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“Mayhem” è il caos eclettico di Lady Gaga

Con il nuovo album la popstar presenta un caos che alla fine trova il suo ordine: un progetto che reinterpreta 40 anni di pop, fondendo passato e futuro in una celebrazione della danza liberatoria nell’instabilità della vita

Autore Giovanni Pontorno
  • Il7 Marzo 2025
“Mayhem” è il caos eclettico di Lady Gaga

Lady Gaga (foto di Frank LeBon)

Mayhem è tutt’altro rispetto a ciò che fan e critica si aspettavano dalle premesse dei singoli pubblicati, ma è perfettamente coerente con il percorso che Lady Gaga ha costruito nei quasi 20 anni di carriera. Il dark pop inizialmente atteso si maschera tra glitterate strumentali che richiamano il pop puro di Madonna, Prince, Michael Jackson, Bowie. L’album è la sintesi di ciò che l’artista ha presentato nei suoi 6 album precedenti: le topline catchy di The Fame, le produzioni strumentalmente complesse di Born This Way, la teatralità di The Fame Monster e ARTPOP, l’intimità di Joanne.

Tuttavia, in Mayhem è come se Lady Gaga guardasse la sua discografia con ottica retroattiva, come se la Stefani Germanotta di 20 anni fa idealizzasse la popstar di oggi. E anche l’interpretazione è da considerarsi in quest’ottica: l’artista matura che trova nell’immaturità la propria espressione.

Disease, il primo singolo pubblicato a ottobre dello scorso anno, apre il sipario su Mayhem, ponendo solide aspettative su un ritorno al pop oscuro che viene ripreso dal secondo singolo Abracadabra, che grazie a un nostalgico ritorno delle coreografie presenti nella passata discografia dell’artista si è guadagnata un apprezzamento di vecchi simpatizzanti e nuovi fan.

Se all’inizio Die With A Smile con Bruno Mars sembrava inadeguata rispetto alle sonorità del nuovo disco dopo aver ascoltato Disease e Abracadabra, una volta concluso Mayhem si percepisce come il brano sia stato pensato dall’inizio come parte del progetto. Nel caos dei molteplici generi discostanti che compongono l’album, tutto trova il proprio collocamento, dando una prima impressione di coesione e rendendo il progetto veramente eclettico.

Nessun brano ha senso se confrontato a un altro di Mayhem, ma messi tutti insieme narrano una storia che effettivamente centra l’obiettivo di Lady Gaga: immortalare la danza liberatoria in una vita instabile, caotica, non coerente rispetto a tutte le fasi di vissuto percorse. Un concetto che forse tramite il pop puro di questo disco rispecchia esattamente il percorso di qualsiasi essere umano.

Dal particolare al generico, Mayhem ha senso, è centrato, comunica bene argomenti leggeri, intensi, introspettivi e frivoli. Il tutto contornato da produzioni distantissime e vicinissime, che racchiudono in 53 minuti 4 decadi di musica pop, dal glitterato agglomerato di bassi e chitarre funky degli 80s, i suoni elettronici dei 90s, la plasticità dei synth dance dei 10s, fino alla contemporanea riscoperta dei 20s di tutto ciò che hanno rappresentato i decenni precedenti.

Alcune tracce di “Mayhem” di Lady Gaga

Garden of eden
Direttamente da The Fame, con una produzione vicina al 2007/2008. È una canzone smorfiosa, da dancefloor. Strizza l’occhio alla Madonna di Hard Candy. Tra le più radio friendly del disco.

Perfect celebrity
Vocals rock, produzione che con chitarre elettriche, ricorda vagamente quelle di Born This Way. Dopo le prime tre tracce elettroniche inizia a trasmettere il senso di Mayhem, una transizione dall’industrial alle strumentali. Caos, nulla è coerente ma tutto sembra iniziare a prendere forma. Il testo ricalca le orme dei primi due album, la lotta con la fama, la creazione di un clone di se stessi che si interfaccia diversamente col mondo in base al contesto.

Vanish into you
Ciò che inizialmente sembra una ballad mid-tempo, si trasforma nel bridge pre-ritornello in una traccia funky con piano in levare e chitarre elettriche, per culminare nel ritornello tipico di una canzone d’amore americana. Testo nostalgico che ricorda un’estate adolescenziale. La quota dolce dell’album, anche se non particolarmente originale.

Killah (ft. Gesaffeilstein)
Tra le tracce più belle di Mayhem. Produzione impeccabile tra il funky di Nils Rodgers e i Chic, e l’elettronica sintetica, anche se da Gesaffeilstein ci si aspettava forse qualcosa di più tetro (ma forse è proprio questo che stupisce). Interessante l’interpretazione teatrale e l’utilizzo dei registri che ricorda quasi un ponte tra Prince e Bowie. Il risultato è allegro, giocoso, glitterato. Come la stessa Gaga ha dichiarato, probabilmente il brano più sfidante del disco. Difficilmente potremmo vederlo alto nelle classifiche, ma si tratta di un esercizio di stile davvero ben riuscito.

Zombieboy
Gwen Stefani, is that you? Gaga esplora le tematiche dell’emarginazione e della bellezza delle diversità, con un’interpretazione di una lei 21enne al college. Si rafforza l’immaginario electrofunk intrapreso da Killah, con una base super luccicante piena di arpeggi di synth 80s e assoli di chitarra elettrica. Si tratta di un omaggio al modello Rick Genest, conosciuto come Zombie Boy, che ha collaborato con Gaga nel video di Born This Way e che è scomparso prematuramente qualche anno fa.

How bad do u want me
Sembra un brano proveniente da 1989 di Taylor Swift, fin troppo distante da tutto ciò che Gaga ha fatto finora. La topline non è incisiva. Uno dei pochi skip dell’album.

Shadow of a man
Il pezzone di Mayhem. Bassi coinvolgenti e predominanti, ritornello catchy, testo che richiama la lotta dell’identità tra l’ombra di qualcun altro e se stessi. Possibile hit? Chissà, sicuramente nella top 3 dei brani più belli dell’album.

Don’t call tonight
La melodia è palesemente ispirata ai brani dance tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta di Whitney Houston. La produzione richiama i Daft Punk. Non brilla per originalità ma decisamente godibile.

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