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Kristin Hersh, confessioni di un’eroina del rock alternativo

Un’autentica artista di culto della scena alternativa americana. Adesso è in arrivo il suo nuovo album da solista, “Clear Pond Road”

Autore Tommaso Toma
  • Il1 Agosto 2023
Kristin Hersh, confessioni di un’eroina del rock alternativo

Kristin Hersh (foto di Peter Mellekas)

Sono tante le cose eccitanti che successero nel sottobosco musicale americano negli anni ’80. Ma senz’altro non si possono dimenticare i primi passi nella scena alternative dei Throwing Muses, un quartetto per metà femminile dove spiccava il vocalismo di questa piccola bionda dagli occhi spiritati, Kristin Hersh.

Lei sapeva emanare una potenza emotiva fortissima anche nei suoi testi. Lo stile della sua band era un magma contorto e drammatico di post-folk e post-punk, con influenze di Violent Femmes e Talking Heads. L’intellighenzia della critica musicale li elesse come unici, assieme ai coevi Pixies.

I Throwing Muses – dove si segnalava anche la presenza di Tanya Donelly – hanno avuto una lunga discografia, tanti album all’attivo tra gli anni ’80/’90. Non hanno mai smesso di proporre la loro miscela musicale anche nel nuovo millennio, seppur in maniera più edulcorata, influenzata dal folk.

Come accade nel nuovo album da solista di Kristin Hersh, Clear Pond Road (Fire / Goodfellas), la quale debuttò da solista quando era ventisettenne, divorziata e con un figlio che viveva con il padre, con il bellissimo Hips And Makers (4AD, 1994).

Il nuovo album di Kristin Hersh è un elegante e personalissimo road trip con un ottimo arrangiamento dei brani, dagli archi atonali e taglienti a momenti di dolcezza sostenuta dalla presenza di un mellotron.

Ascolta Clear Pond Road

L’intervista a Kristin Hersh

Come ti sei sentita da giovane donna in quel momento di passaggio da ragazza normale a star della scena alternativa? Te lo chiedo perché una delle cose che ho più apprezzato nella tua lunga carriera è il senso di totale integrità.

In realtà la mia integrità ha causato molti problemi! Non ho mai voluto essere una popstar o suonare dei prodotti radiofonici. Ho trovato tanto sessismo nel settore, un fattore così dannoso che ho rifiutato di entrare nel sistema.

Quando avevo 14 anni suonavo nei club per un pubblico veramente figo. Era pieno di ascoltatori appassionati. In quel contesto di varie sottoculture una certa integrità aveva un significato, non era una posa.

Entrando poi nel settore con un contratto con la mia band, mi resi conto che il business allontanava con le sue strategie chi non si riusciva a catturare con i loro metodi. E noi avevamo un pubblico di base esattamente così, puro e poco “corruttibile”.

Non mi sentivo una popstar quando hanno provato a vendermi come tale, anzi mi sentivo ancor più sola, isolata. Avevo perso il mio vero pubblico e ottenuto questa strana folla di “fan” interessati solo al momento contingente e non sapevo come riprenderci le persone a cui ci importava davvero suonare.

Volevo essere semplicemente una musicista che lavora duro, non un’esibizionista che fa servizi fotografici. Quel tipo di popstar scompare prima o poi, perché non offrono altro che il loro ego. L’anima è nella musica stessa e nei concerti. È un mondo molto diverso.

Hai parlato spesso dei problemi con l’etichetta major Sire Records (gruppo Warner Music): come ti sei sentita quando uscì The Real Ramona che si rivelò un buon successo commerciale?

Ti dirò, Warner (attraverso la Sire Records, ndr) nel 1990 si mangiò tutto il successo di Real Ramona. La parola “successo” era solo un riflettore per far vendere. Ai nostri live non avevano più veri ascoltatori, solo curiosi e le vittime perfette di una moda corrente e costruita a tavolino, persone soggette a un tipo di moda dal minimo comune denominatore. Come femminista e vera musicista, fu molto triste per me.

La mia rivincita arrivò quattro anni dopo con l’album University, che la casa discografica cercò letteralmente di seppellire non promuovendolo, non distribuendolo nei negozi di dischi. Se un DJ radiofonico provava a suonare Bright Yellow Gun, la Warner chiamava e diceva loro di toglierlo dalla programmazione! Dei conduttori ci raccontarono attoniti quello che stava accadendo…

Ma University fu il nostro album più venduto nonostante loro. A quel punto offrii alla Warner un mio disco da solista (Hips and Makers del ’94, ndr) per avere in cambio la nostra libertà contrattuale. Da quel giorno lasciai per sempre il mondo delle major. Non ho mai guadagnato un centesimo dai miei dischi fatti per loro, quindi non fu una decisione traumatica fare quel passo, nonostante fossi anche madre di quattro figli…

L’era di transizione tra gli anni ’80 e ’90 fu comunque un’epoca creativamente fiorente per la musica alternativa, no?

Devo essere sincera, i miei momenti musicali preferiti degli anni ’80 e ’90 sono gli stessi che vivo adesso quando ci sono queste condizioni: guidando in giro per l’America o nel resto del mondo e mi capita di sentire artisti che suonano senza ambizione di farci del denaro o di procurare troppa attenzione. Solo l’impulso umano spontaneo di fare un bel rumore insieme, senza alcun secondo fine.

Questa è la vera arte e comunicazione del suono: un riflesso della vita, non il risultato di un appiattimento culturale o di una manipolazione. Ed è molto più divertente della merda nell’industria dell’intrattenimento!

