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La classifica dei migliori album italiani del 2025

Da Salmo ad Angelina Mango, passando per Ele A, Fabri Fibra e I Cani: ecco i migliori dischi italiani dell’anno appena trascorso

  • Il26 Dicembre 2025
La classifica dei migliori album italiani del 2025

Se negli Stati Uniti per una settimana non ci sono stati dischi rap tra le prime cinquanta posizioni della Billboard Hot 100, nel nostro Paese il genere è ancora il più ascoltato e il più alto in classifica. Basti pensare anche al fatto che Sfera Ebbasta è stato l’artista più streammato su Spotify Italia nell’anno appena trascorso. Nella nostra classifica dei migliori album italiani del 2025 c’è ovviamente tanto hip hop, ma non solo. Il cantautorato, come abbiamo visto all’ultimo Sanremo, sta riprendendo il suo spazio.

25. Sick Luke – DOPAMINA

Non il classico album che ci si potrebbe aspettare da Sick Luke, ma molto di più. Una raccolta che unisce passato, presente e futuro che non ha niente a che fare col precedente X2. Le produzioni sono costruite minuziosamente e cucite addosso ad ogni artista come un vestito fatto su misura. Nessuno, o quasi, è rimasto nella sua comfort zone. Gli ospiti, dal primo all’ultimo, hanno portato una parte di sé per raccontare un pezzo della loro anima e (anche) del producer. Un esempio emblematico? DA QUANDO CI SEI TU con Alfa. Probabilmente uno dei pezzi più intimi con la dedica al figlio di Sick Luke in un brano dolcissimo. Ma Sick Luke mostra diverse sfaccettature della sua personalità comprese quelle più cupe e trap come in MONEY MACHINE feat Lazza e Tony Effe o KEANU REEVES feat Tedua. (Rebecca Pavesi)

24. Olly – TUTTA VITA (SEMPRE)

Non un repack album qualunque con brani nuovi, ma canzoni coerenti con il percorso del cantautore genovese. Più vita, più strumenti e un’aria di festa che continua dall’inizio alla fine tenendo salda la profondità dei testi al pop. Un disco senza costruzioni artificiali, ma dove, con un mood alla Vasco al quale Olly si ispira, l’artista guarda dentro se stesso e trova la bellezza nella semplicità e nei gesti quotidiani. Anche quando parla del brivido della vita e della fama. L’esperienza maturata nei live si sente molto di più negli inediti. Immancabili anche le influenze che arrivano dalla sua Genova che arricchiscono pezzi come Depresso fortunato. Tra gli omaggi anche la scelta di inserire un’intera strofa di Neve al Sole di Pino Daniele. Insomma, un album da (continuare) a cantare A Squarciagola da soli o in compagnia. (RP)

23. Bresh – Mediterraneo

Bresh chiude la trilogia del mare cominciata con CHE IO MI AIUTI e proseguita con ORO BLU. Un disco interamente dedicato alle sue radici, a se stesso e, inevitabilmente anche a Genova. Lo si percepisce nei testi con i continui riferimenti al vento, alle vele, al porto e alle onde. Anche il sound è pieno di richiami alla vita da marinaio, come il fischiettio o i cori che ci trasportano alla sua personalissima Itaca. L’immaginario è stato costruito a partire da La tana del granchio, presentata al Festival di Sanremo 2025. Bresh trasporta il suo pubblico facendogli sentire il rumore del mare e percepire la brezza marina. A coronare l’idea dei carruggi non poteva mancare una chicca: una canzone in dialetto – Aia che tia – che completa la fotografia di Genova. Un disco che unisce passato e presente, con la hit Guasto d’amore e canzoni pop come Dai che fai. (RP)

22. Rkomi – decrescendo.

Un ritorno alle origini, all’infanzia, a dove tutto è iniziato. In questo album Rkomi fa i conti con se stesso e con i suoi traumi. Un disco con il quale esorcizza (e metabolizza). Lo si capisce già dall’artwork: una foto che risale probabilmente al periodo delle elementari in cui lui è l’unico con un’espressione infelice sul volto. Lo sguardo e la penna sono più maturi. La sofferenza viene messa a nudo in modo diretto e graffiante e si scava nella più torbida profondità. Ci sono meno elementi pop e prevale, invece, un ritorno all’hip hop più crudo. Il viaggio di Rkomi, nel quale è stato accompagnato dai compagni Lazza, Ernia, nayt, Izi, Tedua e Bresh, come richiama anche il titolo, era cominciato con il ritmo delle cose. al Festival di Sanremo 2025. Il traguardo è un album colmo di sincerità. (RP)

