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Miley Cyrus può permettersi tutto, anche un disco come “Something Beautiful”

Nel nono album la popstar si lascia guidare dall’istinto, tra disco, funky, R&B e persino un pizzico di art-rock. E il ritornello da hit? Non importa

  • Il30 Maggio 2025
Miley Cyrus può permettersi tutto, anche un disco come “Something Beautiful”

Trionfando ai Grammy Awards del 2024 con Flowers, Miley Cyrus si è guadagnata “qualcosa di bello”. Una liberazione e finalmente un che di «tangibile» che le dimostrasse di aver raggiunto un traguardo realmente grande. Una carriera iniziata da teenager e che della maturità artistica ha fatto di album in album un obiettivo. Il nono disco è nato proprio dalla leggerezza acquisita del non dover ormai dimostrare più nulla. Un album che ruota attorno a un verso nato improvvisando: «Tell me something beautiful tonight» canta Miley Cyrus all’inizio della titletrack. R&B e art-rock che si uniscono e scambiano i ruoli. Un ritornello senza melodia e le strofe intrise della sua voce inconfondibile che dicono molto della direzione artistica intrapresa. Un sentiero che dimostra un approccio quasi rivoluzionario nei confronti del pop mainstream.

La luminosità e i lati oscuri incombono e si alternano ma, come suggeriscono le parole di Cole Haden dei Model/Actriz nel Prelude, la bellezza va scovata in movimento e goduta a scampoli. Something Beautiful ci regala una Miley Cyrus in piena guarigione emotiva e consapevole dei propri mezzi. Le ispirazioni audaci, come quella dichiarata di The Wall dei Pink Floyd, la conducono in territori dove le regole del pop non esistono, ammesso che delle norme esistano davvero. La popstar statunitense, dopo la “vacanza infinita” ha deciso di affidarsi a Shawn Everett e lasciarsi sedurre da tutta la bellezza che le veniva suggerita che, a tutti gli effetti, è il “falso” concept del disco.

Perché “falso”? Perché in realtà un tema lineare, una storia che leghi le tracce dell’album, se c’è, è molto sottile ed è legata a un amore desiderato e goduto come se il mondo dovesse finire domani. La ricerca e la costruzione di qualcosa di bello, appunto, sono il fulcro attorno a cui ruota il discorso. Per questo sarà interessante capire come è stato pensato il film omonimo che verrà presentato il 6 giugno al Tribeca Film Festival. Diretto dalla stessa artista insieme a Jacob Bixenman e Brendan Walter, dal 12 giugno accompagnerà il disco nelle sale. Miley Cyrus l’ha definito un modo per ovviare alla mancanza di un tour. L’edema di Reinke e l’impossibilità di realizzare dei live sostenibili a livello di salute ed economia, come raccontato nell’intervista con Zane Lowe, hanno fatto desistere di nuovo la cantante dall’organizzare dei concerti in giro per il mondo.

Miley Cyrus Something Beautiful

Il pop senza hit

Si può realizzare un album senza bangers? Ha senso farlo? Miley Cyrus non si è posta il problema. Qualche dubbio gliel’ha fatto venire la sua madrina Dolly Parton quando, ascoltando il primo singolo Something Beautiful, le ha detto: «Sì, ma hai scritto qualche hit?». Miley ha risposto inventando un titolo su due piedi, senza aver effettivamente nulla tra le mani. More to Lose è nata così, e allo stesso modo Every Girl You’ve Ever Loved.

La prima è una ballad classica, priva di orpelli inutili se non gli ottoni quanto mai protagonisti di questo disco. La seconda inizia proprio con un sax anni Ottanta, prima di abbandonarsi a una base disco da ballare. Il ritornello lascia spazio ai sintetizzatori e agli acuti della cantante. Il finale cinematografico, dominato dagli archi e dalle parole recitate in modo iconico da Naomi Campbell, risulta più interessante del resto e la sperimentazione si fa ancora più ardito con l’elettronica preponderante dell’ultimo minuto e mezzo.

