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Il rap nei Balcani: foto mossa di una storia sospesa

Non è semplice parlare dell’hip hop che nasce in una zona così complessa, con nazioni dalla forte identità spesso in contrapposizione tra loro: parliamo dello sviluppo del genere in Serbia, Bosnia, Albania e anche Bulgaria

Autore Billboard IT
  • Il19 Giugno 2024
Il rap nei Balcani: foto mossa di una storia sospesa

Foto di Vladimir Milivojevic

La realtà balcanica è senza dubbio una delle più complesse e aggrovigliate da un punto di vista sia territoriale che sociale e, di conseguenza, culturale. Una realtà fatta di scontri, di un passato recente di guerre e dittature che hanno lasciato strascichi, di culture ed etnie capaci di fare loro, come addomesticandolo, qualsiasi stimolo esterno trovino affascinante, compreso l’hip hop e la sua estetica. Se si prova a fotografare il momento musicale attuale e l’impatto che il rap, trap e la drill stanno avendo sulla produzione de Balcani, così peculiari, bisognerà accettare di avere a che fare con uno scatto inevitabilmente mosso.

Il quartiere Banjica a Belgrado, foto di Vladimir Milivojevic

Questo non solo perché, come ovunque, il movimento è in eterno divenire, ma anche perché si parla di nazioni diverse, con percorsi diversi, un forte senso di identità e situazioni storiche che, spesso, hanno interferito in maniera diretta sulla vita di chi compone la scena. Come in quella di Voyage, trapper di Belgrado. Nel 2019 con il suo singolo d’esordio Vrati Me, inciso con Breskvika (altra giovanissima star serba con cui per qualche anno farà coppia anche nella vita), si è aggiudicato il YouTube Zvezda (Stella di YouTube) alla Music Award Ceremony, la più importante manifestazione dell’industria musicale dell’Ex Jugoslavia. Il suo nome, che sta evidentemente per viaggio in francese, richiama lo spostamento a cui fu costretta la sua famiglia dopo l’omicidio di Zoran Didnic, primo ministro serbo di cui suo padre era guardia del corpo.

La “diaspora”, le circostanze che portano artisti a crescere musicalmente fuori dal paese d’origine, è una delle caratteristiche particolari della scena. Anche Ya Nina, cantante di etnia Albanese di Pristina, è in realtà nata e cresciuta in California. Pur costruendo il suo stile in un ambiente profondamente multiculturale, e spesso profondamente tamarro, si sentono chiari nel suo approccio a una trap dalle mille sfumature anche i riferimenti sonori alle sue origini. Talvolta emergono dalla ritmica, dal richiamo a determinati strumenti o da accenni a melodie di stampo sevdah, musica tipicamente bosniaca.

Il rap di chi non si è mai spostato dai Balcani

Caratteristiche che sono in realtà comuni a moltissimi artisti della gen Z balcanica. Anche tra coloro che da quelle terre non si sono mai mossi. Coloro che sono cresciuti sospesi tra un passato spesso carico di tragedie e un futuro impossibile da prevedere. Come Devito, nato nel 1995 a Kragujevac, città industriale sulle rive del fiume Lepenica. Un luogo oggetto di pesanti bombardamenti da parte della Nato nei due conflitti jugoslavi degli anni ‘90, in particolare in quello del 1999. Trasferitosi a Belgrado, dove ha iniziato la sua carriera di trapper, il primo approccio artistico di Devito è legato però alla fotografia e ai video.

Si forma come regista, e lavora spesso a video di musicisti anche importanti della scena serba. L’immagine resta per lui un elemento da trattare con estrema cura. Al punto da non mostrare mai in pubblico il suo volto che è sempre coperto da un passamontagna bianco. Si muove in bilico tra dichiarazioni anche politicamente rilevanti, come quando si dichiara vicino al movimento LGBTQA+ dopo essere stato additato come omosessuale dal rapper Mili, e testi controversi. Il senso di rivalsa è sublimato da ostentazione e rime molto dirette. La narrazione è nitida, le produzioni spesso cupe.

C’è però un altro elemento a rafforzare il legame tra parte della scena serba attuale e l’urgenza a raccontarsi per immagini. È una serie tv, Juzni Vetar (Vento del Sud), prodotta a partire dal 2020 dalla Tv di stato. Ambientata a Belgrado, racconta i destini intrecciati di alcuni giovani che, nel desiderio di una vita migliore, hanno fatto la scelta sbagliata, ritrovandosi invischiati in giri di malavita e droga, di cui la città risulta principale punto di smercio tra Sud America e Europa. Oltre al complicato lavoro di restituzione di una realtà carica di contraddizioni, il regista Milos Avramovic, classe 1978, usa proprio la musica come elemento per raccontare la sfuggente generazione nata a cavallo del millennio. Lo stesso Devito firma Koka, che compare nei titoli di coda di un episodio.

A fargli compagnia i Crni Cerak, quartetto di trapper della capitale che deve il proprio nome al quartiere dal quale arrivano, Cerak appunto. Lo stesso quartiere sembra ricalcare uno strano senso di sospensione. Spazi verdi, zone residenziali di casette a due piani, e palazzoni anni ‘80 in stile sovietico. I Crni Cerak, sebbene si definiscano un gruppo “colorato”, ne raccontano gli angoli scuri. La loro è una trap spigolosa e vibrante, infiltrata anche in questo caso dalle sonorità tipiche della drill britannica. L’ansia è quella di fare soldi, di guadagnarsi l’indipendenza economica, di lasciarsi alle spalle le incertezze di un’infanzia difficile. L’estetica è quella classica, palazzoni da un lato, Ferrari e belle donne dall’altro. Il senso è proprio quello di una realtà sospesa tra un futuro da catturare e un passato nel quale non ricadere.

Fuori dall’ex Jugoslavia

I Balcani non sono però solo ex-Jugoslavia. Altre realtà, pur non condividendo un passato recente di scontri così aperti, arrivano comunque da cambiamenti socio-politici. Per esempio, la fine di regimi di stampo sovietico durati decenni. Se la scena albanese, capitanata ovviamente da Noizy che conosciamo anche per le sue collaborazioni con Guè e Ghali, sta iniziando a far sentire il suo peso anche fuori dai propri confini, una realtà particolare ed interessante è rappresentata dalla Bulgaria.

La scena trap bulgara è doppiamente dirompente, perché si innesta in un periodo di ritorno della sonorità rap dopo una fase di latenza. In patria la chiamano la terza ondata. Iniziata intorno al 2010, partita dal basso attraverso la condivisione di brani online, questa wave è carica di artisti freschi e dall’approccio libero, non ancorati a regole imposte da predecessori ingombranti o da riferimenti obbligati.

Intriso di suoni provenienti direttamente dalla cultura locale, come cori che sembrano ricalcare Le Mystère des Voix Bulgares, e allo stesso tempo carico di riferimenti ritmici alla trap talvolta europea, talvolta made in USA, anche qui il rap punta non solo ad accendere i riflettori su una generazione, ma, nella scelta consapevole di artisti come V:rgo, anche a fare da punto di riferimento. Il percorso del trapper di Sofia, iniziato qualche anno fa con testi molto pesanti e diretti, è il prodotto della sottocultura di strada nella quale è cresciuto. Nel tempo ha puntato ad evolversi, fino ad arrivare ad una svolta che ha in sé anche elementi spirituali.

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Articolo di Matteo Villaci

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