21. Shablo – Manifesto

Se il detto nomen omen è vero, questo album di Shablo uscito nel 2025 ne rappresenta l’essenza più pura. Le premesse perché uno dei producer storici del rap (e non solo) italiano facesse un disco che è una vera e propria dichiarazione per la black music erano evidenti da febbraio, quando era salito sul palco del Festival di Sanremo con Guè, Tormento e Shablo portando La mia parola, un brano squisitamente hip hop che pescava a piene mani da tutta la musica che li ha formati. E Manifesto ne è stata un’estensione: degni di nota sono pezzi come Gelido – che al rap unisce il jazz e il soul – insieme a Mimì, Joshua e Tormento (due delle anime principali del disco che rappresentano il passato e il futuro che si fondono nel presente), Che storia sei – in cui a Joshua si uniscono nayt e Joan Thiele -, Puoi toccarmi – remake della hit di Guè e Caprice del 2013 – e Immagina con Inoki e Joshua. Con Manifesto Shablo (che oltre ad essere un artista è uno dei businessman più importanti dell’industria musicale italiana) sembra aver realizzato il disco dei sogni, quello che più che al mercato guarda all’arte. (Greta Valicenti)

20. Joan Thiele – Joanita

Già quando è uscito Eco, il brano in gara al festival di Sanremo, la sensazione era di trovarsi di fronte a qualcosa di completamente diverso all’interno della scena musicale italiana. Un testo molto ricercato (e infatti Joan Thiele è la nostra Songwriter of the year ai Billboard Women in Music), una chitarra che potrebbe trovarsi nella colonna sonora di un film western, una produzione curata dalla stessa Joan. E questa (bella) anomalia è rispecchiata dall’album Joanita. Joan è entrata in contatto con le figlie di Piero Umiliani, grande compositore di colonne sonore, ha trascorso del tempo negli studi di loro padre a Roma e ne ha campionato dei brani, creando così un ponte ancora più potente tra i suoni del passato e quelli di oggi. Per un viaggio onirico e senza tempo. (Silvia Danielli)

19. Gemitaiz – ELSEWHERE

Cosa significa cercare un “altrove” in un mondo in cui tutto sembra andare in un’unica direzione? Che Gemitaiz sia sempre stato uno degli artisti più coraggiosi del rap italiano è cosa nota, e con Elsewhere ha trovato il suo altro luogo fatto di musica suonata per davvero, canzoni con un peso specifico nate in un periodo che di leggero non ha davvero nulla.Un disco di rottura, umano (in tutti i sensi, a partire dall’artigianalità con cui è stato realizzato grazie a dei musicisti straordinari senza cui – come Gemitaiz ci ha raccontato nella nostra intervista – non sarebbe stato lo stesso), in cui Davide ha voluto rendere ancora più limpida la sua posizione: quella di artista vicino agli ultimi, quelli che «non hanno mai avuto una scelta». Ed è così allora che cercare un altrove non significa fuggire dal presente, ma analizzarlo con uno sguardo diverso: lucido, talvolta disilluso ma anche con una vena di speranza, rivolto sempre anche verso chi sta ai margini di una società che ci vuole sottomessi e omologati, e per cui Elsewhere vuole essere un abbraccio: un atto oggi necessario più che mai. (GV)

18. Venerus – Speriamo

Venerus è ormai un riferimento indiscusso della scena indie italiana. Nato artisticamente nell’alveo del nuovo R&B, che ha contribuito a rendere popolare dalle nostre parti, si è presto distaccato da etichette di genere che evidentemente gli vanno strette, abbracciando un pop sofisticato e ricco di ispirazioni “altre”, dal jazz al mondo delle colonne sonore. Con questo suo nuovo lavoro in studio, uscito per la sempre brillante Asian Fake, fa un ulteriore salto in avanti: ci sono ballad romantiche (La Chiave, Quello Che Resta, Tra le Tue Braccia), cantautorato acustico (Felini), pop easy listening (La Moto, Impossibile) ma soprattutto l’esplorazione decisa di territori come hip hop e dance pop à la Cosmo. E che gusto nelle collaborazioni: non è facile trovare altri dischi in cui si passa con disinvoltura da Gemitaiz a Marco Castello, da Altea ad Angelina Mango. Tutto ciò delinea il profilo di un artista autenticamente libero. (FD)

