Michele Bravi: «La mia musica interiore è questa, non voglio più forzarmi in un mondo non mio»
Esce questo venerdì “Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi”, il nuovo album con cui il cantautore tira fuori tutta la sua complessità senza più paura
È un Michele Bravi desideroso di raccontare il suo nuovo album e raccontarsi quello che incontriamo in un lunedì mattina di primavera in un bel locale di Milano situato in Viale Umbria 120. E il luogo non è scelto a caso: quella che una volta (fino al 2012, anno del suo spostamento in Via Gargano) ospitava l’iconico Plastic, cuore della vita notturna milanese più sfrenata e carnale, oggi è un elegante cocktail bar intimo e soffuso.
Un contrasto che convive anche in Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi, il disco del cantautore in uscita questo venerdì. Un progetto «scritto come se fossi sia una poetessa che una pornodiva», scherza lui. Ma la metafora (un concetto ricorrente nelle parole di Michele) esprime perfettamente il dualismo che attraversa l’album (la parte più “snob” che si crogiola nel Malumore francese e quella più ironica che gode di quell’Umorismo italiano), che arriva a tre anni di distanza da La geografia del buio.
Tre anni in cui sono successe un sacco di cose, tra cui anche un blocco artistico. «Non usciva niente. Ad un certo punto una mia amica mi ha regalato un libro di Julia Cameron, La via dell’artista, una sorta di corso di 12 settimane che ti aiuta a riconnetterti con il tuo artista interiore. Quindi ho fatto questi esercizi che vanno praticati senza chiedersi troppo, come ad esempio scrivere una lettera a se stessi, o inventarti dei lavori e calartici. Per una settimana ho fatto l’asceta e non ho parlato con nessuno. Poi ho fatto il sarto, il becchino delle cose tristi… Alla fine non l’ho concluso e l’ho fatto solo cinque settimane. Ma mi ha sbloccato». Da lì, dunque, sono nate tredici tracce che Michele Bravi ha diviso in modo poeticamente scientifico e quasi filosofico.
Michele Bravi e l’ispirazione per il suo nuovo album
«L’album è diviso in tre parti», spiega Michele Bravi, «La prima è lo sguardo, ossia la riflessione su quello che noi vediamo degli altri e insieme agli altri. La seconda è l’immagine, cioè quello che vediamo degli altri. Questa è la parte più carnale ed erotica, di cui fa parte anche Malumore francese con Carla Bruni che abbiamo realizzato in una stanza del Grand Hotel a Milano. Carla è la persona più generosa che abbia mai conosciuto. L’ultima parte è l’iride, ed è quella più cinematografica in cui entro ancora di più nel concept del disco».
Un concept che nasce dalla lettura di Oliver Sacks. «Ho riscoperto Musicofilia e quel libro ha acceso in me qualcosa. Sacks analizza i disturbi legati al suono e fa una riflessione filosofica e umana su cosa vuol dire percepire il reale in maniera diversa. Leggendo il libro mi appare la parola “palinopsia”, che ho subito cercato sul mio dizionario medico. La definizione è “la ripetizione di una percezione”. Da lì ho capito che quello sarebbe stato il concept del disco, perché le canzoni sono un modo per cristallizzare la vita e replicare una percezione. Ogni brano parte dalla domanda “Immagina se”. Per questo il disco è completamente falso ma metaforicamente vero: perché è centrale il potere evocativo della parola».
E sul titolo del nuovo album, Michele Bravi i spiega: «Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi è una frase che ho ritrovato per caso nei miei quaderni di appunti ma non ho idea né di quando né perché l’avessi scritta, ma l’ho visto come una sorta di segno. Mi sembrava la verbalizzazione più poetica del concetto scientifico di palinopsia».
L’amore, finalmente felice
Nel nuovo album di Michele Bravi c’è anche spazio per l’amore, quello felice (autobiografico) e quello contorto, sporco e a tratti tossico (quello lasciato alle spalle ma che esercita ancora un certo fascino nel racconto). «In Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi ho dedicato anche una canzone al mio compagno, si chiama Mi sono innamorato di te. Quando uno legge il titolo pensa subito al brano di Tenco, e infatti sono partito da lì. Ma mi piace l’idea di ribaltare alcune cose e renderla una canzone dolce, meno dura».
Come si sarà intuito, dunque, Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi non è decisamente un album semplice. È pieno di parole, concetti, metafore e figure retoriche, una cosa in netta controtendenza a quella attuale, secondo cui i testi – soprattutto quelli del pop – si stanno mano a mano scarnificando di pari passo con l’abbassamento della soglia di attenzione degli ascoltatori.
Ma a Michele Bravi la complessità non spaventa affatto. Non più: «Questo è esattamente il disco che avrei voluto fare. Il fatto di aver capito tante cose mi ha dato un’arroganza diversa che prima pensavo di non avere. La prima volta che ho ascoltato il disco mixato ho pensato che fosse una merda, poi tolta la patina di paura – ossia l’incontro col pubblico – ho trovato che questo album avesse un inevitabile che finalmente ho tirato fuori. La mia musica interiore suona così, piaccia o non piaccia. In passato ho provato ad entrare in mondi che non fossero il mio, ma le cose forzate facevano schifo a me e al pubblico. So che alcune scelte artistiche questo disco sono estreme, ma spero di captare certi bisogni degli ascoltatori».