Si può essere un industry plant e allo stesso tempo avere talento? Il caso di Lorenzza
Avremmo avuto un approccio diverso nell’ascolto dell’EP di debutto della rapper italo-brasiliana se fossimo stati all’oscuro del supporto che ha avuto? Perché se inizialmente la maggioranza lodava le sue capacità, ora sembra essere diventata la personificazione di tutti i mali della musica? Le risposte, probabilmente, stanno nel mezzo
Nelle ultime ore c’è un dibattito che sta infiammando i social, e in particolare il circuito di persone che segue attivamente il rap italiano e i nuovi nomi che lo popolano. Lorenzza, giovanissima rapper italo-brasiliana, è davvero un progetto costruito a tavolino che l’industria discografica vuole propinarci, aka – come si suol dire – l’ennesimo industry plant? Mettendo insieme i pezzi del puzzle, la risposta sembrerebbe essere di sì, ma la questione apre a considerazioni più complesse.
Parliamo infatti di una comunicazione social massiva e mirata fatta di piccoli brani che in breve tempo hanno catturato l’attenzione dei più e che, data la cura di ogni minimo dettaglio per creare un’estetica ben precisa, hanno fatto intuire a molti che dietro a quei freestyle apparentemente homemade e “indipendenti” ci fosse in realtà un team – e un budget – molto più corposo. L’hype creato dal fatto che di lei non si conoscesse nulla se non la sua musica. Il fatto che sia arrivata a pubblicare un EP distribuito da una major con nomi del calibro di Nayt, Night Skinny e Rkomi senza uno “storico” di pezzi già pubblicati. La benedizione di una leggenda come Tormento e un props nelle storie da parte niente meno che di Sfera Ebbasta, raggiungendo dunque nell’immediato risultati che solitamente (e solo quando le cose vanno per il verso giusto) vengono conquistati step by step.
Lorenzza: colmare un vuoto di mercato o una mancata rappresentanza nella scena?
Anche noi di Billboard Italia – colpiti dalla sua scrittura e dall’innegabile potenza del racconto di una vita che sembra averla resa molto più matura rispetto alla sua giovane età – ad agosto le avevamo dedicato un post definendola come una possibile next big thing del rap italiano. La polarizzazione di opinioni che si creò sotto a quel contenuto, tra chi concordava con noi e chi sosteneva che invece ci trovassimo di fronte a un prodotto da laboratorio ben architettato, fu però motivo di riflessione.
Intendiamoci: credo ancora che Lorenzza sia una potenziale rising star del genere. Eppure non posso fare a meno di chiedermi se sono davvero caduta in una “trappola” di un’industria che mi stava dando proprio quello che stavo cercando, una ragazza che ha una storia da raccontare e lo fa rappando bene – seppur in modo ancora acerbo -, con numerose reference e – apparentemente – realness. E ancora se ciò che mi ha colpito di lei sia reale o un’immagine artefatta ad hoc più per colmare un vuoto di mercato che per una sentita mancanza di rappresentanza nella scena. Una rappresentanza di cui Lorenzza sembra farsi perfetta portavoce nei suoi pezzi.
Le donne nel rap non godono del privilegio di coesistere
I suoi testi sono viscerali e dipingono una realtà diversa da quella che siamo abituati a sentire. La rapper italo brasiliana fotografa in modo vivido un contesto fortemente e fieramente matriarcale. E lo fa da un punto di vista inedito per il rap italiano. Quello di una ragazza, che qui si sostituisce a quello del maschio che l’unico affetto sincero che conosce è quello materno. Uno scenario crudo, in cui l’amore si mischia troppe volte con la violenza, le donne sono state graffiate da una vita talvolta ingiusta (e soprattutto dalle varie figure maschili). E per questo sono dovute crescere troppo in fretta potendo contare solo su loro stesse.