17. Calibro 35 – Exploration

Una sorta di anti-concept: il nuovo album della band più “cinematica” della scena italiana (e non solo) è una gustosa, variegata miscellanea di brani originali, classici jazz/fusion, colonne sonore d’antan, sigle televisive. Spassosissima, per il filone “piccolo schermo”, la cover di Lunedì Cinema, con Marco Castello che canta il celebre scat di Lucio Dalla, mentre la reinterpretazione di Chameleon di Herbie Hancock parte un po’ scolastica per poi sfociare in una sorprendente improvvisazione “cosmica”. (FD)

16. Noyz Narcos – FUNNY GAMES

Se cercate un artista che in 20 anni non è mai sceso a compromessi su identità e visione, vedere alla voce Noyz Narcos, la dimostrazione vivente che certa musica non è fatta per compiacere tutti, ma per comunicare con chi parla la stessa lingua e ha vissuto esperienze simili. Quanto sarebbe comodo fare un album per il mainstream, per andare virale su TikTok? Beh, a Noyz di essere accomodante non è mai interessato nulla. E Funny Games ne è l’ennesima prova. Non solo un espediente narrativo disturbante e un incubo ad occhi aperti in cui la violenza diventa riflesso della realtà in cui chi guarda da vittima diventa carnefice, ma il pretesto per rimettere al centro di una scena che a volte sembra aver perso la bussola ciò che l’ha sempre caratterizzato e su cui non ha mai ceduto. La coerenza estrema e radicale, il riconoscimento della strada, la voglia di dimostrare senza inseguire mode o sperimentazioni forzate. (GV)

15. Giorgio Poi – Schegge

Giorgio è diventato grande. Se Fa Niente dell’ormai lontano 2017 (annus mirabilis del cosiddetto “itpop”, vi ricordate questo termine?) rimane il suo disco più memorabile, complice la nostalgia canaglia, l’album uscito quest’anno è certamente il migliore della sua produzione “matura”, per così dire. C’è la stessa raffinatezza linguistica e musicale degli esordi, ma passata attraverso il filtro dell’esperienza. Il risultato sono canzoni spesso gustosamente fuori dal tempo perché senza tempo, come nel caso dell’opening track Giochi di Gambe o della splendida Uomini Contro Insetti, perla indiscussa dell’album, dal gusto smaccatamente retrò fra cantautorato italiano anni ’60 e certa musica francese (che da sempre ispira il nostro). Da poco è uscito anche uno Schegge (Reworks) contenente i remix di quattro brani in versione elettronica sofisticata, fra cui quello – notevole – di Nelle Tue Piscine firmato da okgiorgio. (FD)

14. centomilacarie – IO NESSUNO

Nel 2024 era stato una delle rivelazioni di MAYA di Mace grazie a Meteore e soprattutto Non mi riconosco, ed era solo questione di tempo perché centomilacarie tirasse fuori uno dei dischi (di debutto e non solo) migliori del 2025. IO NESSUNO è un album di pancia, incazzato come solo una generazione coi sogni distrutti può essere, quella ribelle, sincera, che vive tutto e lo fa intensamente e per cui la noia della provincia diventa disperazione e stimolo per bruciare tutto e costruire sulle ceneri. (GV)

13. Golden Years – FUORI MENÙ

Ci sono due strade che può intraprendere un produttore: traghettare gli ospiti nel suo mondo e metterli fuori dalla zona di comfort, oppure adattare il proprio stile a ciascuno di essi. Pietro ha optato per la seconda opzione. Sia chiaro, non si parla per questo di un album dall’aspetto di una playlist schizofrenica. Golden Years riesce a inserire in ogni pezzo il suo tocco. In Anche se ti amo con Frah Quintale e nayt, infila una componente strumentale inedita nell’elettronica densa di prima stanza a destra, senza per questo snaturarlo. Se con Fulminacci e Franco126 c’è una comunione d’intenti – con il primo andrà al Festival di Sanremo – con Lorenzza e ARIETE ne La distanza unisce modernità e classicità alternando sonorità urban con elementi cantautorali e un basso irresistibile. E Mai è uno dei pezzi più belli di Coez degli ultimi anni. Non si salta nessun brano. (Samuele Valori)

