Ornella Vanoni si svela senza paura nella sua autobiografia “Vincente o Perdente”. Un estratto
Assistita dall’amico e musicista Pacifico, quasi fosse una rapsodia, l’artista ci racconta di tutto, proprio tutto, con la sua leggerissima ironia e le sue sentenze perentorie sugli esseri umani famosi e non. Esce il 6 maggio per La Nave di Teseo

Foto di Stefano Guindani
Di Ornella Vanoni pensiamo di sapere ormai tutto. La vediamo settimanalmente ospite di Fazio a Che Tempo Che Fa, la leggiamo con una certa periodicità, intervistata da quotidiani, mensili e siti web. Tutti sempre alla ricerca, ovvio, di una battuta ironica controcorrente. Lei che è sempre stata dispensatrice di leggerezza, ma anche di pensieri profondi e mai banali. Ma alla fine sembrava giusto aspettarci delle memorie sue, non filtrate, se non dall’aiuto nella stesura finale della sua biografia da parte di un amico musicista. In fin dei conti questa autobiografia “assistita”, che s’intitola Vincente o Perdente, è un diario sentimentale, senza filtri, come è sempre stata Ornella Vanoni.
Capace di mostrarsi nella sua completa fragilità, quando ci fa capire la mancanza di un compagno stabile adesso nella sua vita: «Ci sono sere – che mi adopero perché capitino raramente – in cui il buio e il silenzio mi opprimono. E avere una persona, anche solo per addormentarsi insieme davanti a un film, mi rincuorerebbe. Una carezza». Ma anche capace di tener testa agli uomini potenti, come quando parla del suo rapporto con il Cavaliere: «Quando lavoravo a Mediaset, volevano impormi sketch che ritenevo dozzinali, funzionavano solo con le risate a comando. Lui (Berlusconi, ndr) mi disse che chi non apprezzava i suoi autori non lavorava per lui. Me ne andai».
In esclusiva, di seguito, questo estratto da Vincente o Perdente che esce ufficialmente nelle librerie il 6 maggio.
L’estratto da Perdente o Vincente
Amici miei
Ho poi la mia grande famiglia allargata di artisti. Picchiatelli, vanitosi, spassosi, chiassosi, pieni di talento. Amici che chiamo personalmente, dribblando manager e uffici stampa. Per collaborare, ma anche solo per sapere cosa fanno, se sono sempre innamorati, se hanno preso la vitamina che scaccia l’inverno dalle ossa. Gli artisti sono instabili. Tutti lo siamo, ma diciamo che gli artisti fanno dell’inquietudine la loro benzina, la loro materia prima. In quell’instabilità trovano il motivo, la spinta a scrivere, a esibirsi. Proprio per queste peculiarità – sono animali particolari, che riescono a volare solo se per anni hanno zoppicato – penso che un’artista debba sentimentalmente stare con un artista. Provarci almeno.
Ho avuto vicino uomini che avevano grande dimestichezza con il denaro, con il potere. Che sapevano districarsi tra percentuali e grafici con disinvoltura, abbinavano perfettamente pietanza e vino, avevano una pronunciata attitudine al comando. Eppure, appena avevi un cambio d’umore, o cercavi di passargli la commozione per il verso di una poesia, non sapevano come comportarsi. Gli sembrava tempo perso, moine, pose: le cose serie a governo del mondo erano altre. Professionisti riconosciuti, ma principianti, se non addirittura analfabeti, delle emozioni. Che gli dici a uno così? Cominci a non capirti una volta, due, poi pian piano non ci provi più e ti allontani.
Elvis Costello e Diana Krall, Lou Reed e Laurie Anderson, Elisa, Fiorella Mannoia, Laura Pausini, Paola Cortellesi e i loro rispettivi compagni. E chissà quanti altri. Hanno messo insieme i loro disordini, le loro ossessioni, e ne hanno ricavato un equilibrio. Hanno trasformato due pareti pericolanti in un muro portante. Su cui magari, di tanto in tanto, si allargano delle crepe. Ma quale coppia non vacilla?
Ho poi molti amici gay. Di botto, mi sono resa conto di essere un’icona gay. Non l’ho assolutamente cercato o deciso. Ma mi sento molto fortunata. Non è che son tutti facili da frequentare, alcuni sono insopportabili. Ma molti di quelli con cui ho consuetudine sono intelligenti, educatissimi, di gusti sopraffini. Soprattutto estroversi, affettuosi. Salvi da certe rigidità culturali nella manifestazione dei sentimenti di cui, tradizionalmente, patiscono parecchi eterosessuali. Senza alcuni di questi amici preziosi, sarei molto più sola.
Amori miei
Ho avuto grandi amori che ho consumato fino a disinteressarmene. Altri che avrei voluto esplorare ancora e da cui, invece, sono stata estromessa.
Di Gino Paoli ho detto così tanto, è stato detto così tanto, che posso permettermi di lasciare qui poche righe senza che ciò sminuisca l’importanza che ha avuto per me. Anzi, conoscendone la riservatezza, sarà solo contento di tanta parsimonia. Per rivedere il nostro incontro, il nostro amore, devo voltarmi indietro di settant’anni. Posso però testimoniare che oggi, da quassù, da dove sono arrivata, Gino lo vedo ancora. È il mio dirimpettaio, anche lui è arrivato al piano attico. E quando mi volto e a occhi chiusi lo vedo, sempre sorrido. Ci siamo legati in anni fondamentali.
Era un amore tra ragazzi, necessario dopo la relazione con Strehler – che, per la differenza di età ed esperienza, è stato più una specie di apprendistato. Se l’amore si misura a sofferenza, a patimento, a mancanza, a sensazione di urgenza permanente, be’, il grande amore della mia vita è stato Gino. Ci siamo innamorati come ci si innamora tra coetanei. Attraverso i dischi, le passeggiate, i portici, il sesso, il vino, i dispetti, le rincorse, le sigarette, i letti sfatti, le case rifugio nascoste a tutti. Ci siamo uniti perché tutti e due eravamo considerati strambi, diversi. Lui si diceva fosse omosessuale. Certo non passava inosservato, così secco, beccamorto. Sembrava uno sfigato, e invece aveva dentro canzoni meravigliose. Io ero considerata presuntuosa, altezzosa, anche lesbica. Due marginali, insomma, due fuori norma.
Ecco i primi incontri pubblici dove Ornella Vanoni presenta il suo libro:
7 maggio, Libreria Mondadori Duomo di Milano, ore 18, con Pacifico
16 maggio, Salone del Libro di Torino – Sala Rosa, ore 17.45, con Pacifico