita di tutti i giorni: famiglia, relazioni, cose così. Finiscono sempre nella musica che faccio».

Lo spirito del jazz sta nell’improvvisazione e nella libera espressione artistica, creando a partire da stati mentali del subconscio

Flying Lotus

La scena londinese di jazz contemporaneo

Da questa parte dell’Oceano Atlantico, la capitale del jazz contemporaneo è senza dubbio Londra. Da sempre terreno fertile per contaminazioni e musiche “meticce”, la metropoli britannica foraggia una scena particolarmente coesa e sempre in fermento.

Ha contribuito a trainare l’ultima “wave” il trio The Comet Is Coming, fautore di una visione cosmica e psichedelica del jazz nell’incontro con altri mondi sonori, a partire dall’elettronica. Nella seconda metà dello scorso decennio erano piuttosto in hype. Poi la loro produzione ha rallentato in concomitanza con il lancio della discografia solista della vera “mastermind” del gruppo, il sassofonista Shabaka Hutchings (notevoli e maturi gli album Afrikan Culture e Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace).

Kokoroko e Blue Lab Beats sono i “nuovi” da tenere d’occhio. I primi sono un folto ensemble (otto elementi, guidati dalla trombettista Sheila Maurice-Grey) che propone un morbido sound tutto analogico, ricco di groove e suggestioni di world music, a partire da quelle dell’Africa occidentale. I secondi sono invece un duo di producer, con un approccio quindi più tendente a un’elettronica sofisticata. Autori di svariati album a proprio nome, hanno anche contribuito alla vittoria del Grammy di Mother Nature di Angélique Kidjo come “Best Global Music Album”.

Per il filone “jazz rap”, impossibile non citare il lavoro dello schivo Alfa Mist. Con album come Bring Backs o il recente Anthem si è imposto come punto di riferimento fondamentale. I Nubiyan Twist sono invece una band/collettivo capace di spaziare con disinvoltura dall’hip hop alla fusion, passando dalla world music. Infine merita una menzione un talento che porta avanti un ramo del jazz ingiustamente trascurato oggigiorno, quello delle grandi voci femminili: Celeste. Dopo il grande successo del disco d’esordio Not Your Muse del 2021, il suo secondo album Woman of Faces uscirà il 14 novembre.

jazz contemporaneo - Blue Lab Beats
Blue Lab Beats

E in Italia?

Nel nostro paese il jazz ha una storia particolarmente lunga, ramificata e fortunata. Anche perché ha sempre goduto di “divulgatori” illustri delle più varie estrazioni, come Franco Cerri, Paolo Conte, Piero Angela o, più recentemente, Paolo Fresu e Stefano Bollani, veri e propri agitatori culturali di grande versatilità (il primo gestisce anche una label, Tuk Music, e un festival, Time in Jazz; il secondo è anche conduttore televisivo).

Tuttavia anche in Italia esistono nuove generazioni di musicisti capaci – ognuno a modo proprio – di portare nuova linfa al calderone del jazz contemporaneo. In questo momento il più celebre a livello internazionale è senza dubbio il virtuoso delle sei corde Matteo Mancuso, afferente a un classico linguaggio rock/fusion reso originale da una sbalorditiva tecnica della mano destra, con il suo pulitissimo fingerpicking tipo chitarra flamenco. Gente come Steve Vai, Eric Johnson e Al Di Meola l’ha additato come futuro della chitarra elettrica, per dire.

Fra gli strumentisti sono poi da segnalare la talentuosa pianista (e cantante) Francesca Tandoi, con il suo jazz di rigorosa impostazione “classica”, e soprattutto i C’mon Tigre, indefinibile catalizzatore di musiche “altre”, dove il jazz, la world music e il mondo delle grandi colonne sonore incontrano raffinate suggestioni elettroniche, come nel notevole Soundtrack for Imaginary Movie del 2024.

Sul versante elettronico in senso lato, sono svariati i producer italiani che hanno flirtato con sonorità vicine al jazz. Populous lo fa da tempi non sospetti, ma negli anni si sono aggiunti nuovi talenti come Lorenzo_BITW (da ascoltare il suo Pantea del 2021) ed Emanuele Triglia (che dà il meglio di sé in Moon Kin del 2024).

Infine promettono bene gli idreamjazz, una sorta di psy-jazz destrutturato, e i Tare, con un approccio sperimentale in bilico fra strumenti analogici e synth, ricco di riferimenti culturali internettiani.

Tare
Tare

Inoki e il jazz rap

A parte esperienze sporadiche, in Italia il filone jazz rap non è presidiato come all’estero. Nonostante ciò (o forse proprio per questo), un rapper di lungo corso come Inoki ha scelto di puntare tutto su quello. Con il suo recente progetto The Jazzness infatti ha reinterpretato alcuni brani cardine del suo repertorio in chiave squisitamente jazzy.