Questo brano vede la partecipazione di Molly Rankin degli Alvvays, una delle band alternative rivelazione degli ultimi anni, che ha contribuito anche a un altro dei pezzi più ballabili: End of the World. Il secondo singolo estratto da Something Beautiful è anche quello in cui Miley Cyrus abbraccia l’idea di musical in toto. Il suono nostalgico accende le luci e idealmente i lustrini del vestito che indossa nella copertina del disco si illuminano. «Eat my heart, break my soul, Take my parts»canta lasciando sempre qualche ombra sullo sfondo.

Vivere e fare musica come se non ci fosse un domani è il messaggio che traspare nella prima parte del disco che alterna momenti più sentimentali ad altri dove ci si abbandona a un ballo seducente. Easy Lover, canzone risalente ai tempi di Plastic Heart e rimaneggiata a livello sonoro e lirico più volte, è il brano più sensuale dell’album con in groove di basso calamitante e la voce a tratti graffiante di Miley Cyrus che si destreggia sull’elegante base R&B. Dimenticabile invece Golden Burning Sun, canzone che cresce ascolto dopo ascolto, ma risulta un passo indietro a livello di ritmo nella complessità del disco.

Foto di Glen Luchford

Rinascita senza compromessi

Something Beautiful è stato concepito da Miley Cyrus nel corso di due anni. Passo dopo passo, riempiendo buchi a poco a poco e lavorando apparentemente senza paletti. La liberazione e l’accettazione hanno contribuito a tracce che probabilmente non avremmo mai avuto senza lo già citato exploit di Flowers. I sei minuti, tra funky e disco music, di Walk of Fame, messì lì a metà disco, sono una sorta di manifesto implicito. Si parla di fama con tutti suoi i pro e contro. Miley balla e fugge da diva dai riflettori, accompagnata dall’atteso ritorno in scena di Brittany Howard degli Alabama Shakes. Si tratta di un altro di quei pezzi dell’album che sembrano pensati per il video. (Che sia proprio questo il brano che ha causato l’infortunio della popstar proprio sulla Walk of Fame di Hollywood?)

Sul finale del disco lo sperimentalismo si fa sempre più preponderante, a discapito dei ritornelli. Ascoltate l’evoluzione sonora di Pretend You’re God: il bellissimo giro di basso che conduce dritti alle grida disperate del finale rockeggiante che regalano una delle prove vocali migliori della popstar. Se si parla però di Something Beautiful in termini di rinascita e liberazione sono solo due i punti di partenza dell’analisi. La titletrack o le due canzoni che chiudono l’album.

Reborn, titolo emblematico, è stata concepita in parte in una chiesa che ha ispirato le parole del ritornello, uno di quelli che crea maggiore assuefazione. Miley Cyrus l’ha battezzata come la sua preferita del disco. Di certo la convergenza di elettronica e componente gospel (che culmina nel finale e scivola nel brano successivo) la rendono un unicum nella sua discografia. Al di là dell’eventualità che venga scelta come prossimo singolo, resta uno dei momenti forti. Viene da dire che è l’apice, insieme a Something Beautiful, dove volontà sperimentatrice e potenziale radiofonico raggiungono una sintesi. A chiudere ci pensa la ballad acustica Give Me Love. Amore e musica, visti come gioia e dannazione, prendono corpo a partire da un’opera di Bosch.

Miley Cyrus ha raggiunto ormai uno status che le permette di realizzare dischi più elaborati e meno “scontati” e votati alla performance in classifica. Una scelta che forse non la premierà nell’immediato, non tutti potrebbero apprezzare fin da subito questo suo nuovo lato, ma che la consacra come un’artista ancora più matura e consapevole. Something Beautiful si mantiene sullo stesso livello del suo predecessore e sembra il preludio a qualcosa di ancora più grande, alla nuova e definitiva versione di Miley Cyrus.

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