Ci sei andata pesante anche in un’intervista al Guardian, dove hai dichiarato: “È stato deludente che la moda e l’ambizione abbiano sostituito l’attenzione, ma questo è ciò che accade a un genere musicale”. Però in fondo non è la voglia di apparire una delle conditito sine qua non della musica rock?

L’industria discografica è un’invenzione abbastanza nuova e non invita alla sostanza. Si preferisce la superficialità come le tendenze che si verificano rapidamente. Così il consumatore deve tenere il passo, ma niente di tutto ciò conta davvero o ci parla in profondità. La vera musica non funziona in questo modo.

Sinceramente, quando comincio ad attirare più attenzione di quanto sia necessario per continuare il mio lavoro, mi chiedo cosa ho fatto di sbagliato, perché è possibile anche per me provocare un tipo di risposta che accende solo migliaia di like. Ovviamente, poiché questo meccanismo genera soldi, nel settore vediamo per lo più popstar narcisiste e fan servili che portano avanti una relazione dannosa. Non c’è la musica in questo circolo.

E allora torniamo alla musica. Cosa significa per te registrare un album da solista? Un modo per essere totalmente libera da giudizi? O altro?

Oh no, io adoro tutti i compagni della mia band. Quando siamo in tre trovo molto equilibrio sia musicalmente che personalmente. Queste persone sono la mia famiglia, i miei amici, il mio mondo. Le sessioni di registrazione sono comunque sempre la stessa cosa: l’ascolto delle canzoni e capire cosa fare. O lo faccio da sola o con i miei compagni di band.

Ripeto, l’unico motivo per cui ho iniziato una carriera da solista è stato per uscire dal mio contratto con la Warner! Ma amo la libertà di afferrare una chitarra e mettersi in viaggio con nient’altro che uno zaino e un cane…

Ma proprio in quell’album, che ho capito essere il motivo della tua liberazione dal contratto da una major, c’è il bellissimo singolo Your Ghost, un autentico gioiello che cantasti in coppia con Michael Stipe.

Michael ed io stavamo parlando al telefono mentre stavo registrando il violoncello per quella canzone. La sua voce suonava così bene in quel contesto che lo interruppi e lo feci cantare. Gli dissi addirittura che quel disco non sarebbe mai uscito perché la Warner odiava le donne che non flirtavano e non si mettevano in mostra! E anche nel caso se fosse stato pubblicato, non ci sarebbe stato un singolo perché il disco era troppo silenzioso e non sarebbe stato Your Ghost perché non c’era la batteria!

Non è andata esattamente così (ride, ndr): Michael ha anche dovuto fare un video con me! L’ultima volta che ho suonato a New York Michael era tra il pubblico e ha cantato la sua parte insieme a me!

Mi piace il tuo nuovo album Clear Pond Road, in particolare Eyeshine: com’è nata?

Anche a me piace davvero quella canzone, grazie! È una canzone d’amore tra due persone tranquille che hanno bisogno di parlarsi ma anche no talvolta. Poiché suono tutti gli strumenti nei miei dischi da solista, mantengo quella mia caratteristica atonalità in tutte le sovraincisioni. Il che è probabilmente inquietante per gli ascoltatori a cui piacciono le canzoni belle pulite, ma mi piace creare dei contrasti per sottolineare la potente fragilità che sottende un vera canzone d’amore.

Una cosa che mi ha sempre colpito della tua musica e del suono dei Throwing Muses è che non sei mai stata troppo legata a un sound specifico, non sei mai stata new wave o post punk o folk.

Iniziai a suonare la chitarra e a scrivere canzoni quando avevo 9 anni. Quando formammo la band per me era troppo tardi per sviluppare un vocabolario sonoro che non fosse il mio linguaggio musicale. Sarebbe stato molto più facile per noi se avessi imitato altre band come fanno tutti gli altri! (Ride, ndr)

Sono curioso di sapere qual è l’album dei Throwing Muses che ami di più.

Purgatory/Paradise (del 2013, ndr) è il nostro capolavoro ed è interamente finanziato dai nostri ascoltatori-sostenitori nel progetto Strange Angels. È così commovente vedere che siamo davvero sfuggiti alla morsa di un settore aziendale che inganna così tante persone. I nostri ascoltatori-sostenitori non si lasciano ingannare dalla vanità e dall’avidità. Questo è il mio preferito dei Throwing Muse finora, ma sono anche una grande fan di quello che stiamo realizzando in questo momento…

Un’altra bella canzone di Clear Pond Road è Dandelion. In questo caso ho la sensazione che tu abbia preso ispirazione dai grandi del folk degli anni ’60.

Vorrei poter essere influenzata da qualsiasi cosa esterna! Queste canzoni vengono da sole e si scrivono da sole. Però nella veste di produttrice devo fare tutto il possibile per renderle forti. Uso quell’attitudine che si usa con i bambini… Dandelion parla di salire una scala antincendio nel mio camerino in un vicolo fuori da un club.

Ho letto in un’intervista che tuo figlio Wyatt ti aiuta molto a risolvere problemi come artista. Curiosità: gli hai dato questo nome in omaggio al grande Robert Wyatt?

Wyatt prende il nome da una strada su cui ho camminato quando ero incinta di lui: una stradina di campagna con dei bellissimi serpenti tra le rocce e tanti uccelli rumorosi tra gli alberi. È autistico e possiede una grande sensibilità estetica come nessun altro che abbia mai incontrato. Quindi, quando sono scoraggiata da tutta la vanità e l’avidità nell’industria dell’intrattenimento, lui è lì per parlarmi dell’arte che non se ne andrà mai.

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