Top Story

Mace al Forum: una meravigliosa e catartica allucinazione collettiva

Lo show del producer milanese è una vera e propria Out of Body Experience fuori da tutto: dal tempo e dallo spazio, dalle costrizioni mentali, dal controllo, dall’individualismo e da quel corpo che non appartiene più a noi, ma alla musica che fluisce

Autore Greta Valicenti
  • Il19 Ottobre 2024
Mace al Forum: una meravigliosa e catartica allucinazione collettiva

Mace in concerto all'Unipol Forum, foto di Luca Marenda

Le note finali de La canzone nostra si propagano nello spazio. Le luci mano a mano si alzano. Mace e la sua console, dall’iperuranio in cui erano stati per il momento più elettronico e liberatorio dello show, riascendono sulla terra, come dopo un lungo viaggio senza meta. Spogliatosi di quell’aura mistica e potente che lo ha naturalmente investito per le ore precedenti, Mace torna ad essere Simone e, nell’ovazione generale, chiama con sé al centro del palco tutti coloro che lo hanno accompagnato in questa serata per quello che più che un saluto al pubblico sembra la celebrazione della riuscita di un’impresa titanica in cui ciascuno dei presenti ha messo anima e corpo. Musicisti, artisti, tecnici: tutti devono godere di questo momento, perché tutti hanno contribuito a crearlo. E proprio questa immagine è la chiave per comprendere ciò che è stato il concerto di Mace al Forum di Milano.

mace forum concerto milano
Mace in concerto all’Unipol Forum di Milano, foto di Luca Marenda

O meglio, la sua Out of Body Experience, perché quella in cui il producer milanese ci ha trasportati nelle quasi tre ore di un ordinario venerdì sera è stata una dimensione ultraterrena fuori da tutto. Fuori dal tempo e dallo spazio, fuori dalle costrizioni mentali e dalle sovrastrutture, dal controllo. Da quel corpo che non appartiene più a noi, ma alla musica che fluisce.

Mace al Forum di Milano ha mantenuto salda la propria centralità

Ma soprattutto fuori dal concetto di individualismo. E infatti lo show di Mace a Milano è un rito collettivo sia sopra che sotto il palco, che per l’occasione diventa una sorta di bosco onirico (impreziosito dai visual psichedelici di Sugo Design) all’interno del quale si incastonano il produttore e la sua band (composta da Leo Vertunni al sitar, Raffale Scogna al basso, Enrico Gabrielli al sax e tastiere. E ancora Fabio Rondanini alla batteria, Danny Bronzini alla chitarra, Riccardo Cardelli ai synth e Sewitt e Leslie Sackey ai back vocals), riuscendo nell’impresa più ardua: mantenere salda la propria centralità. Una cosa ovvia ma non scontata quando si tratta di un producer live. Una tipologia di show in cui il rischio di finire relegati sullo sfondo surclassati dalla parata di stelle è dietro l’angolo.

E Mace lo aggira in modo magistrale, trovando come un funambolo navigato il perfetto equilibrio – quello stesso che si percepisce nei suoi album visionari – tra sé e i suoi ospiti. Rimanendo sempre protagonista ma mai egoriferito. Lasciando a ciascun artista il proprio spazio espressivo ma senza mai scivolare in secondo piano. La sua presenza, infatti, non è solo il fondamento dello show, ma è esattamente ciò che lo rende unico e che ci fa (quasi) dimenticare di qualche assenza.

Spingersi e spingere verso limiti inesplorati

Anche quando decide di osare inserendo in scaletta brani i cui ospiti non sono presenti (come Praise The Lord o Ragazzi della nebbia), il suo ruolo non si esaurisce (come spesso accade) nel “faccio partire la base così come è stata registrata in studio e lascio che siano le voci a fare il resto”. Ma impreziosisce, modifica, adatta e sperimenta, spingendosi e spingendo gli artisti verso suoni lontani – frutto dei suo innumerevoli viaggi fisici in ogni angolo del globo e quelli metaforici e psichedelici (di cui, attraverso le parole di Colapesce e Chiello racconta in Ayahuasca) – e limiti ancora inesplorati, in un mix di generi caleidoscopio (soprannaturale la pura elettronica di Hallucination + Impeto) che trova il proprio ordine perfetto nel caos.

Mace, amico di sempre e venerato maestro

E in questa meravigliosa e catartica allucinazione collettiva, tutti – mossi da un evidente legame umano ancor prima che professionale – si affidano generosamente e ciecamente alla sapiente follia artistica di Mace. Un po’ come si fa con gli amici di sempre (vedasi alla voce Jack The Smoker, Venerus, Joan Thiele, Cosmo, Coez e Gemitaiz, solo per citarne alcuni) e con i venerati maestri. Quello che si ha la sensazione Simone sia per Altea, Astro, Chiello, centomilacarie (la sua straziata Non mi riconosco è, insieme a Fuoco di paglia con Gemitaiz, Frah Quintale e uno straordinario Marco Mengoni, il momento più alto dell’intero show), ma soprattutto Blanco e Izi.

Se il primo – a cui spetta la chiusura della serata – si lascia andare in un lungo abbraccio liberatorio con il producer, il rapper genovese con una versione acustica e intensa di Chic sembra tirar fuori un tormento lacerante che, in quel momento, solo Mace sa comprendere e accogliere. E chissà che il suo viaggio non possa ripartire proprio da qui, da questa serata che – anche se solo per qualche ora – ci ha fatto dire Non vivo più sulla terra, ma in un luogo indefinito Oltre i confini del reale. Ed è stato bellissimo.

Share: