Rame: dopo il King, Barona ha anche il suo principe. L’intervista
Il suo nuovo EP, “FDM”, è stato benedetto nel nome di Marracash, Guè, Jake La Furia, Fabri Fibra e Emis Killa, ed è una narrazione onnisciente del microcosmo di quartiere, senza tralasciarne i lati oscuri. E sulle accuse di idolatria alla criminalità, il rapper di Milano Sud ha molto da dire. Lo ha fatto qui
Se dovessimo chiedervi quale sia la città italiana più rap-centrica di tutte, non avremmo troppi dubbi sulla risposta. I Club Dogo e Marracash su tutti, ma anche Bassi Maestro, Emis Killa, gli Articolo 31, Dargen D’Amico e molti altri: a partire dai primi 2000, nelle strade e nelle piazze dei quartieri di Milano il rap ha sempre risuonato dal cemento, prima quasi in sordina, poi deflagrando e plasmando le generazioni successive, forgiate nel nome della Dogo Gang. Rame, milanese (o forse dovremmo dire baronese) classe 1998, non ha fatto eccezione.
Sarà l’aria che si respira in Barona. Sarà che nel 2018 Guè lo prende sotto la sua ala e Marracash nel 2019 gli affida uno degli skit più belli e rappresentativi di Persona. Ma Rame è un fedelissimo discepolo di quella gang che ha fatto scuola, tra una citazione a Serpi di Jake La Furia, e una dichiarazione di riconoscenza al suo mentore (“E se lo faccio così bene è perché ascolto Marra”). Che, non a caso, è la voce che apre il nuovo EP di Rame, FDM, uscito a giugno.
Sette tracce che hanno come sfondo imprescindibile Barona, il luogo dove “la fame non si spegne mai” e dove “la mentalità era progettata per distruggerci” e in cui chi ce la fa non dimentica chi resta indietro. Sette storie che Rame racconta con lo sguardo di un narratore onnisciente dal ciglio di una panchina, da una finestra sul cortile o dalla cima di un palazzo popolare.
Storie vere, forse anche troppo per chi – del quartiere – non conosce la realtà. Ma la zona è così: croce e delizia, bello e cattivo tempo, un intersecarsi di contraddizioni che il rap ha sempre raccontato e sempre racconterà senza edulcorare nulla. Ed è proprio lì che Rame ha un piede nel sogno e uno della realtà e cerca il suo riscatto dalla vita che deve a quella che vuole, che ha come linea guida nient’altro che la musica. E se Barona prima aveva già il suo inscalfibile King, ora ha trovato anche il suo principe.
L’intervista a Rame
Nell’EP ci sono tantissime citazioni alla scuola dei Dogo, di Marracash: quel periodo del rap è il tuo punto di riferimento?
Assolutamente sì. Io prendo molta ispirazione a livello di sound da quello che succede nei vari Paesi, ma poi voglio comunque rimanere legato alle mie radici. Io sono cresciuto con loro, coi Dogo, con Marra, con quella Milano e ho imparato tantissimo. Sono stati proprio una linea da seguire per me, sono molto legato a loro anche personalmente e mi sembrava giusto omaggiarli e non dimenticare mai da dove vengo musicalmente.
E infatti Jake, Guè, Marra, Fibra e Emis ti hanno regalato degli skit bellissimi, cosa per nulla scontata. Come ti fa sentire questo tipo di riconoscimento?
Per me è una sensazione strana perché come dici tu non è una cosa scontata, non tutti si possono permettere di avere degli skit fatti da artisti così importanti. Persone che io ho sempre stimato, ascoltato, visto come se fossero delle mete irraggiungibili alla fine hanno collaborato con me. Hanno capito il mio viaggio e hanno voluto farne parte. Questa cosa mi dà molta soddisfazione. E poi mi ha fatto tanto piacere il fatto che mi ci sono trovato anche umanamente, mi sono sentito fiero di aver sempre supportato la loro musica, sono tutte persone che hanno dei valori, disponibili e che credono in me e in quello che faccio.
Rame: «Non voglio idolatrare né la criminalità, né alcun tipo di violenza»
Ascoltando FDM sembra un po’ che tu sia un narratore onnisciente, come se guardassi il quartiere dall’alto e ne raccontassi le vicende. Cosa ti piace di più dello storytelling?
Mi piace il fatto di raccontare le cose senza censurarmi o comunque senza dover stare in paranoia o pensare al pregiudizio degli altri nell’ascoltare quello che io ho da dire. Nel bene e nel male io racconto quello che vedono i miei occhi. Ci tengo però che le persone capissero che io non voglio idolatrare né la criminalità, né alcun tipo di violenza.
A proposito di questo, recentemente è uscito un articolo su di te in cui è stato detto che L’Anziano (una delle tracce di FDM, ndr) sarebbe un’apologia di Nazzareno Calajò (noto boss della criminalità organizzata che operava a Milano Sud, ndr) dopo il suo arresto. Vuoi rispondere a queste accuse?
Riguardo a questo articolo ci sarebbero tante cose da dire, ma voglio sintetizzare il tutto dicendo che le canzoni che ho fatto dentro al mio EP sono abbastanza chiare. Io non ho usato frasi che lasciano intendere, sono andato diretto, non sono a libera interpretazione. Mi sembra assurdo che un giornalista abbia interpretato in modo completamente errato il messaggio che io volevo dare, che non era chiaramente un’incitazione a delinquere, ma solo raccontare una storia che io ho visto con i miei occhi. Io non ho fatto nulla di diverso da quello che fa un giornalista, ossia raccontare attraverso le fonti. Questa cosa mi è dispiaciuta molto, perché sono stato attaccato ingiustamente da una persona che nemmeno mi conosce.
