Lucio Battisti odiava le interviste. Lo ricorda Marta Blumi Tripodi in “Quel gran genio”
La ritrosia verso le conversazioni con i giornalisti nacque pian piano, quando l’artista vedeva come le sue dichiarazioni venivano travisate. E gli altri artisti lo vedevano bene? Insomma. Leggete l’estratto dal libro della giornalista musicale
Un libro su Lucio Battisti non è certo una novità assoluta nel panorama editoriale italiano. Non è da tutti però scrivere dell’artista in modo leggero, divertente ma preciso e rigoroso come si può leggere in Quel gran genio, Aneddoti e storie curiose su Lucio Battisti, un gigante della musica italiana di Marta Blumi Tripodi (Cairo Editore). Nel volume ci sono davvero tanti aneddoti curiosi ricostruiti in maniera precisa dalla scrittrice e giornalista musicale. In un percorso a ritroso, dalla rinascita della sua etichetta Numero Uno agli esordi.
Qui riportiamo un estratto dove viene raccontata la genesi di una certa ritrosia da parte di Battisti a farsi intervistare. Come dargli torto? Spesso le sue affermazioni dirette venivano travisate e lui diventava sempre di più oggetto di attenzione morbosa da parte della stampa. E come lo vedevano poi gli altri artisti? Ne esaltavano il genio (appunto…)? Non proprio. Questo atteggiamento vi ricorda qualcosa magari quando leggete i commenti della vecchia guardia contro i rapper di oggi?
Il libro su Lucio Battisti di Marta Blumi Tripodi “Quel gran genio”
Al principio della sua carriera Lucio Battisti, forse anche dietro consiglio dalla sua etichetta, si prestò in apparenza di buon grado alle richieste della stampa. C’è chi sostiene che si rese addirittura volontariamente protagonista di alcuni finti scoop orchestrati ad arte: il caso più celebre è quello del presunto flirt con la cantante inglese Julie Driscoll, che nacque e tramontò nell’arco di un istante, ma durò a sufficienza per finire al centro di un servizio fotografico posato di Tv Sorrisi e Canzoni dal titolo «Sensazionale! Lucio Battisti ama Julie Driscoll!».
(Curiosità: nell’articolo che accompagna il servizio c’è un’ampia sezione dedicata ai capelli di Driscoll, che in quel periodo li portava cortissimi, contrariamente ai dettami della moda italiana. Come nel caso dei riccioli di Lucio, durante l’intervista il giornalista appariva molto interessato all’haircare di Julie, soffermandosi a lungo su domande relative al taglio e alla cura quotidiana della sua chioma. Tra le cose che i due avrebbero avuto in comune e avrebbero fatto scattare la scintilla, stando a quanto riportato dalla rivista, ci sarebbero state proprio le loro insolite manie tricologiche. Ai tempi bastava poco per innamorarsi, a quanto pare).
Lucio Battisti e l’inizio del suo odio per le interviste
Dopo questi iniziali slanci, però, la sua presenza mediatica cominciò a ridursi progressivamente: già dai primi anni ’70, quando Battisti aveva ormai preso coscienza dei meccanismi della fama, il numero di interviste che era disposto a rilasciare era drasticamente calato. Uno dei motivi principali era che si era reso conto che la sua franchezza veniva spesso travisata sia dai cronisti che dai lettori.
«Difetti ne ho tanti che non so quale sia il peggiore: forse il dire sempre quello che mi passa per la testa» dichiarava a Bella nel 1979. «E siccome quello che mi passa per la testa è frutto di un ragionamento, ma io non spiego il ragionamento e sbatto in faccia solo la conclusione, sembro più spietato di quello che sono».
A dirla tutta, la sua sincerità era un’arma a doppio taglio: se da una parte alcune sue affermazioni parecchio tranchant si prestavano a fraintendimenti, dall’altra facevano emergere un personaggio vero, non costruito, perfettamente consapevole di quanto sia precaria la posizione di un artista all’apice della sua carriera. Nel 1970, intervistato da Novella, rispondeva così a chi lo accusava di essersi montato la testa dopo il successo, diventando sempre più chiuso e scontroso.
