Dai Lacuna Coil a Nitro, gli artisti ci raccontano Ozzy Osbourne
Abbiamo chiesto ad alcuni artisti italiani legati al metal di condividere con noi un ricordo del leader dei Black Sabbath

Foto di Ilya S. Savenok/Getty Images
Nel panorama musicale italiano sono molti gli artisti che direttamente o indirettamente sono stati influenzati dalla musica di Ozzy Osbourne e dei Black Sabbath. Non solo quelli più vicini al metal, ma anche chi ha trovato nella sua oscurità un pizzico di luce. Abbiamo chiesto a tre nomi di condividere con noi un loro ricordo del Principe delle Tenebre. I Lacuna Coil che con lui hanno condiviso due esperienze indimenticabili nel 2004 e nel 2006 negli Stati Uniti partecipando all’Ozzfest, i Messa, band doom metal veneta che, dopo l’ultimo album The Spin, sta conquistando sempre più pubblico e Nitro che ha sempre accompagnato le sue rime con un’attitudine e delle sonorità figlie di uno dei suoi due generi musicali preferiti.
Attraverso i loro contributi si percepisce chiaramente il lascito, non solo artistico, ma anche umano e sociale di un artista che ha segnato la storia della musica tutta, non solo del rock.
Cristina Scabbia (Lacuna Coil)
Come per molti altri artisti e fan, la notizia della scomparsa di Ozzy Osbourne ci ha colti nel profondo, lasciando un vuoto immenso. Non è facile trovare le parole giuste quando se ne va qualcuno che ha lasciato un segno così indelebile. Non solo nella storia della musica, ma anche nelle vite di tanti artisti. Tra questi, ci siamo anche noi.
Ozzy non è stato soltanto un’icona, una leggenda del metal, un innovatore, il nostro amato Principe delle Tenebre. Per noi dei Lacuna Coil è stato anche un ponte tra i nostri sogni e la realtà. Lui e Sharon ci hanno accolti, hanno creduto in noi, e ci hanno fatto sentire parte della loro famiglia durante le edizioni dell’Ozzfest del 2004 e del 2006. Grazie a loro abbiamo avuto la possibilità di presentarci al grande pubblico americano e la nostra storia è davvero cambiata, in meglio, da quei momenti così preziosi. Non dimenticherò mai la conferenza stampa del 2004 alla quale presi parte. L’aura potente, il carisma. Mi sentivo intimidita al cospetto di Ozzy, e ancora oggi mi pento di non avergli parlato di più. Il mio silenzio era dettato solo da un profondo rispetto.
Il suo spirito, la sua forza, la sua follia gentile e il suo cuore grande resteranno con noi per sempre. Vivrà nei nostri ricordi, nella sua musica, e in ogni artista che continuerà a trarre ispirazione da ciò che lui è stato. Grazie, Ozzy.
Nitro
Ho sempre avuto una passione per l’oscuro, il macabro, l’horror in generale. Rovistando in soffitta tra i vinili di mio padre, trovai il primo album dei Black Sabbath. Avrò avuto meno di dieci anni. Iniziai ad ascoltarlo e me ne innamorai subito: provavo una sensazione strana, mi sentivo impaurito ma allo stesso tempo potente mentre ascoltavo quelle canzoni. Quando scoprii il rap, mi innamorai di Busta Rhymes. Nel suo disco del ’98, Extinction Level Event, quasi alla fine dell’album c’era un pezzo intitolato This Means War. Era in pratica un remix di Iron Man, con il ritornello cantato da Ozzy e le strofe di Busta. Il mio rapper preferito stava collaborando con uno dei cantanti preferiti di mio padre.
Credo che, nel mio piccolo, questo rappresenti bene ciò che Ozzy Osbourne significa anche per tante altre persone: connessione. Il suo carisma estremo gli ha dato la capacità di accorciare le distanze nel mondo dell’arte. Forse è anche per questo che risulta così difficile scrivere di lui senza emozionarsi, anche se non appartiene alla mia generazione. In un modo strano e contorto, musicalmente parlando, siamo tutti suoi figli o nipoti.
Sara Bianchin (Messa)
Nel 2014 facevo un lavoro che mi faceva terribilmente schifo, pagato una miseria. Mi alzavo la mattina con conati di vomito interiore senza precedenti. Quando ero adolescente mio padre mi ha regalato la sua intera collezione di cassette. La cosa piacevole di avere una vetusta, denigrata da tutti – ma per te gloriosa – Fiat Multipla di seconda mano è che puoi ascoltarle. Una delle cassette donatami era Sabbath Bloody Sabbath.
Ore 07.23, fine di Maggio, ordinaria strada statale in Veneto. Quella cassetta suona a volume inaudito dentro l’auto, il sole scalda il parabrezza, ma io voglio solo urlare a pieni polmoni perché la mia vita al momento è una porcheria apocalittica. Sto implodendo. «You work your life away and what do they give? / You’re only killing yourself to live» canta Ozzy su quel nastro, col pitch leggermente sfasato dal passare del tempo. Momento di epifania totale. Mi sento meno sola. Compresa, accolta.
Ozzy sarà sempre un metaforico padre per tutti i tormentati come noi. Perché era uno di noi. Credo che le origini working class dei componenti siano sempre state parte integrante del lavoro creativo dei Sabbath, del loro modo di comunicare. Una delle cose che mi è sempre piaciuta del loro materiale è la sincerità. Fanculo la Summer of Love, fiori e pace: il mondo lì fuori fa schifo. Paranoia, abuso di sostanze, guerre e violenza, lo smog delle città industriali, il turbamento, provare a sopravvivere.
Sono convinta che la voce abbia una dimensione primitiva, onesta, profonda: non può mentire. E quella di Ozzy Osbourne ne è un esempio perfetto. Credo che per tante persone lui sia stato una specie di Caronte: ci ha traghettato verso altri lidi. Un pò di luce nel buio. Qualche ora fa un amico mi ha detto: «Ora siamo davvero dei Children of The Grave» Credo abbia ragione.