Martin Scorsese: «Il cinema si può fare ovunque, anche su TikTok»
Il leggendario regista ha ricevuto la Stella della Mole a Torino e ci ha rassicurato sul futuro della settima arte
Martin Scorsese ha incontrato i giornalisti al Museo del Cinema di Torino in occasione della consegna del prestigioso premio annuale “Stella della Mole”. Il suo viaggio in Italia, che proseguirà verso la Sicilia per visitare il set del documentario Shipwrecks of Sicily (di cui è produttore), ha incluso una conferenza stampa torinese durante la quale ci ha raccontato la sua visione sull’importanza di custodire ciò che è il passato del cinema ma anche di seguire costantemente l’evoluzione delle forme e dei canali espressivi che abbiamo a disposizione per comunicare.
Pioniere della rinascita del cinema indipendente americano e della “New Hollywood” di inizio anni ‘70 insieme a colleghi come Brian DePalma, Francis Ford Coppola e Paul Schrader (suo sceneggiatore per Taxi Driver e Toro Scatenato), sedici volte candidato agli Oscar e vincitore per la miglior regia per The Departed – Il Bene e il Male nel 2007, Martin Scorsese ha forgiato una carriera ultracinquantennale sopravvissuta ai cambi di generazioni, di industria cinematografica e di stili espressivi.
La “Rosebud” di Martin Scorsese
In questo straordinario percorso sembra esserci tutto, l’iconografia di mezzo secolo di cinema e la riscrittura del linguaggio filmico. Per questo, la conferenza stampa prende il via proprio da una curiosità: c’è un rimpianto, qualcosa di desiderato e mai concretizzato, nella carriera di Martin Scorsese?
«Credo che anche il migliore e più longevo filmmaker abbia la sua “Rosebud”», risponde il regista citando Quarto Potere di Welles. «Personalmente vorrei – o avrei voluto – realizzare un film “epico”, un kolossal scenografico simile ad alcune pellicole che ho amato da giovane, come Le Notti di Cabiria di Fellini o Metropolis di Fritz Lang. La mia carriera si è però consolidata in un periodo dell’industria in cui era difficile trovare il semaforo verde per un film di quel tipo. Fu Il Gladiatore di Ridley Scott, col suo successo, a rinvigorire il filone e portare i produttori a reinvestire su film così “ingombranti”».
La violenza nei film di Scorsese
In molti film di Martin Scorsese deflagrano sullo schermo tematiche tragicamente attuali, come la violenza personale e politica, che per il regista «piaccia o meno, è una componente intrinseca di noi uomini e delle società che abbiamo creato. Ed è stato così anche nella realtà newyorkese in cui sono cresciuto, un contesto sociale fatto di brave persone ma non solo. Ho visto persone cedere alla violenza per le motivazioni più disparate, mai nobili ma spesso dettate dalla disperazione o dalla paura. Non le giustifico, ma ho visto persone dignitose fare cose terribili. È questo lo specchio in cui il mio cinema e le sue rappresentazioni violente hanno cercato di riflettersi: le scintille che portano le persone a commettere atti violenti o criminali».
Un discorso che vale anche per il potere e il possesso territoriale, così come le idiosincrasie e rivalità etniche, religiose o di ceto sociale. «Quando ho diretto Gangs of New York non parlavamo solo di New York City o del 1862, nemmeno solo degli Stati Uniti. Così come in Killers of the Flower Moon non si trattava solo del raggiro e del massacro degli Osage. Era qualcosa di universale e reiterato».
Gli ultimi film
Killers of the Flower Moon, distribuito da Amazon, e The Irishman, prodotto e distribuito da Netflix, parlano di un’industria cinematografica in profondo cambiamento, dove la sala cinematografica non è più il tempio univoco della fruizione di una pellicola, neanche se quest’ultima porta la firma di un Maestro indiscusso: «Sono cresciuto nei cinema, alle proiezioni gremite di mezzanotte. Non posso immaginare un linguaggio cinematografico che non contempli il luogo fisico e collettivo. Però nel contempo ho imparato che un messaggio, un racconto o un modo di comunicare ad un pubblico si possono declinare nei modi più disparati e soprattutto devono adeguarsi ai modi di esprimersi delle nuove generazioni e alle nuove tecnologie».
E ancora: «Dobbiamo chiederci semmai se la fruizione di un film di tre ore come The Irishman cambia – e come cambia – se lo guardi nel tuo salotto da solo, con la possibilità di metterlo in pausa, mandarlo avanti o indietro, con le distrazioni che hai intorno, oppure se lo guardi al cinema, in una cornice più “assorbente”. Ma il dovere di un autore è anche quello di sintonizzarsi su come cambiano i suoi spettatori e i loro modi di fruizione. Chiedete a mia figlia, che è qui a Torino con me, e con la quale mi diverto a condividere contenuti sul suo TikTok…».
Il ruolo delle piattaforme digitali
Nella fattispecie, le piattaforme possono anche diventare la salvezza di alcuni progetti: «L’esperienza con Netflix per The Irishman è stata assolutamente positiva e costruttiva. Avrei voluto che il film rimanesse in sala per qualche settimana in più? Certo, ma credo che senza la fiducia artistica e il supporto economico di una piattaforma come Netflix il film non avrebbe neanche visto la luce. Quindi ho solo riconoscenza nei loro confronti».
Poi, un passo indietro a riflettere sullo Scorsese televisivo, un binomio forse mai sfruttato appieno nonostante il successo di Boardwalk Empire e l’esperienza di Vinyl: «Sono stati passaggi importanti e stimolanti, ma con dei limiti creativi. Ho sofferto il fatto di non poter gestire questi progetti nella loro globalità, ho diretto solo i piloti e poi non ho potuto dare continuità alla mia visione. Con questo non intendo sminuire il lavoro di chi ha diretto gli altri episodi delle serie, ma sicuramente non ho avuto modo di trasmettere la mia visione d’insieme. Avrei voluto fare come Paolo Sorrentino in The New Pope, per capirci».
The Film Foundation
Prima del commiato, Scorsese riceve dal direttore del Museo del Cinema uno scrigno contenente la pellicola delle scene tagliate de Le Notti di Cabiria, film preferito dell’ospite. Scorsese, commosso, ricorda l’importanza della sede storica in cui si trova e della conservazione degli archivi cinematografici. È anche l’attività della sua The Film Foundation, associazione fondata insieme ad altri diciannove registi coevi che opera ed educa alla conservazione e al restauro del materiale analogico cinematografico.
«Il progetto è nato nel 1990 insieme ad altri amici colleghi come Woody Allen, Robert Altman, Robert Redford, Francis Ford Coppola, solo per citarne alcuni», racconta Scorsese. «Perché siamo cresciuti in un contesto nel quale i film rischiavano quotidianamente di scomparire dalla faccia della terra, per un incendio in un magazzino di una casa di produzione o addirittura per la semplice usura del tempo. Era un incubo sapere che la pellicola e i negativi dei film che amavamo e che ci avevano spinti a intraprendere questo mestiere si potevano facilmente deteriorare nel giro di pochi mesi, assumendo un colore rossastro e diventando inutilizzabili. Da questo “trauma” è nata la volontà di proteggere le opere d’arte che abbiamo amato da ragazzi e tutto il materiale analogico. Per questo essere qui, in un vero e proprio tempio della conservazione, è un onore».
Articolo di Luca Zanovello