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“Gloria” a Kendrick Lamar e SZA

Sabato sera il rapper di Compton e l’artista di St. Louis hanno portato allo Stadio Olimpico di Roma il loro Grand National Tour, mettendo in scena quello che è stato probabilmente lo show rap più importante mai visto nel nostro Paese

  • Il4 Agosto 2025
“Gloria” a Kendrick Lamar e SZA

Kendrick Lamar e SZA, foto di Cassidy Meyers

La prima volta di Kendrick Lamar in Italia risale al 2013. In quell’anno c’erano i Magazzini Generali (con una capienza di circa mille persone), e un giovane di 26 anni di Compton scoperto da Dr. Dre che aveva appena messo in rima la storia della vita di un bravo ragazzo in una folle città. Poi, nove anni dopo (con in mezzo un Premio Pulitzer e la consacrazione con il monumentale To Pimp a Butterfly), l’Ippodromo di Milano, solo un assaggio (a tratti amaro) del tour che K-Dot avrebbe portato in giro per il mondo dopo l’uscita di Mr. Morale & The Big Steppers. E quello successivo fu un live suggestivo e più “intimo” all’Arena di Verona, dove al suo pubblico aveva fatto una promessa: “Tornerò presto”. E così, infatti, è stato.

Non abbiamo dovuto attendere a lungo per rivedere Kendrick Lamar in Italia, che sabato sera insieme a SZA è approdato allo Stadio Olimpico di Roma con il Grand National Tour (che solo con la leg americana ha sfondato il box office con un ricavo di 250 milioni di dollari) per quello che è stato probabilmente lo show rap più importante mai visto nel nostro Paese. E non solo per la produzione mastodontica (con ben quattro palchi collegati tra loro da passerelle) che solitamente gli artisti d’oltreoceano riservano per i giganteschi tour negli Stati Uniti, effetti pirotecnici, visual studiati nei minimi dettagli, una scaletta lunghissima ma scorrevole, e chi più ne ha più ne metta.

Kendrick Lamar e SZA a Roma: diversi ma complementari

Lo è stato perché per una notte la Capitale è stata teatro a cielo aperto di un qualcosa di irripetibile, che fino a qualche anno fa sembrava fosse impossibile vivere in prima persona. E fa infatti un certo effetto vedere quasi 60mila persone radunate nel tempio del calcio capitolino per assistere alla fusione di due degli artisti più rappresentativi della nostra generazione, così diversi eppure così complementari.

Da una parte Kendrick Lamar, rapper più influente del nuovo millennio per il modo in cui ha raccontato un’intera comunità ferita e martoriata da un’America in decadenza, reduce da un’annata che lo ha sedimentato definitivamente nell’immaginario collettivo mainstream. Intelligangsta per antonomasia, poeta del ghetto, schivo, a tratti oscuro, che poco si lascia andare alle interazioni col pubblico, al quale prima dell’incendiaria (e no, il termine utilizzato non è una casualità) Like That, chiede se è pronto ad alzare il livello. I suoi live cambiano come cambiano i suoi dischi. All’Arena di Verona più riflessivo e privo di qualsiasi gioiello prezioso per uno show più nudo e incentrato su Mr. Morale & The Big Steppers.

Kendrick Lamar, West Coast hero

A Roma più sbottonato (tanto che a volte – come nella battagliera euphoria – non si preoccupa di censurare la n-word, accortezza che Lamar ha nei concerti a prevalenza di pubblico bianco) ma senza mai scomporsi. Vero hero della West Coast con grossa collana di diamanti annessa a ribadirne lo status, in piena sintonia con l’ultimo GNX, omaggio alla tradizione hip hop losangelina di cui ieri sera allo Stadio Olimpico si è fatto fiero portatore (vederlo rappare reincarnated rannicchiato sui gradini per un attimo ci ha fatto pensare di avere di fronte Tupac).

I suoi blocchi sono una scarica di adrenalina pura. Tra fiammate e fuochi d’artificio, come un gigante inarrivabile K-Dot sputa barre con la precisione di un cecchino. In primis con wacced out murals – brano apripista del lungo concerto che suona come un testamento inciso nel marmo – fino ad arrivare all’attesissima e gigantesca Not Like Us, sulla quale lo stadio esplode come se fossimo non più a Roma ma a Compton, passando per i classici tratti da DAMN., To Pimp A Butterfly, e good kid, mAAd city.

SZA, luce e farfalla del bosco

Dall’altra SZA, colorata e piena di vita, portatrice di luce, una vera farfalla (con tanto di ali) del bosco fatato che sul palco compie una metamorfosi che culmina con Nobody Gets Me. Una dea raggiungibile, che non lesina in autografi dal palco e parole di affetto per il pubblico, definendolo “il suo preferito in Europa”. Quelle frasi che si dicono, certo, ma che la purezza di SZA fa percepire come davvero sentite.

Quella stessa che sembra infondere anche a Kendrick – sporcato troppo presto dal sangue che scorre nelle strade della sua città ma quasi più spensierato e giocoso nei blocchi insieme a SZA – durante la chiusura magistrale con l’attesissima Luther, che più che una canzone sembra quasi un luogo della mente. E infine ovviamente Gloria, outro di GNX, metafora dell’arte, santa e peccato, conforto e supplizio allo stesso tempo, che glorifica e consuma chi nasce con il fuoco dentro.

La musica si abbassa, le luci iniziano ad alzarsi pian piano. Kendrick Lamar e SZA salgono a bordo della GNX sempre presente sul palco, sanciscono la fine della magia che ha travolto Roma per una sera e la sensazione è che li porterà chissà dove. Forse vero quell’Olimpo dove stanno solo i grandissimi. Anche stavolta, una promessa: ci rivedremo presto. Noi non vediamo già l’ora.

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