12. Franco126 – Futuri possibili

Quante volte, alla termine di una storia, ci siamo chiesti che cosa resta? A Franco126, della fine di un amore sono rimasti un disco di Battisti su uno scaffale, un orecchino, un maglione blu, uno spazzolino che è ancora lì, frasi fatte che ora non sembrano più importanti e 13 canzoni raccolte come cocci di qualcosa che si è rotto e che messi insieme compongono Futuri possibili. Un disco bellissimo fatto (anche) di nostalgia, attese, rimpianti e rimorsi, di quel vuoto in cui siamo immersi e che ci abita quando quella persona decide di chiudersi la porta alle spalle, forse per sempre o forse no, e che Franco ha riempito nel modo che conosce meglio: (de)scrivendo senza filtri tutte le emozioni – spesso incoerenti tra loro – che ancora lasciano l’animo in subbuglio, ripercorrendo le immagini e gli attimi, anche quelli che fanno più male, riscoprendo i dettagli e scrutandoli anche con una certa malinconia, quella stessa che Roma gli ha appiccicato e che (fortunatamente per chi lo ascolta) è difficile scrollarsi di dosso. (GV)

11. Ernia – PER SOLDI E PER AMORE

Senza giocare troppo in anticipo con la promozione, a metà settembre esce il nuovo album di Ernia, prodotto quasi tutto da Charlie Charles, ed è un’ottima sorpresa per tutti. Un lavoro dove il rapper di Milano si mette totalmente in gioco e parla del rapporto con i suoi genitori, con sua sorella, con la scena musicale italiana e in Perché, il brano con Madame, affronta anche temi politici. Il disco della maturità si sarebbe detto, se a lui queste definizioni non pesassero. Anche il pubblico lo accoglie bene e l’album diventa presto disco di PLATINO con un tour nei palazzetti che lo aspetta a marzo. Chapeau. (Silvia Danielli)

10. 22simba – La cura

Poche chiacchiere: pochi sono stati gli artisti che nel 2025 hanno avuto il percorso di 22Simba. Il suo anno è iniziato con un disco manifesto, V per Ventidue, che conteneva anthem di ragazzi di provincia come Opel e Old Fashion con Promessa e Flaco G (un brano che è già diventato culto per le nuove generazioni, tanto da avere un sequel, Nulla di bello), ma ciò su cui vogliamo concentrarci e che per noi è davvero il picco massimo della sua scrittura è La Cura, una raccolta di 9 tracce vicine al cantautorato che lo hanno elevato definitivamente a enfant prodige della scena. Un piccolo gioiello in cui Andrea, classe 2002, scava nella sua parte più intima e la sputa fuori con frasi che in poche parole condensano concetti importantissimi (“Non diventare un ricordo, perché a me non mi fotterà mai la nostalgia” in Non moriremo qui è forse la barra più bella del rap italiano del 2025) e con una verità disarmante. Il tutto con quella voce graffiata, disperata e liberatoria che è diventata il suo marchio di fabbrica, colpendo l’ascoltatore dritto in pancia senza chiedere permesso né scusa. A certificare il suo talento la collaborazione in Fanculo con Marracash, uno che i feat li centellina e che quando sceglie di esserci non lo fa per caso, ma perché intravede davvero Qualcosa in cui credere. (GV)

9. LA NIÑA – FURÈSTA

Questo che sta finendo, per molti aspetti, è l’anno de LA NIÑA. La cantautrice napoletana ha fatto un salto incredibile o meglio è come se avesse tirato fuori veramente se stessa con questo suo secondo album. Ha dato valore e dignità alle sue origini, ripescandole e attualizzandole, prendendo i cori femminili e i canti popolari e giocando a sovrapporli. FURÈSTA è un disco antico e nuovissimo, sacro e popolare. Ma soprattutto è un album che trasuda emozioni drammatiche ed energia ancestrale che l’artista presenta al meglio dal vivo. Davvero notevole. (SD)