Lucio Battisti sulla volubilità del pubblico in un’intervista a Novella
«Non è il successo che mi fa paura: sono tutte le manifestazioni esteriori legate al successo che mi spaventano, è l’incredibile leggerezza e volubilità del pubblico che mi sgomenta» spiegava. «Quando un cantante è al massimo della popolarità, la gente vuole tutto da lui. Pretende di sapere cosa mangia, che cosa fa, quando dorme e come ama. Appena però questa popolarità finisce, a nessuno viene più in mente di chiedersi se il tale o il tal altro riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Si potrebbero fare centinaia di nomi di persone cadute in disgrazia che patiscono la fame».
Nella stessa intervista arrivava a definire il pubblico «un’entità astratta, un mostro incomprensibile». Per una persona timida e riservata come Lucio, in effetti, ritrovarsi al centro dell’attenzione di una massa di sconosciuti non dev’essere stato affatto semplice, e poco importa se era stato lui il primo a cercarla, quell’attenzione. Spiegava il suo disagio con una sincerità disarmante: «Per ora sono un divo, un prodotto che si vende, una cosa che va di moda e quindi piace. I fan chiedono l’autografo, le ragazze vogliono toccarmi, baciarmi, i giornalisti parlano di me, i fotografi pretendono che io mi metta in posa. Ma a quante di queste persone interessa ciò che penso, quante di loro sarebbero disposte a fare qualcosa per aiutarmi se ne avessi bisogno?» argomentava. «Io non sono un presuntuoso né un orso, sono soltanto un individuo che non vuole lasciarsi “consumare”. Non intendo concedermi sempre e a priori soltanto perché sono diventato un personaggio pubblico».
Lucio e i giri di notte per conoscere la natura umana
I fan si fecero ben presto una ragione del desiderio di privacy di Lucio: come è riportato da più e più fonti, andava in giro abitualmente da solo e indisturbato, senza dover adottare accorgimenti da star per eludere eventuali ammiratori molesti. Nei quartieri milanesi dove visse a lungo, Lorenteggio e Città Studi, era un habitué di giardinetti, negozi e supermercati, dove si recava personalmente a fare la spesa o a passeggiare con la famiglia. Amava anche frequentare i locali aperti fino alle prime luci dell’alba, non perché fosse particolarmente dedito alla bella vita, ma perché era convinto che la natura più autentica del genere umano emergesse proprio a tarda notte. Il vicinato era molto protettivo nei suoi confronti, e lo aiutava ad eludere i curiosi e i molesti nascondendolo dietro una sfilza di «Non so», «Qui non l’ho mai visto», «Sì, ogni tanto passa ma tanto non lo riconoscereste, non si dà arie da divo».
La stampa, al contrario, non accettò mai che Lucio fosse così diffidente nei suoi confronti: in gran parte se la legò al dito. Senza farne mistero, peraltro. In effetti il suo rifiuto di apparire era un’anomalia del sistema, in un periodo storico in cui tutti coloro che facevano parte del mondo dello spettacolo vivevano costantemente davanti all’obbiettivo e il concetto di privacy era molto relativo. Ma giornalisti e fotografi vivevano il suo rifiuto come un insulto al loro mestiere, una minaccia all’esistenza stessa delle cronache di costume. Come se Battisti non capisse che anche loro dovevano lavorare, e che il loro lavoro era parlare di lui.
L’articolo acido di Sogno del 1972 contro Battisti
Per fare un esempio su tutti, presentiamo un estratto particolarmente acidello da un articolo di Sogno del 1972.
«Stanza del direttore, ore 17.00. Personaggi: il direttore, un fotoreporter, una redattrice (io). Direttore: “Stasera Lucio Battisti è al night X. Fotografatelo e fatelo parlare”. Night club (un ritrovo assai esclusivo, nel cuore di Milano), notte alta. Lucio è seduto a un tavolo con un gruppo di amici. Fotografo e redattrice (a una voce): “Scusi, Battisti, dovremmo rivolgerle qualche domanda e scattarle alcune foto. Sa, il nostro direttore…”. Battisti (secco): “Non faccio mai foto. E non concedo interviste. Ho altro da fare”. Niente foto, dunque, niente intervista. Perfino Bob Dylan, perfino Donovan, perfino i Beatles in talune occasioni sono usciti dai loro fortini dorati, ma lui no, lui non si concede. Il signor Battisti non ha tempo da perdere. Viene da chiedersi perché questa divinità vaga e irraggiungibile dell’olimpo canzonettistico abbia scelto di fare il cantante».
