Tutti stanno guardando e cantando “KPop Demon Hunters”
Il film d’animazione di Sony Pictures Animation è tra i contenuti Netflix più visti al mondo. Un omaggio divertente e commovente alla cultura coreana ricco di brani K-pop inediti che stanno conquistando le classifiche

KPOP DEMON HUNTERS
Davvero strano che non ci avesse pensato ancora nessuno. Se animazione e musica sono una garanzia, perché non unire i due mondi attraverso uno dei generi più seguiti e amati al mondo, soprattutto da un pubblico di giovanissimi? KPop Demon Hunters sta conquistando il mondo. Prodotto da Sony Picture Animations da due settimane è tra i prodotti Netflix più visti al mondo. In top 10, nello specifico al secondo posto, anche in Italia. Ma non basta, perché anche la musica e le canzoni originali sono tra le più ascoltate. La compilation della soundtrack ha debuttato all’ottavo posto della Billboard 200 per poi salire alla terza posizione nella seconda settimana. Navigando nelle piattaforme di streaming si nota un andamento simile. Per esempio, la Global di Spotify ha ben quattro brani del film nelle prime dieci posizioni. Il più alto è Golden al secondo posto.
Proprio Golden è il brano chiave del film, cantato dalla girl band K-pop HUNTR/X composta dalle tre protagoniste Rumi, Mira e Zoey. Non sono semplici artiste, ma delle cacciatrici di demoni. L’universo metropolitano del film è minacciato da un’entità maligna, Gwi-Ma, che dall’alba dei tempi si nutre di anime umane. La voce, la musica e la connessione con i fan sono l’unico modo per proteggere il mondo umano da quello oscuro sotterraneo. L’obiettivo del gruppo è riuscire a preservare l’Honmoon, la barriera protettiva che mantiene al sicuro il pianeta e che una volta che sarà dorato, chiuderà per sempre il collegamento con il mondo demoniaco. A contrastarle una boy band di demoni, capitanata dal leader Jinu, i Saja Boys. E la sfida finale non poteva che risolversi in una competizione, gli Idol Awards.
Un omaggio alla cultura coreana
KPop Demon Hunters è prima di tutto un film d’animazione piacevole, divertente e visivamente accattivante. La tecnica è la stessa utilizzata da Sony per i gioiellini della saga Spider-Verse: un ibrido tra 2D e 3D, con colori accesissimi che si sposano alla perfezione con l’estetica del genere. Per chi è un appassionato i riferimenti sono innumerevoli. Tutte le attività delle protagoniste: si va dai termini utilizzati, per esempio maknae (il componente più giovane di una band), i vestiti indossati, alle attività che compie il gruppo, come il comeback e la promozione di un singolo. Le ispirazioni sono ovviamente reali. I produttori hanno citato BTS, TXT, Stray Kids e ATEEZ per i Saja Boy. Mentre per le protagoniste IYZY, BLACKPINK e TWICE direttamente coinvolte nel progetto. Tra l’altro, in un frame del film, compare il loro nome al secondo posto in classifica proprio dietro alle HUNTR/X.
Quella dei registi Maggie Kang e Chris Appelhans è una lettera d’amore al K-pop che ne illustra però anche i meccanismi più controversi e non ha paura di ironizzare su alcuni dei cliché. Uno di questi è il fantomatico bisogno di riposo degli idol e di un divano. Oppure la costante attenzione degli artisti nei confronti dei loro fan. Le canzoni delle due band protagoniste sono dei veri e propri brani K-pop, cantati e interpretati dagli attori e doppiatori del film. Scandagliando personaggi e ambientazioni, c’è molto anche della cultura folkloristica coreana. La tigre e la gazza col cappellino che fanno incontrare Rumi e Jinu sono ispirati ai minhwa, una forma di pittura popolare satirica risalente all’epoca della dinastia Chosun.
Anche chi però non è ferratissimo sul mondo musicale coreano riesce a godersi il film. Le canzoni funzionano a meraviglia e non rallentano il ritmo. Sono funzionali alla narrazione e alla descrizione. Presentate a mo’ di videoclip si trasformano secondo dopo secondo in colonna sonora degli scontri tra buoni e “cattivi”. Tra virgolette perché è quello l’insegnamento del film: la strada non è l’odio, ma il dialogo con le differenze.
Il K-pop come metafora
Rumi, una delle tre componenti delle HUNTR/X, porta con sé un segreto da sempre. In sé ha sangue umano, da parte di madre, e sangue demoniaco, da parte di padre. Un’onta così viene definita per gran parte del film, che diventa sempre più complicato continuare a nascondere. Sia visivamente, per i segni luminosi che ricoprono il corpo di qualsiasi demone, sia per lo svolgimento della trama. Il film ruota attorno a questo stratagemma per affrontare un discorso più complesso in cui il K-pop diventa metafora e oggetto di critica a sua volta.
Non solo la diversità, ma il tema dell’errore e della redenzione sono centrali. Anche quando quest’ultima comporta il mettere in mostra le proprie fragilità. Un aspetto che il K-pop sta smontando solo da qualche anno, tra i primi ci sono stati i BTS, ma che ancora mette in difficoltà gli idol. «Non si devono mai mostrare difetti e debolezze», come ripete a Rumi sua madre. Un insegnamento che segna la sua vita e quella, reale, di molti artisti. L’apparenza è una delle questioni centrali nel mondo sociale e culturale coreano e, questo film d’animazione, tenta di mettere in crisi un sistema che spesso condiziona anche il modo di pensare e vivere delle persone comuni.
È proprio questo il motivo per cui un film come KPop Demon Hunters funziona: diverte, fa cantare, ridere e persino commuovere. Allo stesso tempo riesce a trasmettere un messaggio alle nuove generazioni per mezzo di uno dei loro generi di riferimento che spesso, per motivi di mercato e per paura, disattende quello stesso insegnamento che vorrebbe promuovere.