8. Caparezza – Orbit Orbit

Ancora una volta Michele ha trovato rifugio fuori dal tunnel, negli “albi letti sotto al lume”. Qui però il fumetto l’ha scritto lui e da lì è ripartito quel viaggio che rischiava di fermarsi per problemi di salute. Orbit Orbit, registrato e prodotto a Molfetta, è un disco cosmico, non facile. Caparezza è sempre più defilato per lasciare spazio all’uomo: si avverte un afflato politico nella geniale Gli occhi della mente (con un sample di Gianni Morandi), un po’ della vecchia ironia in Autovorbit. Come ricorda in Come la musica elettronica, da Prisoner 709 non ha più senso recitare una parte. Pathosfera è commovente, mentre nella conclusiva Perlificat il rap si adagia sull’orchestra e la musica classica. Una settimana dopo Rosalía pubblicava Berghain, segno che qui si è sempre al passo con i tempi. (SV)

7. Angelina Mango – caramé

Un album sorprendente e non solo perché è uscito senza alcun preavviso. Angelina Mango ci ha messo tutta se stessa. Gioie, dolori, alti e bassi che hanno segnato il suo ultimo anno lontano dalle scene. L’album è stato scritto e prodotto dalla stessa cantautrice insieme a Giovanni Pallotti e al fratello Filippo. Quindici tracce più quella di chiusura scritta da Henna, la migliore amica. In questo disco c’è la sinergia di amici e famiglia, tanto è vero che lo stesso artwork è costruito come un diario che mostra momenti di vita fuori e dentro lo studio. Angelina Mango si guarda allo specchio e lascia entrare gli ascoltatori nel suo vissuto più profondo, parlando anche apertamente del disturbo alimentare nell’unico feat del disco, ioeio con Madame. caramé è un album ricco di scorci di vita (e sonori) che ci mostrano Angelina in una veste inedita, ma che le calza perfettamente. (RP)

6. Salmo – RANCH

Un album nato dall’isolamento, il migliore del rapper dal 2018. Lo si può definire un concept per temi e racconti – CRUDELE è il picco di storytelling con FIGLIO DEL PRETE – ma è anche un disco che racchiude tutte le sue influenze. Salmo si diverte e trova conforto nel giocare con il punk rock in SINCERO mentre nell’autoprodotta SANGUE AMARO rappa e canta tra R&B e accenni gospel. C’è anche l’elettronica che si mescola con il pop in CONTA SU DI ME con la produzione di Cripo che giganteggia. La presenza di Kaos in BYE BYE è una chicca. La sua strofa è un colpo al cuore e mette i brividi. Il pezzo che sembra racchiudere tutto il senso del disco e la sua genesi è INCAPACE: il rumore della pioggia, un arpeggio semplice di chitarra, due accordi e la voce ruvida che canta le verità (o le bugie). (SV)

5. Fabri Fibra – Mentre Los Angeles brucia

Che cosa aumenta il peso specifico di un album? Il tipo di featuring scelti? Di campionamenti? O già solo il nome dell’artista che ha scritto la storia di un genere in Italia negli ultimi 30 anni? In Mentre Los Angeles brucia di Fabri Fibra c’è ovviamente tutto questo. C’è la scelta azzeccata di coinvolgere gli artisti giusti, da Joan Thiele a Papa V e Nerissima Serpe, da Tredici Pietro a Gaia e Massimo Pericolo. E poi c’è l’attacco dell’Avvelenata di Guccini. E potremmo fermarci qui. Ma ci sono soprattutto i testi che diventano sempre più importanti man mano che si procede con la tracklist dell’album. Con Tutto andrà bene, si parla di cyberbullismo senza esagerare i toni, ma l’effetto è ancora più travolgente. Con Mio Padre Fibra si rivolge a suo papà con sincerità e senza alcuna ipocrisia, mentre in Figlio si rivolge a quello che non ha mai avuto. Passando da beat e mood completamente diversi siamo davanti a quella che nel 2025 potremmo definire un’opera completa. (SD)