La stampa si incattivisce sempre di più
Pezzi del genere non costituiscono certo un’eccezione: più Lucio Battisti si negava, più i toni sembravano incattivirsi. C’era chi si limitava a fare notare che, quando gli aveva fatto comodo, Battisti la pubblicità l’aveva cercata eccome, anche a costo di abbellire un po’ la verità:
«Quando era agli inizi, e le interviste le cercava anche se già cercava di condizionarle parlando soltanto della sua bravura e delle sue idee artistiche», riportava sempre Sogno, «non smentiva la versione (fornita dagli uffici stampa) che avesse compiuto severi studi musicali diplomandosi in un Conservatorio, e avesse anche perfezionato la sua esperienza all’estero. C’era ben poco di vero».
E poi c’era chi si lanciava in descrizioni ben più maligne del personaggio, attingendo alle uniche fonti disponibili, cioè ai pettegolezzi, visto che il diretto interessato non rilasciava più dichiarazioni. Come questo articolo di Novella, che lo descriveva così.
Battisti, individualista, orso, con pochissimi amici
«È individualista, orso e non si affeziona quasi a nessuno. Ha pochissimi amici e anche con quelli non è molto espansivo. Loro però, pur conoscendo tutti i suoi difetti, lo amano lo stesso e di tanto in tanto cercano la sua compagnia. Non è generoso, non è buono ma non è neppure cattivo, dicono. Nel lavoro è estremamente intransigente e poco comprensivo per gli errori degli altri» sentenziava. E ancora: «Vive esattamente come non piace alle femministe. È il maschio di casa, autoritario ed esclusivista. Fa le vacanze sulla riviera adriatica in un posticino riservato e tranquillo, dal quale non escono né sua moglie né suo figlio per paura di essere sorpresi da qualche fotografo. In casa gira in ciabatte e con un paio di vecchi pantaloni. Con lo stesso abbigliamento qualche volta va a fare la spesa. È parsimonioso, quasi tirchio. Non è colto ma è estremamente intelligente».
Battisti si è montato la testa e in fondo non merita il suo successo
La tesi di molti giornali – o almeno, quella che sembrava trapelare tra le righe dei loro editoriali – era che Battisti si era montato la testa, e che il suo comportamento da eremita mediatico si addiceva più al papa o al Presidente della Repubblica che a un cantautore di musica leggera. Nel tentativo di far passare questo messaggio, alcune testate si lasciarono prendere la mano più di altre, arrivando a insinuare che il suo non fosse un talento poi così genuino, e che il successo ottenuto fosse in fondo immeritato. Passò alla storia un’inchiesta di Oggi datata 1972, intitolata semplicemente «Battisti è davvero un fenomeno?». All’interno dell’articolo, in maniera un po’ pretestuosa, venivano interrogati diversi illustri professionisti dell’industria musicale, a cui venivano posti quesiti come «Questo Battisti è davvero un piccolo genio musicale?», o «Quanti anni potrà durare ancora il suo successo?».
Le risposte dei suoi colleghi apparivano se non altro meno tendenziose delle domande, anche se in questo frangente non spiccavano certo per entusiasmo. Diceva Giorgio Gaber.
Giorgio Gaber e Domenico Modugno su Lucio Battisti
«Non è, intendiamoci, che la sua sia musica d’avanguardia: è soltanto musica di consumo, però tenuta a un certo livello. In questo ambito consumistico, Battisti è oggi il personaggio più valido. È soprattutto un personaggio di moda. Potrà durare perché alla base ci sono delle qualità».
Anche Domenico Modugno non si allargava troppo. «Non parliamo di genio, è un ragazzo di talento che ha saputo riprendere e fare suo un certo genere musicale straniero. Se continua a produrre col ritmo di oggi, c’è pericolo che in pochi anni si inflazioni. Ma penso che abbia tali risorse in sé da riuscire, in caso di crisi, a presentarsi con una nuova faccia, un nuovo stile».
Di analogo avviso anche Renzo Arbore, che all’epoca era ideatore, autore e occasionalmente conduttore dell’unico programma radiofonico nazionale dedicato alla musica rock, Per voi giovani. «Geni musicali per me sono Charlie Parker, Armstrong, Bach. Diciamo che Battisti ha molto talento».
