«Vaff****lo il conformismo»: un estratto in esclusiva dell’autobiografia di Paris Hilton
È in libreria da qualche giorno “Paris. La mia storia” l’autobiografia ufficiale di una delle icone assolute degli anni Duemila. Fra ricordi dolorosi e momenti pop, è la storia della la prima vera influencer a livello globale. Un estratto in esclusiva
“C’era una volta Paris”, alzi la mano chi non seguiva in rete le gesta dell’ereditiera dell’impero degli hotel Hilton. Anche chi non la sopportava, spinto quel retrogusto da guilty pleasure, si spingeva a leggere i gossip scatenati dalle gesta di questa giovane bionda che si era imposta tra i socialite del nuovo millennio e già It girl a fine anni ‘80. Interessante notare che questa autobiografia di Paris Hilton pubblicata da Magazzini Salani (ben 426 pagine), Paris. La mia storia, arriva a poca distanza da quella pubblicata da un’altra bionda celeberrima dell’epoca, Britney Spears, che con The woman in Me, non solo svela sé stessa, ma demolisce il perbenismo della cultura pop dominante dell’epoca.
Stesso meccanismo narrativo è alla base anche di questa autobiografia di Paris Hilton, che oltre ad aver sollecitato i desideri erotici di milioni di maschi occidentali, e scatenato ore e ore di news sui canali televisivi, ha cercato di imporsi con tenacia e un certo acume imprenditoriale, diventando così un’icona per Millennials e Gen Z. Ce la ricordiamo in un bellissimo total black look nel 2015, per un delizioso DJ set al Just Cavalli in pieno Parco Sempione. Era riuscita addirittura a mettere We Are Your Friends dei Simian in versione remix dei Justice.
Paris Hilton e la sua storia
Nel libro Paris. La mia storia, la Hilton si racconta con la giusta dose di ironia, riportando in luce alcune delle sue vicende più note e discusse. Dalla celebre foto con Britney Spears e Lindsay Lohan al sex tape, fino ai trascorsi più personali. Condivide la sua storia con il mondo, tra ricordi dolorosi e momenti pop. Attraverso la lente di un adhd diagnosticato tardi, Paris Hilton ripercorre l’infanzia privilegiata e la ribellione adolescenziale e confida per la prima volta i duri anni di abusi verbali, fisici e sessuali nei collegi per ragazzi problematici.
Oggi Paris Hilton vive a L.A, cura gli interessi della sua azienda 11:11 Media, che si occupa di contenuti multimediali, e va orgogliosa del suo impegno per l’emancipazione delle donne. Di seguito un estratto dal volume appena pubblicato che ci parla di una delle sue innumerevoli gesta notturne, qui in compagnia proprio di Britney Spears e Lindsay Lohan.
L’estratto dell’autobiografia di Paris Hilton
Nel 2006, ero a una festa con Britney Spears nel bungalow di amici presso il Beverly Hills Hotel. Ci stavamo annoiando e volevamo tornare a casa mia, solo che queste persone non volevano che ce ne andassimo, perché – so come potrà sembrarvi, però su, siamo onesti – hai Britney Spears e Paris Hilton alla tua festa: vuoi che se ne vadano? Continuavano a ripetere: «No! Non potete andare già via!» Io non volevo essere scortese, e così trascinai Brit in bagno e le dissi: «Usiamo il mio trucchetto». Aprii la finestra e staccai la zanzariera.
«Ma io non posso uscire dalla finestra» esitò Brit, che indossava un bel vestitino corto da cocktail.
Le dissi di non farsi problemi e la aiutai ad arrampicarsi. Nel frattempo, stavamo crepando dalle risate. Però ce l’abbiamo fatta. Corremmo lungo un vicolo e, appena svoltato l’angolo, ci venne incontro un nugolo di paparazzi. Ritrascinai Brit nel buio del vicolo per avere il tempo di darci una sistemata a vicenda. Come fanno le amiche. Le aggiustai i capelli e ci passammo un tocco di gloss sulle labbra.
Finest girl. Pronte per l’obiettivo, stronzi.
Tornammo fuori cercando di raggiungere la macchina. I paparazzi fecero i paparazzi, e ci chiamarono per farci guardare nella loro direzione.
«Paris, guarda a sinistra! A sinistra, Britney!»
«Britney! Paris! Di qua!»
«Paris, è vero che ieri sera tu e Lindsay avete litigato?»
Non risposi veramente. Stavamo solo cercando di risalire in macchina, giusto?
«Paris! Britney! Ancora una, ancora una, ancora una!»
«Paris, Lindsay dice che l’hai colpita!»
«Cos’è questa diatriba fra te e Lindsay?»
E a quel punto, partirono tutti alla carica: l’hai colpita? L’hai colpita? L’hai colpita?
Pioveva leggermente, Britney moriva di freddo e aveva fretta di risalire in auto. Io portavo i jeans, perciò le aprii la portiera e la coprii per evitare che i fotografi cogliessero qualche dettaglio osé mentre saliva sul sedile passeggero. Poi passai dal lato del guidatore.
Quelli continuavano a insistere – l’hai colpita? L’hai colpita? L’hai colpita? – perché uno o due giorni prima era uscito uno strano video in cui Lindsay diceva che le avevo colpito il gomito e le avevo rovesciato addosso un drink. A tutt’oggi non ho idea di cosa stesse parlando.