4. Ele A – Pixel

In un anno come il 2025, in cui ci sono stati dei ritorni molto significativi, uno degli album che ha avuto più rilevanza è stato sicuramente Pixel, il debutto, anche se non sembra, di Ele A. Certamente, la rilevanza è dovuta al fatto che di rapper donne brave in Italia (anche se lei è di Lugano), non ce ne sono moltissime, ma non è ovviamente solo per quello. Un album fresco, con un flow impeccabile, trovate testuali originali, produzioni ottime (tra l’altro spesso della stessa rapper svizzera). Poi anche per i feat scelti: da Guè a Colapesce e da Gaia a Sayf e Promessa. Ele A ha tutte le carte in tavola per diventare davvero grande, non ultima una attitude consapevole ma mai eccessiva e arrogante. (SD)

3. i cani – post mortem

Il Circolo degli Artisti ha chiuso da un po’ – così come altri spazi centrali per la cultura, ma questa è un’altra storia -, Lucio Corsi ha preso il posto di Vasco Brondi che parla appoggiato sul muro con la ragazza di qualcuno, Vice ci ha lasciato orfani, le velleità aiutano ancora a campare e forse a scopare, i soldi per mangiare, i dischi, i videogiochi e basta sono ancora le uniche cose pratiche che vorremmo avere in testa. Tante cose sono cambiate, tante sono ancora cristallizzate lì, in quegli anni che forse sono l’unica vera nostalgia che abbiamo e che i cani hanno immortalato come nessun altro. Un disco di Niccolò Contessa lo aspettavamo dal 2016 – da quando aveva deciso di Sparire, una cosa a cui un po’ avevamo fatto l’abitudine e un po’ no -, ed è arrivato così, in una mattina di aprile: un ritorno silenzioso ma che ha fatto rumore per chi ha voluto sentirlo. Un requiem che è una rinascita, un punto fermo di una generazione che, nonostante tutto, vuole ancora credere di poter essere felice e per cui a contare non saranno mai i vestiti che porta o le scarpe che mette, ma sempre i dischi, i bagni nel mare e l’umanità. (GV)

2. Tredici Pietro – NON GUARDARE GIÙ

Il punto della questione è che bisogna imparare a liberarsi dai pregiudizi. Per questo disco basterebbe trovare il tempo di iniziare ad ascoltare il brano d’apertura per cambiare idea. “Cambiare” è il verbo di NON GUARDARE GIÙ: Pietro non ha più i “denti da latte” e ha fatto pace con le paranoie, le dipendenze e con Milano. Bologna la ritrova in una vena cantautorale che cambia i connotati dei suoi pezzi: più suonati (dal vivo si esibisce con una band) e autentici. Suo padre non è più una presenza ingombrante con cui fare i conti, ma diventa un correlativo (s)oggettivo da cui partire. Da lui “ha capito il valore dei soldi”, ma soprattutto ha ripreso l’innata qualità di vivere il palco nelle viscere. Un album che piace a chi piace il rap, pur non essendo rap, un disco che adorerete se vi piace il cantautorato, vi basterà guardare su. (SV)

1. Andrea Laszlo De Simone – Una lunghissima ombra

Senza girarci troppo intorno, Andrea Laszlo De Simone è il miglior cantautore della sua generazione. Uno che se ne frega dei cosiddetti “numeri” e delle strategie promozionali: solo un artista con le sue canzoni, nelle quali riversa un respiro esistenzialistica con una semplicità e un’immediatezza che paiono un dono raro. Il suo nuovo, lungo album (diciassette brani, oltre un’ora d’ascolto) è il progetto che lo consacra da artista di culto (particolarmente amato anche oltralpe) a protagonista della scena cantautorale italiana, prendendo in mano il testimone direttamente dai grandi degli anni ’60, soprattutto dalla scuola genovese storica. Così evocativo tanto nella strumentazione e negli arrangiamenti quanto nell’essenzialità di testi che vanno dritti al punto, senza orpelli retorici, alla maniera di Ungaretti o Montale, il passatismo di Andrea Laszlo De Simone è la naturale reazione di un artista che non si riconosce nella contemporaneità del mercato discografico ma che proprio per questo è – per citare Pasolini – “più moderno di ogni moderno”. (FD)

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