Nello stesso servizio, però, altri nomi all’epoca parecchio noti intervenivano a stroncarlo senza appello. Le loro esternazioni avevano un peso, perché erano professionisti di lungo corso. Appartenevano in gran parte a una generazione molto lontana da quella di Lucio: si trattava di personaggi che avevano alle spalle anni di studi formali, e avendo forgiato il loro gusto tra gli anni ’40 e i ’60 erano saldamente ancorati a una visione tradizionale della musica. Interpellarli sull’argomento appare una scelta un po’ strumentale e tesa a virare il discorso in una direzione ben precisa, perché è evidente già in partenza che la loro mentalità era lontana anni luce da quella di Battisti. Anche in questo caso, rileggendo le loro parole sembra di guardare un film molto più recente: avete presente i giudizi di un qualsiasi cantante degli anni ’60 nei confronti dei rapper di oggi? Ecco.
Le critiche dei direttori d’orchestra
Affermava Gianni Ferrio, direttore d’orchestra, arrangiatore e compositore: «Battisti è soltanto uno che ha indovinato quello che vogliono i ragazzi oggi. Quando le sue canzoni le canta Mina, sono tutta un’altra cosa. Lui piace ai ragazzini, ma non si può considerare un cantante».
Rincarava la dose Aldo Buonocore, direttore d’orchestra per la tv nonché compositore di opere minori come Papà ritorna bambino, brano presentato al quinto Zecchino D’Oro. «Lui dovrebbe del tutto astenersi dal cantare. La sua voce è una lagna, uno strazio: non è un romano, è un arabo».
Riz Ortolani, anche lui direttore d’orchestra e creatore di musiche per il cinema, si spingeva ancora più in là con il suo giudizio. «È un talento alquanto limitato, chiuso in un determinato tipo di musica, per giunta scopiazzata. Noi italiani siamo tanto stupidi che accettiamo tutto. È la sua furbizia contadina che gli suggerisce di centellinare le apparizioni sui giornali, alla tv, in pubblico. È l’unico modo per non bruciarsi e creare curiosità».
Il colpo di grazia di Augusto Martelli
A dargli il colpo di grazia era però l’opinione di un suo quasi coetaneo, Augusto Martelli, che i ruoli di cui sopra li aveva ricoperti un po’ tutti (arrangiatore, compositore per il cinema e la tv, direttore d’orchestra, ma anche produttore discografico). «Battisti è un dilettante spaventoso. Essendo un fenomeno di suggestione collettiva, non durerà a lungo. Del resto, avete notato che ogni suo pezzo nuovo fa dimenticare il precedente, che nessuno rimane quale pietra miliare della musica leggera come invece è accaduto con E se domani, Senza fine, Il cielo in una stanza!». Martelli si era fatto una sua idea anche sul sodalizio con Mogol: «Mogol è Battisti. Non solo per la funzione dei testi, ma per tutta l’enorme organizzazione che gli ha creato attorno al fine di farne un personaggio. O meglio, un pallone gonfiato».
Tanto per sottolineare ulteriormente la natura dubbia dell’operazione mediatica in questione, l’articolo era accompagnato da un’unica foto: uno scatto in apparenza rubato di Lucio e Grazia Letizia abbracciati e sorridenti. Il significato sottointeso sembrava essere inequivocabile: se da parte loro ci fosse stata più disponibilità ad aprirsi e a concedersi, forse i giornali non avrebbero ritenuto necessario riempire le loro pagine con così tante spiacevolezze.
Lucio Battisti e Grazia Letizia Veronese al centro dell’attenzione morbosa
Nonostante già da tempo non fosse più una novità, la relazione tra Battisti e Veronese continuava a essere al centro dell’attenzione generale a tenere incollati ai tabloid milioni di italiani. (La sua compagna era considerata una figura talmente centrale, nella narrazione del Battisti musicista, veniva evocata perfino nell’ambito delle recensioni dei suoi album, sempre con il solito tono non proprio conciliante. «Mogol racconta esperienze vissute, crisi sentimentali e ideologiche pagate di persona; Battisti in fondo è il buon ragazzo di campagna che da cinque anni è appiccicato alla stessa ragazza e che, per darsi un certo atteggiamento, le ha fatto mettere al mondo un figlio con qualche anticipo sul matrimonio di cui non si sa ancora se è stato celebrato o meno», recitava quella de Il nostro caro angelo pubblicata da Oggi.)