Quindi anche questo pezzo era puro storytelling? Io l’avevo interpretato in questo modo, come può essere pure una canzone come Luca.
Certo, e forse chi ha scritto quell’articolo non sa di cosa stiamo parlando. Se io non mi intendo di tennis non è che vado a criticare come gioca un tennista, mi limito a guardare. Può piacermi o meno, ma non sono nella posizione di giudicare quello che fa. Io racconto e basta, non ho mai detto di essere da una determinata parte. Anche se io non le raccontassi nelle mie canzoni, queste cose accadrebbero lo stesso. In quartiere ci sono tantissimi ragazzi come Luca, le persone si rivedono in quello che scrivo perché vivono quelle situazioni.
«Non sono un criminale e non mi interessa farlo»
Il rap comunque ha sempre raccontato di figure controverse, dai gangsta ai signori della droga. Ma è – appunto – pura narrazione.
Esattamente! Poi ognuno è libero di interpretare la musica come meglio crede, a me piace raccontare quello che mi circonda perché trovo sia molto interessante. Raccontare quello che vivono è come dare voce a persone che altrimenti non l’avrebbero. Questo è il mio compito. Io non sono un criminale, e non mi interessa nemmeno farlo. Io faccio il rapper e ci tengo a fare bene il mio mestiere.
Una volta Jake mi ha detto che nessun vero criminale fa il rapper e nessun vero rapper fa il criminale, anche se le due cose magari si possono intersecare per ambienti frequentati e situazioni vissute.
Secondo me invece dipende. Anche in Italia ci sono rapper che hanno fatto e fanno i criminali, ma nel mio caso non è così. Io mi voglio concentrare solo sulla musica perché a me piace fare questo e perché voglio la mia rivincita. Prendermi il mio spazio nella vita facendo quello che mi piace fare. Di sicuro tra i miei obiettivi non c’è né di finire in galera, né di trovare strade alternative alla musica, quindi do il 100%. Non avrei né tempo né voglia di fare il criminale.
Il rapporto di Rame con il quartiere
Vivi ancora in quartiere o ti sei spostato?
Vivo ancora in quartiere. Sono nato e cresciuto a Tre Castelli (in zona Barona, ndr) e tutt’ora abito lì. Ti dirò, a me piacerebbe non spostarmi mai. Forse dall’esterno il quartiere può essere visto come un posto di disagio, di situazioni brutte, per me invece è proprio la mia zona di comfort. Il mio quartiere è il mio mondo. Tutti si conoscono, c’è proprio una situazione di fratellanza, di unità. E poi il posto in cui nasci e cresci te lo porti sempre nel cuore, vorrei rimanere nello stesso contesto ma cambiando stile di vita. Se mai dovessi fare i soldi io mi prenderei un attico in Barona!
Se te ne andassi dalla tua zona la tua scrittura ne risentirebbe molto?
Mah, potrebbe come non potrebbe. Se mi dovessi solo trasferire, spostando quindi la mia residenza ma continuando a frequentare il quartiere tutti i giorni, allora no. Però se dovessi cambiare completamente contesto senza vedere più ciò che vedo ora, senza respirare più l’aria di Barona, allora scriverei di cose diverse perché mi mancherebbe l’ispirazione.
Negli anni hai visto Barona cambiata?
Diciamo che col tempo è stata molto riqualificata. Barona è una zona che quando la nomini la gente pensa subito ai palazzoni grigi di via Don Primo Mazzolari, a quelli di via De Pretis, invece ora non è più così. Prima scendevo di casa e vedevo solo una distesa di terra con le buche, ora vedo un sacco di verde, tutto è ben sistemato, le facciate dei palazzi sono state ristrutturate. Vedere che c’è del bello attorno è una bella sensazione. Non è una zona che è stata dimenticata.
L’impatto di Marracash
Che impatto ha avuto la figura di Marracash su di voi che vi siete approcciati al rap in zona?
Sicuramente per noi è stata un’icona incredibile, soprattutto quando sai che una persona di successo prima di diventare famosa ha vissuto le stesse situazioni che magari stai vivendo tu stesso in questo momento e in questo stesso luogo. Lui le ha raccontate, tu le stai vivendo. Pensare che sulla panchina dove sono seduto ora quindici anni fa c’era lui è una sensazione forte. Ti dà uno stimolo fortissimo, ti fa pensare “Lui è partito da dove sono partito io e guarda dov’è ora. Se mi metto di impegno e mi concentro a fare solo questo e a non fare le cazzate per strada allora ce la posso fare anche io”. Per me è sempre stato il punto di riferimento, lo sprone a dare sempre il massimo nella musica.
Quali sono invece le due Facce della medaglia a cui ti riferisci?
Sono la mia vita spaccata a metà. Io mi sono sempre sentito con un piede dentro e uno fuori, uno nel lavoro dei miei sogni e l’altro nel lavoro che devo avere per vivere. Un giorno mi sento il capo del mondo e quello dopo l’ultimo degli scemi, capisci? Questa cosa poi si riversa un po’ su tutto, su tutte le scelte che prendiamo nella vita. Le facce della medaglia sono il dualismo tra quello che voglio e quello che devo.
Quindi hai anche un altro lavoro oltre alla musica.
Sì, io ho fatto il corriere per Amazon. Ho iniziato dopo l’inizio della mia carriera musicale, dopo il covid ho dovuto cercarmi un altro lavoro. L’ho trovato e me lo sono tenuto, e questa cosa mi ha dato sia lo stimolo di far bene nella musica, sia tanta incazzatura perché mi dicevo “Ma com’è possibile? Io devo fare musica nella vita, non voglio consegnare 200 pacchi al giorno”. Io voglio fare qualcosa di più grande, e anche la rabbia è uno stimolo per riuscirci.