«No» dissi. «Chiedetelo a lei. È là». Indicai Lindsay Lohan, che aveva lasciato la festa poco dopo di noi. «Lindsay, digli la verità».
Stava camminando insieme a Elliot Mintz. La gente si riferiva sempre a lui come al mio addetto stampa, ma Elliot di solito ribatteva: «Definirei il mio lavoro più che altro come crisis management». Il nostro rapporto era molto simile a quello tra la regina dei draghi e il piccoletto di Game of Thrones.
«Paris non farebbe mai una cosa del genere» disse Lindsay. «È mia amica. Tutti mentono su tutto. È una brava persona. Lasciateci stare, per piacere. Siamo amiche».
«Siete amiche?» dissero loro. «Lindsay, siete amiche?»
Elliot la condusse verso la mia macchina e aprì la portiera. Per proteggerla dalla pioggia, forse? O forse per mettere a tacere le strane voci che stavano circolando?
«Non ha mai fatto una cosa del genere» disse Lindsay. «È una brava ragazza. Una brava persona. La conosco da quando avevo quindici anni. Per favore».
Dopodiché Lindsay salì in macchina, il che è stato un po’ imbarazzante perché guidavo una Mercedes slr McLaren con due posti soltanto. Britney dovette stringersi in mezzo, dove in teoria si appoggia la borsa. In un video che ha catturato questo istante, si sente un sospiro collettivo e poi uno dei paparazzi che dice: «Ah, questa diventerà un classico!» Dopodiché via, tutti a darci dentro con gli scatti, appoggiandosi fin sopra il cofano dell’automobile. Le gocce di pioggia sul parabrezza brillarono come ai tempi del BeDazzler.
«Paris! Paris! Pulisci il parabrezza! Pulisci il parabrezza!»
Azionai i tergicristalli. Altra valanga di scatti frenetici.
«Grazie, Paris. Lindsay? Guarderesti da questa parte?»
Misi in moto, ma quei flash incessanti sul parabrezza bagnato mi accecavano, inoltre avevo la paranoia che qualcuno potesse mettermi un piede sotto la ruota e dire che lo avevo investito, perché è il genere di cose malate che fa la gente a Los Angeles. Elliot allora si mise in strada e mi fece i segnali per uscire dal parcheggio, stile “tizio con le bacchette luminose che dirige un jet privato in pista”.
«Lasciatele uscire. Piove» disse.
Loro si spostarono e noi ce ne andammo. Non ricordo dove. Ha importanza? A tutti importò solo di quell’istante.
La foto leggendaria
Il giorno dopo, lo scatto leggendario di Britney, Lindsay e Paris finì in prima pagina sul New York Post con il titolo Bimbo Summit, il summit delle oche, scritto a caratteri cubitali sotto le nostre facce. La definizione non mi piacque, ma la mia frangia sì, carinissima. Quante volte ti capita che esca così bene? La frangia è sempre difficile.
Il paparazzo aveva ragione: diventò subito un classico.
Dopo tutti questi anni vedo ancora quella foto impressa su magliette, poster, biglietti di compleanno, tazze, boxer, borsette luccicanti – merchandise di ogni genere. L’articolo che preferisco è il parasole da parabrezza per quando fa molto caldo. Quindici anni dopo, io e Carter eravamo in viaggio di nozze su un’isola privata delle Maldive. Eravamo occupati a ignorare il resto del mondo e, quando finalmente abbiamo dato una rapida occhiata ai nostri dispositivi elettronici, tutte le app esplodevano di messaggi sul quindicesimo anniversario della ‘Santissima Trinità’. Guardai la foto e scoppiai a ridere. Sembravamo le Charlie’s Angels.
Apprezzai l’articolo di Joy Saha pubblicato su Nylon con il titolo Paris, Britney & Lindsay: The Triumph of the Bimbo Summit, per cui il summit delle oche si era trasformato in un trionfo. Secondo l’autore, il titolo malevolo del Post non era invecchiato bene, mentre le It girl dei primi anni Duemila si stavano facendo valere. Io mi ero appena sposata e gestivo un enorme conglomerato aziendale di comunicazione e lifestyle. Britney aveva appena messo fine alla scandalosa tutela legale, durata tredici anni, che teneva sotto scacco le sue finanze e la sua vita privata. Lindsay si era appena fidanzata ufficialmente e stava lavorando al suo ritorno professionale. Ero contenta per lei. Non siamo in confidenza, ma le auguro sempre il meglio.
Capisco perché i media volessero metterci l’una contro l’altra. Faceva vendere copie. Generava clic. Quella tempesta di flash realizzò una dozzina circa di versioni di una foto storica, ognuna con una prospettiva leggermente diversa, e quelle immagini hanno generato milioni di dollari in licenze e royalties.
Non per noi, ovviamente.
La quota che io, Britney e Lindsay guadagniamo da quella cifra è pari a zero. Qualcuno, invece, con una di quelle foto si è pagato la casa. Qualcun altro ha pagato il college al figlio. Posso capire per quale motivo lo facessero. Ciò che fatico a capire sono invece tutti quelli che, sulla scia di quel titolo, si sono accaniti senza nulla da guadagnare se non la fragile soddisfazione di un bullo.
Joy Saha ha scritto: “Nel 2006, la società doveva ancora afferrare il concetto di empatia, il che consentiva a un sistema malato di prosperare sull’abuso costante”.
Insomma, andò così.