Come sempre quando si parla di donne nel rap, qualcuno ha subito cercato di metterla a confronto con Anna o Ele A (perché si sa, se i maschi possono giocare alla pari coesistendo nello stesso campionato, alle ragazze questo privilegio non è concesso: deve per forza esserci una che primeggi sulle altre). Ma la verità è che le tre raccontano un vissuto completamente differente che fa cadere ogni possibile paragone.
Da mercoledì poi, ossia il giorno in cui è uscito A Lorenzza, il suo primo EP ufficiale, il nome di Lorenzza si è fatto sempre più presente sui social. Ma purtroppo non per i motivi per cui bisognerebbe parlare di un artista emergente al suo debutto. Se infatti poco o nulla si è detto sulle dieci tracce che compongono il progetto, molto si sta dicendo su quanto Lorenzza meriti o meno di occupare il posto in cui si trova.
Le domande che sorgono sul progetto di Lorenzza
E questo interferisce senza dubbio in modo assillante con l’unico parametro che dovremmo seguire quando parliamo di un album. La distinzione tra bella musica e brutta musica. Il progetto di Lorenzza è valido di per sé o lo è perché con un team così strutturato dietro e un lavoro così minuzioso non poteva che essere altrimenti? Ci troviamo di fronte a un EP realmente mediocre o siamo portati a considerarlo tale per partito preso?
Avremmo avuto un approccio diverso nell’ascolto di A Lorenzza se fossimo stati all’oscuro del supporto che ha avuto suo progetto? Quanto il nostro giudizio sulle sue capacità può essere davvero obiettivo e non filtrato da ciò che ci fa storcere il naso? Perché se inizialmente la maggioranza lodava le capacità di questa ragazza, improvvisamente sembra essere diventata la personificazione di tutti i mali della musica? Le risposte a tutti questi quesiti probabilmente stanno nel mezzo.
La polemica sempre più insistente ci ha infatti distratti da ciò che dovrebbe stare al centro del dibattito. Tanto che una buona fetta di coloro che riducono Lorenzza (solo) a un industry plant dice apertamente di non voler dare nemmeno una chance al suo EP che è a tutti gli effetti un buon prodotto da molti punti di vista. Allo stesso tempo, però, non possiamo immedesimarci nei panni di tutti quegli emergenti che sentono di essere stati scavalcati da qualcuno che ha incontrato le persone giuste al momento giusto. O, ancora, capire coloro che faticano ad avere un’idea della musica di Lorenzza che sia completamente pura e non contaminata dal contorno poco chiaro.
Quanto i pregiudizi interferiscono nell’ascolto?
Se da un lato, infatti, la musica dovrebbe essere svincolata da pregiudizi che possano portarci a pensare che un prodotto non sia meritevole a prescindere, dall’altro i preconcetti – che siano essi politici, etici, di semplice antipatia o simpatia o, come in questo caso, che derivano dall’idea che il sistema meritocratico nell’industria presenta indubbiamente delle falle – sono (purtroppo) profondamente insiti nella natura umana e non lasciarsi condizionare spesso è più complicato di quanto pensiamo.
Insomma, alla luce della rapidità dell’ascesa di Lorenzza non possiamo escludere che su di lei sia stato fatto un massiccio e quasi da manuale lavoro di branding in laboratorio. Ma dall’altra parte ci domandiamo: se tutto questo bastasse per prendersi un posto nel gioco, allora perché non creare prima altre cento Lorenzza? È possibile che ci troviamo di fronte a un’intrustry plant che ha talento? Noi ancora non sappiamo dirvi da che lato ci schieriamo (ammesso e non concesso che ci sia davvero una parte da prendere), ma di una cosa siamo certi. Che il tempo nella musica è galantuomo e impietoso allo stesso tempo, e solo lui potrà dirci se questa ragazza diventerà una vera Goat Bitch. O, al contrario, darà ragione a coloro che pensano che la stella di Lorenzza sarà una meteora. Luminosa, sì, ma pur sempre fugace.