«Hip hop e jazz sono fratelli di sangue», ci dice. «Vengono dalla stessa radice, dalla stessa urgenza di raccontare la realtà attraverso il ritmo, l’improvvisazione, la parola. Il jazz ha rotto gli schemi, ha portato la strada nei club e nei dischi. L’hip hop ha preso quella rottura come lezione e l’ha messa su beat, rime, campionamenti».

Riguardo alla rivisitazione dei suoi pezzi racconta: «Avevo bisogno di rallentare, di trovare nuovi significati nelle mie parole. Nasce da un’esigenza interiore: non solo fare musica, ma viverla in modo più profondo, più suonato, più umano. Ho voluto togliere il superfluo, le sovrastrutture digitali, e tornare all’essenza del suono e del messaggio. Volevo portare i miei brani storici in un contesto nuovo, lasciarli evolvere come sono evoluto io. Penso che il jazz sia libertà, ascolto e presenza. Oggi è il mio tempo per viverlo».

Il lavoro di riarrangiamento dei brani e di registrazione del disco «è stato un viaggio potente», conclude. «Un lavoro collettivo, fatto di ascolto reciproco e contaminazione. Ho lavorato con musicisti incredibili: Zibba, Mephisto Brass e la band di Jazzness. Con loro ho smontato e ricostruito le mie tracce come fossero materia viva. Ogni brano è rinato in sala prove prima ancora che in studio. Abbiamo improvvisato, cambiato tempi, inserito fiati, armonie, vibrazioni nuove. Registrare tutto questo è stato come fermare l’energia di un live dentro un disco».

jazz contemporaneo - Inoki
Inoki

L’esperienza di JAZZMI

In Italia esiste una galassia di festival piccoli, medi e grandi dedicati al jazz contemporaneo. Oltre a grandi eventi storici storici (Umbria Jazz Festival) e quelli più moderni (come Jazz:Re:Found), città come Pisa, Gaeta, Fiumicino, Spoleto, Fano – solo per citarne alcune – hanno ciascuna il proprio Jazz Festival. Tale proliferazione è favorita anche da finanziamenti pubblici e da realtà importanti per fare rete come l’Associazione I-Jazz e Europe Jazz Network.

Pochi festival tuttavia sono riusciti negli anni a coniugare qualità della proposta artistica e successo di pubblico come il milanese JAZZMI, che quest’anno (23 ottobre – 9 novembre) taglia il traguardo della decima edizione. «Da quando io e Titti Santini abbiamo immaginato di creare JAZZMI, il nostro intento era di riportare a Milano un festival jazz di dimensione e ambizioni internazionali», spiega il co-direttore artistico Luciano Linzi. «Ci siamo ispirati al London Jazz Festival: un festival diffuso, trasversale, contemporaneo. Milano ci sembrava adattissima a ospitare questa formula, distribuita in tutta la città e oltre, in luoghi molto diversi l’uno dall’altro, e che rappresentasse il jazz in tutti i suoi stili e commistioni».

JAZZMI è sia grandi nomi che talenti emergenti: come si bilanciano questi due “poli” della lineup? «L’equilibrio tra le parti è uno degli aspetti più delicati da affrontare», prosegue Linzi. «Occorre garantire nomi di richiamo e prestigio per poterci permettere investimenti su artisti poco conosciuti ma di valore. La scommessa è sempre di riuscire a far incuriosire il pubblico sulle proposte più nuove e di ricerca, far sì che JAZZMI diventi un marchio autorevole di qualità che faccia pensare allo spettatore: “Non lo conosco, ma se me lo propone JAZZMI ci vado”».

Il nostro intento era di riportare a Milano un festival jazz di dimensione e ambizioni internazionali

Luciano Linzi (JAZZMI)

Bonus: menzioni d’onore

Chiudiamo questa piccola panoramica sullo stato attuale del jazz con alcuni ultimi inviti all’ascolto che non hanno trovato spazio nei paragrafi precedenti. Anche in virtù del loro imminente arrivo in Italia (il 15 ottobre ai Magazzini Generali di Milano), meritano grande attenzione i Knower, duo americano che spazia dall’hyperpop alle atmosfere jazzy dell’ultimo album Knower Forever. Kassa Overall è uno dei più brillanti batteristi jazz della nuova generazione: è appena uscito il suo nuovo album Cream, fuori per la mitica Warp Records. Infine, se non l’avete già fatto, recuperate lo splendido Promises del 2021, frutto dell’inedita collaborazione fra il grande sassofonista Pharoah Sanders e il producer Floating Points, insieme alla London Symphony Orchestra. Un piacere per le orecchie e per l’anima.

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