I paparazzi si scatenano. Alcuni si infilano nella clinica dove è nato il figlio
Dato l’interesse per l’argomento, e dato che i diretti interessati erano parecchio restii a condividere la loro quotidianità, l’unica soluzione che era venuta in mente ai direttori delle varie testate per colmare il gap era stata quella di farli tampinare dai paparazzi, che si appostavano letteralmente sotto casa loro in attesa che stendessero il bucato, uscissero per annaffiare i fiori o andassero al supermercato. Sia chiaro, non si tratta di un’iperbole: tutti e tre gli esempi precedenti sono tratti da altrettanti servizi realmente pubblicati. Narra la leggenda che due fotografi riuscirono ad infiltrarsi perfino nella clinica dove nacque il piccolo Luca Battisti, prima di essere (giustamente) cacciati in malo modo. Quando non riuscivano a reperire informazioni di prima mano, chiedevano a chi sembrava saperla un po’ più lunga: vicini di casa, conoscenti, amici, impiegati dell’etichetta di Mogol e Battisti. I resoconti che ne risultavano erano spesso coloriti e fantasiosi.
Nasce un vero e proprio filone di interviste a chi lo conosceva
In quel periodo, infatti, sorse un lungo filone di articoli che potremmo intitolare «La vita segreta di Battisti»: di fatto si trattava di una raccolta di tutte le notizie note – vere o presunte – sui gusti, le abitudini e gli hobby di Lucio. Era un grande appassionato di fantascienza, tanto che oltre a divorare romanzi su romanzi ne stava scrivendo uno. Disegnava fumetti, anzi no, dipingeva. Era un astronomo dilettante e osservava le stelle tramite un telescopio. Si era comprato due macchine, una modesta 500 e un’Alfa 1300, e un appartamentino a Rimini, vicino al porto, ma erano i suoi unici lussi: non aveva neppure una cameriera.
Amava leggere libri sulle più svariate materie, perché si considerava uno studioso autodidatta. Andava in palestra (un’attività che, nota per la Gen Z, ai tempi veniva buffamente definita «fare educazione fisica», anche quando veniva portata avanti al di fuori dell’orario scolastico). Cavalcava al maneggio. Della sua fissazione per i locali veraci aperti fino a notte fonda abbiamo già detto.
Si arriva al tentato rapimento del figlio. Mai confermato ufficialmente
Ma in questa smania di divulgare i retroscena del suo tran tran personale e familiare, come era prevedibile, si finì per perdere il senso del limite, rivelando dettagli che per ovvie ragioni sarebbe meglio mantenere sempre riservati. Fu così che nel 1975, in un periodo in cui i sequestri di persona erano all’ordine del giorno, sfruttando informazioni facilmente reperibili una banda di malintenzionati tentò di rapire Luca per chiederne il riscatto. La notizia non fu mai confermata né smentita dagli inquirenti, ma il Corriere della Sera ne dava ampio riscontro. «Il tentativo di rapimento sarebbe avvenuto mercoledì scorso poco prima di mezzogiorno, in un giardino pubblico alla periferia cittadina, vicino all’abitazione segreta del cantautore» scriveva il cronista.
Tanto segreta non era, in realtà: praticamente non c’era un solo giornale scandalistico (e non solo) che non ne avesse riportato almeno una volta l’indirizzo esatto, con tanto di via e numero civico. «Il piccolo Luca, di due anni e mezzo, accompagnato dalla baby sitter era ai giardini per la consueta passeggiata. A casa la ragazza ha raccontato la terribile avventura a Lucio Battisti e a Grazia Letizia Veronese, i quali avrebbero deciso di trasferirsi immediatamente altrove, in una località sconosciuta. Si sarebbero rifugiati a Poggio Bustone, il paesino vicino a Rieti dove abitano i genitori del cantante, oppure in Svizzera».
Da quel momento in poi, piuttosto comprensibilmente in fondo, la famiglia Battisti si trincerò dietro a un muro ancora più alto di quelli eretti in precedenza, trascorrendo periodi sempre più lunghi all’estero e sottraendosi con maggiore determinazione alle attenzioni indesiderate della stampa.