Ciao Massimo Cotto, il ricordo di Federico Guglielmi
Oggi 2 agosto, all’età di 62 anni, ci ha lasciati Massimo Cotto, giornalista, scrittore, autore, attore e conduttore radiofonico
Amico mio, compagno di avventure, fratello di musica, di professione, per varie cose anche di approccio alla vita. Rileggo la lunga intervista che ti ho fatto per Ciao 2001 il 9 luglio, poche ore dopo quella che è stata la tua ultima apparizione social. Trovo quello che ricordavo mi avessi detto e che, adesso, assume un altro significato, crudele. Si parlava della difficoltà di noi pur arzilli vecchietti a non scivolare nei rimpianti per un passato ormai dissolto, e te ne sei uscito così: «Specie negli anni ‘70, fino al grunge, le storie si potevano caricare di profumi e di odori molto forti. Oggi non hai molto da raccontare, ma cerco di non suonare mai nostalgico: ho sessantadue anni e, anche se so che la ragione è contro di me, voglio pensare che la parte più bella debba ancora venire!».
L’hai detto con convinzione e io non ho potuto far altro che sorridere, invidiando una volta in più la tua capacità di entusiasmarti, di lanciarti in nuove sfide, di cercare di cogliere il buono e il bello in ogni occasione. Riuscendoci, di solito.
Ho sempre adorato quella tua leggerezza, quel tuo continuo sdrammatizzare, fin dal giorno in cui ti ho conosciuto, la bellezza di quarant’anni fa. Io redattore/coordinatore del defunto Mucchio Selvaggio e tu nuovo, prezioso acquisto per il giornale, appena giunto a Roma dalla tua amata Asti per condurre Stereonotte. Ci siamo presi subito, perché amavamo le stesse cose e perché ci piaceva ridere e fare i cazzoni. Entrambi serissimi nel lavoro, ma liberi da quel sussiego e da quella (immotivata) puzza sotto il naso tipica – allora e ora – di troppi colleghi. Abbiamo fatto cose assieme per un bel pezzo, prima al Mucchio e in seguito a Velvet, per poi imboccare strade parallele ma convergenti, ricorrendo a un paradosso caro alla politica.
Io nel mio mondo più o meno “alternativo” e tu brillantemente inserito in quello major tra articoli, favolose interviste, trasmissioni radio, libri come se piovesse, organizzazione e presentazioni di rassegne di ogni genere, direzioni artistiche, spettacoli teatrali, impegni come autore dietro le quinte. Di tutto e di più compreso l’incarico di assessore alla cultura della tua città. Sempre preparatissimo, sempre fantasioso, sempre simpatico, sempre pronto alla battuta, sempre attento a non prenderti (troppo) sul serio, sempre educato. Sempre pronto a stupire e stupirti, come quando nel 2012 mi rivelasti che eri stato nominato Cavaliere della Repubblica e io credevo che mi stessi prendendo per il culo. (Nel 2021 toccò alla seconda onorificenza, Ufficiale della Repubblica).
Quante ne hai combinate, Massimo. Troppe per elencarle pure su Wikipedia. E chissà quante altre ne avresti fatte. Il mondo della musica e della comunicazione intelligente, che non deve essere necessariamente seriosa e noiosa, ha perso un gigante. La tua amatissima famiglia ha perso la luce, io e tanti altri abbiamo perso un amico sincero, esuberante, profondamente umano. Sapere che non ti potrò più sentire e vedere mi addolora immensamente, ma questo non mi impedirà di continuare a volerti bene. E so che sarà così per mille (mille? molti di più) altri.
Perché eri un ragazzo speciale. Un uomo speciale. Un professionista speciale. E un cazzone speciale, so che ti dispiacerebbe se non lo scrivessi.