Tutta una carriera in un live: il concerto dei Nine Inch Nails a Milano
La band di Trent Reznor ha dato vita a uno spettacolo che ha attraversato tutte le varie fasi della storia del gruppo

Trent Reznor e i Nine Inch Nails sono stati un culto degli anni Novanta, il miracolo musicale che è riuscito a unire l’introspezione cantautorale e la brutalità della musica dell’industrial. proseguendo il discorso iniziato dall’altra band a loro spesso paragonata, i Ministry. Ma poi i NIN sono andati anche oltre, trovando una chiave di volta sorprendente, incanalando tutto questo caos in un tratto melodico unico.
Dalla delicatezza al caos, un sogno lucido che si trasforma rapidamente in uno spavento. Questa potrebbe essere la metafora giusta per descrivere oltre trentanni di loro musica. Non ci sono mezze misure in un concerto dei Nine Inch Nails e ieri nella loro unica data in Italia del loro Peel it back world tour al Parco della musica a Milano è stato così.
Uno show che ha rasentato la perfezione, uno spettacolo notevole sotto tanti punti di vista. Eccezionale la performance della band, eccezionale la resa scenica, perfetta la voce di Trent Reznor. Lui sale sul palco da solo, con la sua classica canotta, prende il microfono e a questo punto arriva la band che di fatto è super-band. Atticus Ross – partner in crime del frontman di svariate colonne sonore, due premi Oscar, tre Golden Globe e vari Grammy), il talentuoso compositore Alessandro Cortini, Robin Finck, e Ilan Rubin. Non suonavano insieme da tre anni ma non danno proprio l’idea di essere arrugginiti, anzi.
Niente saluti e si attacca subito con Somewhat Damage, il brano che apriva quel capolavoro assoluto che fu The Fragile. Per poi passare a Wish, uno dei pezzi più amati che invece era presente in Broken. Quell’EP che di fatto fece fare alla band di Cleveland il salto verso la notorietà. Seguono Letting You da The Slip del 2008, forse uno dei dischi meno riusciti della band che viene poi seguita March of The Pig cantata a squarciagola dal pubblico. Un brano dall’altro capolavoro della band, quel The Downward Spiral considerato ormai un classico della storia del rock alternativo.
Un viaggio nella carriera dei Nine Inch Nails
Sembra, in questa prima parte di concerto, un omaggio della band alla propria carriera. Già dalla scaletta annunciata qualche giorno prima si era capito che sarebbe stato un concerto particolare con la presenza di brani meno popolari come Burn dal film Natural Born Killers di Oliver Stone o The Perfect Drug, un’altro pezzo per una colonna sonora, quella realizzata per Lost Highway di David Lynch. Una scelta che esplora i molti periodi creativi della band. Un live di 75 minuti che trascina il pubblico nel calendoscopio stilistico della band, dove si passa da brani violenti e muscolari a quelli più elettronici dai toni ambient come The Lovers.
Poi esattamente a metà del concerto è la volta di uno dei momenti più attesi, quello di Closer, tra i classici più amati. Dopo il trittico Discipline, Find My Way e The Good Soldier, tutti provenienti da tre dischi differenti e dal repertorio anni Duemila dei NIN, si arriva forse al momento più importante del concerto con l’esecuzione di I’m Afraid of Americans dell’amico David Bowie, uno degli idoli di Reznor. Un brano che si faceva beffe degli americani e che dal titolo sembra fatto apposta per sbeffeggiare ancora una volta la loro storia recente.
Il concerto si conclude con altri due due classici: Head Like A Hole e soprattutto Hurt. Nonostante le infinite esibizioni, Reznor l’ha interpretata con una vulnerabilità e un’intensità che la rendevano ancora viva, pulsante e profondamente vera. Impossibile poi non sottolineare la perfezione tecnica dello show. Il suono cristallino e le luci orchestrate in modo chirurgico. Il modo in cui ogni brano è stato accompagnato da giochi visivi che hanno amplificato l’impatto emotivo. Ieri i NIN sono stati superbi dimostrando di essere una delle band migliori del mondo.
Articolo di Mauro Tomelli